Ricciotta, la moglie del sacrestano (di F.Dumano)

Fausta Dumano

Scrittrice e insegnante detta "Insognata"

di FAUSTA DUMANO
Scrittrice e insegnante
detta ‘Insognata’

 

 

Le donne sono quelle che hanno sempre stimolato la mia curiosità da ragazzina… Ricordi in bianco e nero… Lei, non saprei dire il suo vero nome, l’ho sempre sentita chiamare ‘la ricciottaRicciotta portava sempre scarponi o le scarpe da maschio. L’unico elemento femminile che indossava era la gonna, una gonna sotto il ginocchio con i calzettoni. Arpino invece è il paese delle donne eleganti, ben vestite. Lei la incontravi, ricordi in bianco e nero, sempre per i vicoli e trasportava frasche di legno. Questo incuriosiva non poco la mia fantasia: chissà da quale fiaba era scappata, mi chiedevo.

Era una donna che fumava. Anche le signore fumavano negli Anni ’70, ma sedute in piazza. Non si fumava camminando. Non saprei spiegare la teoria del perché. Ricordi in bianco e nero… camminando gli uomini fumavano, la Ricciotta con le sue scarpe ‘maschie‘ fumava camminando. Quindi la Ricciotta aveva un secondo appellativo: maschia.

Il chiacchiericcio mormorava «è strana». Ma… ricordi in bianco e nero, non saprei dire di quali stranezze si fosse resa protagonista. Di certo non l’ho mai vista parlare con nessuna donna, l’ho vista sempre al lavoro, trasportando sulla schiena quelle frasche di legno. Sfogliando il favoloso archivio di Piero Albery è apparsa in questo film di ricordi in bianco e nero proprio con quelle frasche. Credo sia una foto insolita per le nuove generazioni: una donna che in paese non in campagna trasporti sulla schiena le frasche.

La Ricciotta aveva un seno fermo e vigoroso, che nascondeva sotto maglioni larghi. Era sempre pallida nel volto come se avesse la malaria, o forse abituata, ricordi in bianco e nero, ai volti delle donne cittadine curati e truccati, il suo mi appariva pallido. Su quel viso pallido, ricordi in bianco e nero, spiccavano due occhi grandi e delle labbra rosse, ma erano rosse senza rossetto. Una sigaretta l’accompagnava sempre.

Al paese non la chiamavano ‘la lupa‘, però al suo passaggio qualche donna si faceva il segno della croce. Quel segno della croce incuriosiva la mia curiosità, la mia curiosità ardeva a mille, non poteva essere come la ‘lupa’, una mangiatrice di uomini. L’arcano non sono riuscita a scoprirlo subito: quel segno della croce era una forma di rispetto, che non conoscevo. Lei, la Ricciotta, la maschia, era la moglie del sacrestano. A quei tempi il sacrestano era una figura importante, non era solo il custode della chiesa, quello che suonava le campane: era un ‘notabile’ che conosceva bene l’archivio della chiesa di San Michele.

Conosceva tanti segreti anche sul tempio delle nove muse. Il famoso storico Enrico Maria Beranger, di casa ad Arpino negli Anni ’70, ringrazia il sacrestano Mario. Una leggenda narra, ma il confine tra leggenda e realtà è sempre grande, che una volta lei avesse vinto tanti soldi alla Lotteria Italia, un’altra leggenda dice che li avesse vinti lui. Di certo entrambi sono entrati nell’immaginario collettivo, lui perché seduto in quella piazza, davanti alla chiesa, per ore si ‘costruiva’ la Settimana Enigmistica, si preparava i cruciverba. Ma la cosa, ricordi in bianco e nero, che catturò la mia attenzione fu che sapeva decifrare con facilità la scrittura del ‘700 e ‘800.

Ricordi in bianco e nero ho trascorso ore con il Beranger in quell’archivio parrocchiale con quel sacrestano. E solo per caso, un giorno, ho scoperto che era il marito della Ricciotta.

 

Foto: Archivio Piero Albery, tutti i diritti riservati
 

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