di MARIA RITA SCAPPATICCI
Psicologa e blogger
Compiuti i 18 anni per tutti (o quasi) il primo pensiero è prendere la patente. Questa carta che ti permettere di annunciare al mondo che anche tu sei in grado di spostarti da solo: che sei cresciuto.
Imparare a portare l’auto è, di base, molto facile: le prime volte devi prestarci attenzione, poi impari meccanicamente i comandi e dopo qualche anno sai premerli al momento giusto, ma devi pensarci su qualche secondo per rispondere alla domanda se la frizione viene azionata col piede destro o col piede sinistro.
Questo, comunque, non ci impedisce di guidare, spostarci, anche per lunghi tratti.
Ma quali abilità servono per essere un buon guidatore che occupa la strada sulla quale transitano tutti?
Qualche anno fa mi sono formata sulla psicologia viaria, guidavo da circa 5 anni, ho scoperto, poi, in maniera profondamente inconsapevole. Guidare è un comportamento alquanto complesso. Presuppone l’impiego di abilità cognitive superiori e soprattutto una buona capacità di coordinazione, di attenzione sostenuta e divisa. E il discorso si complica ulteriormente se consideriamo quanto possiamo diventare incauti e agire rischiosamente quando lasciamo che i nostri stati d’animo e i nostri pensieri incidano sulla nostra performance stradale.
Ebbene, sulla base di queste considerazioni, possiamo dedurre che il 90% di tutti noi non adotta una guida sicura. Non a caso i dati statistici ci dicono che il quasi il 95% degli incidenti su strada è dovuto all’errore umano. Appare chiaro come non possiamo avere la pretesa di controllare tutto, ma essere consapevoli di alcuni comportamenti evidentemente rischiosi può essere d’aiuto per noi e per gli altri.
E’ stato stabilito che, in media, ci vogliono appena 15 ore di pratica, per imparare come manovrare un’auto. Ma quanto tempo ci vuole per imparare a coordinare tutti gli stimoli che ci provengono dall’auto e da fuori? Non basta imparare le norme che regolano il sistema stradale o informarsi sulle conseguenze che un incidente stradale può arrecare.
Bisogna cercare di individuare i meccanismi cognitivi che sono alla base di ognuno di noi ed intervenire su questi aspetti. I giovani, per esempio, hanno un cattivo rapporto con le norme, intese solo come mezzo punitivo e di ostacolo per mettersi al volante e provare la loro abilità. In più percepiscono i pericoli meno velocemente, controllano infrequentemente lo specchietto, sono più inclini ad accettare il rischio e sono sempre alla ricerca di “sensation seeking” cioè sensazioni forti. La corteccia prefrontale, la parte del cervello che ci permette di tenere a bada queste pulsioni di adrenalina, finisce il suo completo sviluppo intorno ai 24 anni.
Ecco spiegato il motivo per cui i neopatentati hanno più difficoltà a premere il freno e a limitarsi con l’alta velocità. L’esperienza poi non aiuta.
Quando si mette in atto una guida rischiosa senza nessuna conseguenza nociva si accresce la percezione che siamo in grado, più di altri ai quali è andata male, di gestire le situazioni di rischio, perpetrando quel comportamento anche in situazioni successive.
E’ il “paradosso del giovane guidatore”, una definizione che è assolutamente riconducibile anche alla guida di un adulto.
Se guido per 10 volte l’auto parlando al telefono o se non porto la cintura ogni volta che entro in auto e non mi succede nulla, mi autoconvinco che sono invulnerabile e che sono certamente più bravo di altri a “fare altro” mentre guido, anche a gestire l’imprevisto. Un assurdo in termini se consideriamo che la strada non è mai la stessa, semplicemente siamo stati “fortunati” a non incontrare nessun imprevisto sul nostro cammino.
E’ evidente come la percezione distorcere grandemente il nostro senso di efficacia, arrivando a pensare che le tragedie accadono solo agli altri e più si reitera uno schema rischioso percepito come non pericoloso più si arriva a considerarlo come normale. Tutto questo chiaramente vale anche per coloro i quali occupano la strada con altri mezzi come la bicicletta, le moto e anche a piedi. Per esempio, è buona norma fermarsi sempre quando si vede un bambino sul ciglio della strada in procinto di attraversare, anche se il bambino è fermo sulle strisce e sembra aver “visto” l’auto sopraggiungere.
Da adulti, quando dobbiamo attraversare la strada abbiamo imparato a “stimare” tra la distanza e la velocità dell’auto che sopraggiunge, riuscendo così ad attraversare generalmente senza problemi. Si chiama “time to contact”, tempo di contatto. Tale capacità raggiunge il pieno sviluppo all’incirca intorno ai 9-10 anni. Per questo motivo non è detto che un bambino fermo sulla strisce in attesa di attraversare sappia attendere il passaggio dell’auto, senza rischiare di attraversare comunque.
Questi sono solo alcuni esempi di quanto possa essere complesso guidare un veicolo con la speranza che tutte le nostre facoltà mentali ci accompagnino.
Per questo motivo è assolutamente sconsigliato fare selfie alla guida: la foto verrebbe mossa ammesso che possiate guardarla una volta arrivati a destinazione.
La buona norma va accompagnata dal buon senso, sempre!