I venti minuti dello sgradevole Albert King in Ciociaria (di L.Duro)

Luciano Duro

Narratore e Sognatore

 

di Luciano DURO
Narratore e Sognatore

 

 

Albert King è stato uno degli uomini più sgradevoli che io abbia mai incontrato.

Alla sua grandezza di artista si contrapponeva un carattere irritante e violento. Fu per me un’impresa difficilissima gestire quel concerto già reso difficile dalla pioggia che aveva fatto spostare l’esibizione al Cinema-Teatro “Mangoni“.

Trattava i musicisti come inservienti al suo comando. Eppure quella band era formata da grandissimi ed affermati professionisti ed era supportata da un trio di donne, dalle voci straordinarie, che già da sole valevano il concerto. Noi eravamo gentili e premurosi, ma era chiuso come un’ostrica e non concedeva nulla di sé. Non parlava con nessuno e aveva da ridire su ogni cosa.

Cercai di trovare una spiegazione per un comportamento così scostante, forse la ragione era in quei suoi anni in cui, ancora adolescente, si trasferì in una piantagione di cotone dell’Arkansas dove, povero ragazzo di colore del Sud, doveva aver subito l’umiliazione, le violenze e i torti in quell’America fortemente razzista degli anni ’30, in cui Billie Holiday cantava “Strange Fruit”, canzone di condanna verso il razzismo e i linciaggi.

Non volle scendere dal pullman, parcheggiato vicino al teatro, nonostante i camerini ed in particolare il suo fosse ben allestito con tutto ciò che era previsto dal catering: frutta fresca di stagione, birra della sua marca preferita, acqua rigorosamente a temperatura ambiente, tramezzini così come stabilito e un vaso di non ricordo quali fiori.

La Band iniziò il concerto e una delle coriste aveva l’obbligo di scaldare la platea con tre brani prima che Albert King salisse sul palco. La donna aveva una gran voce e la band tirava a mille non fu difficile coinvolgere il pubblico con applausi scroscianti. Ascoltava da dentro il pullman e non gradì perché la star era lui “The King”, il re.

Salì immediatamente sul palco e con un brusco segno della mano la allontanò alla fine del primo pezzo e la fece sedere per tutto il concerto dietro le quinte, poi imbracciò la chitarra e per venti minuti fu grande musica, il pubblico era in delirio e la magia si impadronì del Mangoni. 

Ma improvvisamente qualcosa successe, smise più volte di suonare, se la prendeva con il microfono e con l’amplificatore e cominciò ad insultare la gente con un incomprensibile slang. Il concerto si protrasse per altri 15 minuti poi andò via senza concedere il bis.

La mia impressione fu che Albert King ritenesse di aver soddisfatto il pubblico con quei venti minuti e non voleva concedere oltre, l’obiettivo era raggiunto ed il contratto onorato.

Sconcertato invitai lui stesso e tutta l’equipe al ristorante dove era prevista la cena e le interviste dei giornalisti, ma non volle venire e poiché non aveva voglia impedì anche alla band di unirsi a noi. Tutti tornarono in hotel senza neanche cenare e salutare. Chiesi spiegazioni al manager ma ebbi solo le sue scuse per un comportamento che era abituale e che non pochi problemi aveva creato in altre città europee.

Al mattino successivo nonostante tutto avevo voglia di salutarlo, perché in fondo era pur sempre il più grande bluesman vivente e portarlo sul palco del “Liri Blues” era stato per me un orgoglio ed un evento straordinario. Salutai i musicisti e le coriste ma lui era già chiuso dentro il pullman e non voleva vedere nessuno come se avesse ricevuto gravissime offese…

Ma quei venti minuti così intensi che trasudavano blues vero con assoli di chitarra con poche ma toccanti note, che colpivano il cuore erano il segno tangibile della sua grandezza; solo un grande le può mettere insieme perché i musicisti veri amano l’essenza, l’equilibrio e non hanno bisogno di incantare con assoli torrenziali… quei venti minuti non li dimenticherò mai.

Molti grandi si sono esibiti al “Liri Blues” altri li ho ascoltati dal vivo in svariate occasioni… Ma quei venti minuti…

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