L’uomo del fiume (Il Duro del weekend)

Luciano Duro

Narratore e Sognatore

Luciano Duro
di LUCIANO DURO
Narratore e Sognatore

 

Sulla grande pietra sedeva il vecchio uomo. Non lontano aveva eretto una capanna, con quello che il fiume gli aveva donato, alberi sradicati dalla furia della corrente e rami provenienti chissà da dove. Trascorreva intere giornate al riparo di quel rifugio, d’inverno e d’estate ed era ormai quella la sua casa. Guardava l’acqua scorrere, limpida, senza sosta, ascoltava il mormorio del fiume, chiudeva gli occhi e pensava: “Se potessi fermare il tempo ed afferrare con una mano l’attimo, per decidere della mia vita, vorrei che il mio corpo si sciogliesse come neve al sole e divenisse acqua, chiara, pura come la sorgente che sgorga dalla roccia. Se potessi scegliere, vorrei essere fiume, cercare con fatica la mia strada, correre, divenire grande, impetuoso e forte, poi abbracciare l’immensa distesa azzurra e trovare pace e serenità nel mare.” Voi affermerete convinti che il fiume non parli! E invece racconta storie antiche di tempi lontani e di mondi distanti che incontra lungo il suo fluire. L’uomo e il fiume si conoscevano bene, insieme cantavano ed intonavano versi. A volte l’acqua, di notte gorgogliava, si increspava per sussurrare una melodiosa e struggente ninna nanna che solo entrambi sapevano e capivano : “Tu scendi, fiume dalla montagna. Io ti seguo, con la sorte che mi accompagna. E andiamo in cerca del mare..”

Il vecchio uomo e il fiume erano una sola entità, l’uno amava e rispettava l’altro e si ascoltavano reciprocamente.

Il primo incontro avvenne un giorno lontano, e non fu certamente cordiale, anzi tumultuoso. Era un ragazzo robusto e forte come il tronco nodoso di un giovane olmo, faceva caldo, Si tolse in fretta i vestiti per un bagno ristoratore. Il mare era un lusso per ricchi, ma lui non ci pensava neanche, la sua spiaggia era la riva del fiume e nei caldi pomeriggi d’estate l’acqua fresca e pulita era un richiamo irresistibile. Volle sfidare la corrente, aveva sentito parlare di quel tratto che gli anziani chiamavamo delle “Quattro Acque”. Lì il fiume era alto sette uomini, uno sopra l’altro e fare il bagno in quel posto era davvero pericoloso. Sebbene avesse imparato a nuotare, le preoccupazioni della saggia madre erano grandi, perché, diceva, del fiume non ci si può fidare. Può cullarti dolcemente ma poi improvvisamente ti trascina via con violenza o ti cattura nel fondo senza lasciarti scampo. Dalla riva, dopo una breve rincorsa spiccò un agile salto, gli parve di volare, poi planò sull’acqua e avverti una piacevole frescura che lo indusse a giochi acquatici spericolati. Era felice ed orgoglioso, se quel tratto era profondo sette uomini, sentì come il dovere di esplorarne il fondo, forse c’era un tesoro nascosto, inaccessibile e protetto, tante storie si narravano su quelle “Quattro Acque”.

Si diceva che il brigante Gaetano Mammone, incalzato dalla milizia francese il 22 maggio del 1799 avesse affidato al fiume i preziosi trafugati nelle sue scorribande.

Respirò profondamente e si immerse, cercò di tornare in superficie ma una grande mano lo tenne fermo, chiuse gli occhi e pensò di morire, invece si svegliò sulla riva con il corpo tumefatto e pieno di lividi come se fosse stato scaraventato con violenza fuori dall’acqua, poi una voce decisa nell’accento lo redarguì:” non puoi sfidarmi piccolo presuntuoso, sono io il più forte, potevo ucciderti, ma sei troppo giovane per morire, non ti sono nemico. Io ti ho conosciuto, hai coraggio, forza e anche l’incoscienza del cucciolo di capriolo che pretende di scalare le alte vette. Tu adesso devi conoscere me, percorri il mio corso, osserva e studia ogni corrente, i mulinelli, gli anfratti più nascosti, poi torna, solo attraverso una reciproca e profonda conoscenza si diventa amici.” il ragazzo si alzò da terra, ebbe un momento di incertezza, si guardò intorno, era solo ed allora capì che il fiume aveva parlato. Per giorni e giorni camminò lungo la riva, si avventurò in luoghi stretti e tortuosi, scoprì angoli meravigliosi dominati da una atmosfera senza tempo, ascoltò il mormorio lieve e prolungato ed il fruscio di foglie mosse dal vento. L’acqua era limpida e procedeva lenta trasportando un ramoscello d’albero poi, come in preda ad un improvviso turbamento, si racchiudeva in se stessa e formava un mulinello che attirava nel fondo, in un vorticoso giro di valzer, il ramo con le foglie. A volte il fiume accelerava la sua corsa e generava correnti dalla forza inaudita, capaci di trascinare anche un bue vivo.

Una notte sostò a lungo sul ponte, era così assorto nei suoi pensieri quando mille voci sovrapposte incominciarono a sorgere dall’acqua, prestò l’orecchio ed ebbe la netta sensazione di distinguere le grida di rabbia, le allegre risate, i pianti disperati, i sussulti di gioia, ogni voce raccontava una storia e tutte insieme la storia della sua Isola. Acquistò coscienza di quanto ignorante fosse e quale grande maestro avesse trovato . Tornò alle “Quattro Acque”: “Ecco ho colto di te ogni aspetto ed ho appreso più di quanto altri potessero insegnarmi.”

Il fiume parlò: “ Non tutto ragazzo, vai ai piedi della grande cascata, lungo la parete rocciosa, è nascosto l’ingresso della grotta che conduce sopra il parco del castello, lì incontrerai un uomo dotto e gentile, ti parlerà, lui accrescerà il tuo sapere.” Così fece, lo videro mulinare con forza braccia e gambe, poi immergersi, evitare il salto delle acque e sparire. Percorse parte del cunicolo, man mano che si allontanava, il fragore dell’acqua giungeva alle orecchie come un’eco lontana e si trasformò presto in una cantilenante melodia, si adagiò al suolo, cadde in un sonno profondo e… sognò. Non seppe dire fino a che punto il sogno si tramutasse in realtà perché avvertì nella grotta una strana ed inquietante presenza, parlava con voce flebile che sembrava arrivare dal profondo di un abisso. “… E cingendo la rocca da tre bande, va con un ramo a precipitarsi alla banda sinistra da una balza fatta dalla natura, d’altezza più di 150 palmi, giù nella terra dove s’habita, con strepido grandissimo. In questa caduta l’acqua manda in alto un polverino si grande che io per me mi sarei creduto che la terra posta nel basso havesse non solo da restarne humida, ma bagnata sempre; niente di manco si vede con la esperienza che cadendo il fiume perpendicolarmente con tanta furia, causa tale e sì fatto vento e sì continuo che porta tutto il detto polverino alla sponda di fuori, per causa di certa rivolta humidità sua onde detta sponda ne piove sempre e abbonda di rivoletti d’acque perpetui che ritornano nel fiume… E tu al suolo adagiato, come su letto di piume chi sei cosa fai nelle viscere della mia rocca, nella terra dove io a lungo vissi quale preferita dimora del ducato?”

Vide nel sonno quell’uomo dallo sguardo fiero e finemente vestito che pareva uscito dalle pagine di un libro di storia. Era di statura più breve che lunga, ossuto ma muscoloso, agile e magro, non fece in tempo a chiedere chi fosse, perché fu lui stesso a presentarsi con fare gentile. “ Sono il Duca Jacopo Boncompagni vissuto dal 1548 al 1612… Ma io ti conosco ! Tu sei quel ragazzo che ha sfidato la forza del fiume! Nel buio della notte, dalla torre ti osservo, quando ascolti il fluire dell’acqua. Saresti stato l’eroe del mio ducato e ti avrei riservato le più grandi delle onorificenze… Ma questo paese è cambiato, non è più tempo di eroi. Trasformai il palazzo ducale ampliandolo e decorandolo con pregiati stucchi e fini ornamenti, costruii poi un teatro per accogliere i più rinomati musici e letterati; favorii l’introduzione dell’arte della lana “alla maniera fiorentina”… Questo paese e cambiato …Non è tempo di eroi… Non è tempo di eroi, non ascolto più il rumore delle turbine alimentate dal fiume …Questo paese è cambiato!”

Si svegliò e saltò in piedi, improvviso e rapido, come una forza tenuta in stato di tensione. Rovistò con lo sguardo nella grotta alla ricerca del Duca, ma era solo, le nebbie del tempo avevano ricondotto Jacopo Boncompagni nella dimensione dalla quale era arrivato. Ancora una volta tornò nelle “Quattro Acque”, si sentiva ormai pronto per stringere quella forte amicizia.

Vieni ragazzo, siedi su quella pietra ho molto da raccontarti: “ Nacqui dal parto di una roccia, ero già nel ventre della terra quando venni alla luce, con pressione, da un’apertura stretta, ero niente altro che un sottile getto di acqua. Come un bambino ho imparato a camminare attraverso valli scoscese, mi sono fatto strada tra le montagne divenendo sempre più grande e forte. Ho reso fertile la terra che ho lambito. L’uomo si nutre dei miei pesci, mi usa per produrre energia elettrica, per irrigare i campi, sono stato la prima via di navigazione per il trasporto del legname, eppure non mi ama, mi costringe in rigide sponde e mi imprigiona in ampi e profondi invasi, vuole imporre il mio corso. Scarica dentro me ogni tipo di liquame, spazzatura di cui liberarsi e i pesci muoiono, le anguille sono sparite come pure i gamberi, le sponde non sono più verdi e gli alberi grigi scheletri. E’ per questo che di fronte alle offese e tanta ingiustificata violenza esplodo in atti di rabbia e di risentimento, esco dal letto e travolgo tutto ciò che si frappone tra me e la mia vendetta. Tu sei diverso dagli altri, vieni ancora da me, ci sarà un tempo che ti allontanerai, diverrai grande, avrai famiglia ma tornerai perché c’è un segreto che dovrò ancora rivelarti ma non adesso, sei ancora un ragazzo.”

Le stagioni della vita si susseguirono, era ormai grande e una folta barba incorniciava il viso, spesso si recava sulla riva del fiume. Dopo la famiglia e il lavoro nella grande cartiera, lì era la sua seconda casa, vicino all’amico fedele al quale confidava i suoi pensieri, con il quale divideva i momenti felici e quelli più tristi e lui l’amico di una vita lo ascoltava e dava consigli. Il ragazzo divenuto uomo era ora un bigio signore di mezza età, aveva attraversato la grande guerra, era stato privato dell’affetto della sua compagna di sempre ed il figlio era emigrato in cerca di fortuna. Le visite alle “Quattro Acque” erano col tempo più frequenti fino a quando negli anni costruì sulla riva quella capanna in cui, ormai vecchio, viveva. Di tutto quello che aveva bisogno lo donava con generosità il fiume. Frequentava piccoli amici: una volpe, una coppia di nutrie, tante varietà di uccelli, un gatto randagio, li chiamava per nome e con loro si intratteneva e divideva il cibo.

Talvolta qualcuno in un momento di sconforto, senza alcuna speranza e perciò oppresso da un grave abbattimento morale, si lasciava cadere nell’acqua per togliersi la vita, l’uomo, come Tobia, il pio israelita che dava sepoltura ai morti in battaglia, sottraeva alla corrente gli annegati, con un atto di cristiana pietà, li liberava dal fango, li ricomponeva e li consegnava alle famiglie come fossero addormentati, in un riposo eterno.

Il tempo passava e come il fiume scorreva, lento e senza sosta e l’età avanzava, il suo corpo era ormai curvo e il deperimento delle articolazioni compromettevano la mobilità, ma attendeva: quale segreto doveva svelargli il fiume? Spesso il ragazzo, divenuto uomo, poi un signore di mezza età, ora vecchio, chiedeva con insistenza, ma si levava la voce profonda: “non è ancora tempo.”

Un giorno preso dalla disperazione e stanco di vivere si inoltrò lentamente nel fiume, affondò in un baleno fino al collo, era fermamente deciso a lasciarsi andare e sparire, quando vide riflesso il proprio viso stravolto, la pelle avvizzita, poi d’improvviso comparve l’immagine di se stesso bambino, in un rapido susseguirsi l’uomo, poi ancora il vecchio. Il bambino, l’uomo e il vecchio si alternavano continuamente. Restò a lungo immerso, quando dall’acqua si levò la voce del fiume: “ Ora hai appreso anche tu il mio segreto, non ho più nulla da rivelarti, il fiume si trova ovunque in ogni istante, alla sorgente e alla foce, in montagna come in pianura, per me il presente, il passato, e l’avvenire, non esistono perché io sono sempre, sebbene muoia nel mare, ancora rinasco e così sarà, per un tempo infinitamente lontano. La mano degli uomini potrà distogliermi dal naturale fluire, ma io ci sarò. Il tempo è un problema per quelli che corrono aggrappati alla vita come al lembo di una coperta trasportata dal vento, per me il tempo non esiste. ”

Il vecchio uomo tornò sulla riva e si sedette sulla grande pietra.

Il fiume scorreva, scorreva calmo e lieve. Guardò nel cielo le nuvole scure che facevano presagire un’abbondante pioggia…Acqua che si ricongiungeva ad altra acqua…

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