Dall'archivio infinito di Vittorio Macioce, l'uomo che ama raccontare. E dispensa emozioni. Articoli di giornale senza tempo. Come questo. Ancora attuale. perché la lezione è sempre valida: se non vogliamo restare impantanati dobbiamo alzarci. E correre...
Corri e spera. Corri e cambia. Corri e traccia il tuo destino. Corri e torna a guardare il futuro. Questa volta racconto una storia a pochi passi da me. Ha a che fare con il mio paese. Si svolge lì.
Non so se lo conoscete, si chiama Alvito, piccolo, tremila abitanti e tanti anni fa era un ducato. Per me è un po’ come la terra di mezzo di Tolkien e forse lo è davvero.
Sta sull’Appennino, in luoghi che pochi conoscono, provincia di Frosinone, lì dove finisce il Lazio e comincia l’Abruzzo, un lembo di parco nazionale e se guardi l’orizzonte vedi le mura bianche di Montecassino.
E’ una terra di mezzo perché con un’ora e mezza di auto vai a Roma o Napoli. E’ una valle antica, valle di Comino, il confine è segnato dalle cicatrici della linea Gustav, quella del fronte della seconda guerra mondiale.
Le casematte costruite dai tedeschi ci sono ancora. Solo che adesso quella linea segna un altro confine, da lì in poi comincia praticamente Gomorra. Non è che te lo dice qualcuno. Lo sai e basta. Oppure se ci passi in macchina te ne accorgi guardando fuori dal finestrino. Noi siamo il verde, poi a un certo punto comincia il grigio di periferie casertane, di casermoni, di centri commerciali troppo grandi, di strade stradali che di notte diventano suk della coca, con le luci delle auto in sosta che comprano tanto al chilo, come se fosse la cosa più normale del mondo.
L’altro giorno un imprenditore della valle mi ha raccontato di suo fratello costruttore che in un cantiere di un quartiere di Napoli ha dovuto smettere di lavorare perché dei signori molto convincenti hanno detto ai suoi operai di andarsene a casa. “Oggi non si lavora”. In questi casi c’è poco da fare. O schieri l’esercito, o chiedi ai tuoi muratori di fare l’eroe, o patteggi con la camorra. Nel frattempo preghi e speri in Dio.
Noi queste cose le guardiamo al di qua del confine e ci auguriamo che quelle vecchie “casematte” tedesche reggano, come simbolo, come talismano, come linea del fronte.
Questa crisi senza fine ci sta però mettendo alla prova e ci troviamo di fronte a una di quelle svolte del destino, a un crocicchio, simile a un lancio di moneta. Testa o croce? Croce è un futuro da periferia desolata di Gomorra, testa è scommettere sulle nostre risorse. Puntare sul verde, sulla natura, su una valle dove si può camminare sulle tracce dell’orso o ascoltare di notte l’ululato dei lupi, su percorsi affascinanti da scalare in mountain bike o sulle arrampicate fino al monte Meta, dove all’alba, quando la luce è chiara, si possono vedere i due mari, il Tirreno e l’Adriatico.
Si può scommettere sull’economia verde, sul paesaggio, sulla natura e sul fatto che tanta gente cerca luoghi dove correre a piedi, in bicicletta, su strade sterrate o camminare lungo i sentieri del parco, o seguire il corso di un fiume a bordo di una canoa o, temerari, volare con un deltaplano da Forca d’Acero fino giù giù al centro della valle.
Qualche giorno fa il mio paese era pieno di gente che correva. Immaginatelo. E’ da secoli addormentato su una collina, che guarda tutta la valle. E’ un paese medievale, con vicoli, chiese, fontane e un castello lassù in alto. Il centro storico in questi anni si è svuotato e per troppo tempo si è respirato un clima di disillusione, come se prima o poi tutto fosse destinato a sparire, inevitabile, ineluttabbile, con quella rassegnazione che ti fa dire “che ci vuoi fare”.
Poi basta una corsa podistica per guardare le cose in modo diverso, per portare lo sguardo oltre, per sognare un futuro. “Corri Alvito”, dieci chilometri dal paese fino al castello, cinque in salita e cinque in discesa. Non esattamente una maratona, ma comunque faticosa, una manifestazione metà festa e metà gara, aperta a professionisti e podisti della domenica.
E tutto nasce perché in questo paese adesso c’è un campione. Il primo a salire e scendere è stato infatti Carmine Buccilli. Non era una sorpresa, perché questo ragazzo è sesto nella classifica dei maratoneti italiani. E’ uno che corre forte ovunque ci sia da correre. E’ stato il primo italiano lo scorso anno alla maratona di Roma.
A volte per riscoprire il futuro basta correre un po’ più in là, anche quando pensi che tutto sia perduto, anche quando non ce la fai più e le gambe sono pesanti, e l’acido lattico ti arriva al cervello e il traguardo sembra non arrivare mai.
Carmine ha vinto una gara in ricordo del padre, Federico Buccilli. E qui entriamo nelle mie storie private. Federico è l’uomo che per primo mi ha insegnato a calciare di collo un pallone. Avevo sei o sette anni e giocavo nei “pulcini”. Anzi, mi allenavo. Perché ero troppo piccolo per giocare. Tutti quelli della mia generazione hanno cominciato con lui. Era tornato dall’America, da Detroit, e tornato al paese aveva fondato una scuola calcio, con le magliette prima rosse e blu a strisce larghe, che solo adesso mi rendo conto assomigliavano a quelle della cantera del Barcellona. Poi verde e nere, come il destino della valle.
Lo so, questa magari è una storia piccola. Qualcuno dirà che per uscire dalla crisi non basta una corsa podistica. Può darsi. Ma sono troppi anni che il mio paese, che in questo caso potete anche chiamare Italia o perfino Europa, si sta rassegnando a tutto: alle tasse, alla burocrazia, alla decrescita infelice, al lavoro che non c’è, al futuro che invece di stare avanti te lo ritrovi dietro, all’incertezza, alle imprese che chiudono, alle notizie di un altro drammatico suicidio, a chi spara perché quel giorno non aveva nient’altro da fare.
Noi ci siamo impantanati. Sono anni e anni e gli anni sono diventati decenni, che continuiamo a calpestare la stessa pozzanghera di fango, litigando, indignandosi, trovando alibi e scuse. Adesso è arrivato il momento di correre. Correre, più forte, più lontano. Correre più veloci delle nostre paure. Correre per riscostruire, per sognare, per vivere. Corri per divertirti. Corri per stare insieme. Semplicemente correre, ognuno con il proprio passo.