Il giorno di Sant'Antonio era una festa. Si usciva prima da scuola, si andava a mangiare 'il pappone' la polenta. Tutto grazie ad un generoso lascito. Che creò un'occasione in più per stare insieme
Ricordi in bianco e nero… e anche profumati… E pure affollati. Il ricordo di un giorno di festa riaffiora alla mente. Veniva distribuito in piazza il Pappone, la polenta. E, in fila, tutti erano lì per ritirarne un piatto.
Era una giornata particolare, era il giorno di Sant’ Antonio Abate. Nei miei ricordi era come un giorno di festa: con la maestra si usciva prima e si andava alla piazza della Civita, si assisteva alla preparazione e in fila si prendeva il piatto con la polenta.
Le origini sono lontanissime, risalgono ai primi anni del 1600, quando un signore, un benefattore del tempo nel giorno di Sant’Antonio lasciò una notevole somma alla confraternita da destinare a fanciulle povere per sposarsi, venivano estratte a sorte e ricevevano una dote.
Il benefattore era il Pompeo Grimaldi. Con il tempo la somma fu destinata alla distribuzione di polenta, il pappone ai poveri. Poi lentamente la distribuzione è diventata un rito collettivo, la polenta cucinata e benedetta viene distribuita a tutti.
Le cutrelle, così ricordo, venivano chiamate le pentole. Un’ abilità il girare il pappone, alcuni volti di donna sono associati a questo rito. La piazza di Civita si riempiva in maniera incredibile. Alla fila non si sottraeva nessuno, era l’esplosione di ogni classe sociale.
Il pappone diventava pure un’ occasione di incontro. Oggi non so se le maestre conducano ancora i bambini al pappone, le uscite sono cambiate, ma questa è un’ altra storia. Una cosa è certa, ad Arpino ho imparato a mangiare la polenta da bambina, ricordi in bianco e nero, crescendo andavo al pappone con mia zia. Si portava una pentola dietro e poi si mangiava a casa di nonna.
Perché la festa continuava.