Roberto Folchetti non è stato solo un grande maestro della fotografia. Ma anche un viveur, degno protagonista della Dolce Vita degli anni Sessanta. Se n'è andato pochi giorni fa...
Ricordi in bianco e nero… in tanti ad Arpino hanno delle foto scattate da lui in occasione di matrimoni, compleanni, comunioni… Roberto Folchetti è cresciuto con la macchinetta fotografica a tracolla, una passione di famiglia. Ha immortalato i grandi attori che recitavano sul palcoscenico arpinate: da Andrea Giordana a Paola Quattrini, da Flavio Bucci a Piera Degli Esposti… Poesia… la fotografia è poesia, catturata come per magia ed impressa su una pellicola, oggi sostituita da un sensore. In quei giochi di luce, catturati con un clic, frammenti di emozioni rimasti intrappolati per sempre.
Nella storia in bianco e nero Roberto Folchetti non entra solo come maestro della fotografia ma anche come come protagonista a pieno titolo della Dolce Vita. Spesso portava una sciarpa di seta alla Marcello Mastroianni, passione per l’Alfa Romeo, possedeva una mitica Duetto. Partiva, talvolta da solo altre in compagnia: per andare a prendere un caffè e mica solo a Roma, a Napoli a Firenze…
Ricordi in bianco e nero… diversi giovani partivano con lui per andare ai concerti: un maestro di esperienze per molti. Un mito per quelli della mia generazione ,che restavano affascinati dai racconti di quelle serate degne della vita dei ”Vitelloni” raccontato nel ’53 da Federico Fellini. Anche in questo caso realtà e leggenda spesso si fondono e diventa difficile stabilire il confine.
Di certo una sera è entrata nei ricordi degli arpinati. Carlo Scappaticci a cui abbiamo già dedicato la nostra attenzione (leggi qui I libri di Carlo ed il difficile mestiere di padre) racconta che una sera di ritorno da una notte brava, la sua auto prese la fiancata di una 127 bianca parcheggiata in piazza. Al tempo si poteva parcheggiare in piazza. La 127 si ritrovò appoggiata proprio sul monumento di Cicerone. La dinamica di questo incidente, ma soprattutto l’epilogo la macchina sul monumento, alimentò i racconti per molto tempo. Il proprietario della 127 era Osvaldo Zotti, proprietario del bar del salotto di Arpino, che si chiedeva perché proprio la sua macchina, dal momento che le altre avevano neanche un graffio… Ma questa è un’altra storia.
Roberto viveva al primo piano del palazzo di mia nonna in via Giuseppe Cesari, ricordi in bianco e nero… (leggi qui La signora Folchetti e le donne in finestra)…Vivendo nello stesso palazzo, Roberto per me era come Ulisse che partiva con la sete della conoscenza, lasciando la bella Penelope: la bella Tina… Ricordi in bianco e nero, in quegli anni non ci stavano i cellulari ed avvisare con i gettoni non era sempre semplice. Quante volte ho sentito il respiro silenzioso della dolce Tina dire ”una telefonata…” L’Avventuroso rimaneva bloccato nelle tempeste di neve in Abruzzo.
Ricordi a colori… li ho visti insieme poco tempo fa… erano seduti insieme Fuoriporta, il mio sguardo si è posato sulle mani: erano mano nella mano. In quell’istante ho pensato che il mito della Dolce Vita, il viaggio più bello che ha interpretato, è quello chiamato Amore insieme alla bella Tina. Certi amori lasciano il segno.
Si potrebbe scrivere un racconto su come giocava a biliardino. Ed il suo studio andrebbe reso patrimonio dell’umanità di Arpino. Uno studio pieno di ritratti dei grandi artisti ma anche di scene della vita quotidiana, rubate al temo e impresse su carta lucida. Un maestro della fotografia che non era avaro di consigli alle nuove generazioni.
Se né andati in questi giorni, Roberto Folchetti, dopo una malattia sopportata con stoicismo e circondato dall’affetto della moglie e della figlia. L’archivio di Piero Albery ce lo consegna in uno dei suoi rari momenti di relax, un ultimo scatto. Che lo ha rubato al tempo.