Il salone del barbiere (Il Duro del weekend)

Luciano Duro

Narratore e Sognatore

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Luciano Duro
di LUCIANO DURO
Narratore e Sognatore

 

Un luogo rigorosamente maschile, i grandi avevano l’abbonamento: la barba un giorno si e un giorno no e i capelli una volta al mese. Il salone del barbiere si frequentava spesso, come un ritrovo, nei gelidi pomeriggi d’inverno, anche se non c’erano capelli e barba da tagliare. Si raccontavano fatti di cronaca paesana, aneddoti, barzellette, si scherzava. Se c’era qualcosa che volevi sapere, nulla di più indicato del salone del barbiere, prima o poi la notizia veniva fuori: “corna”, ripicche, truffe, amori impossibili, era il luogo più pettegolo della città.

Il Barbiere assorbiva ogni cosa, sapeva tutto di tutti, ma era sempre rigorosamente professionale, nel suo camice bianco che sembrava un dottore, a parlare erano gli altri, i clienti, lui mai interveniva. Potevi leggere il giornale sportivo e parlare di calcio, le discussioni si facevano allora accese perché, come è noto, nello sport nazionale ognuno si reputa allenatore e poi nulla c’è di più intoccabile: si cambiano case, macchine, compagnie, talvolta le mogli, ma una squadra, la si sceglie da piccoli, non si abbandona mai, si difende e non si tradisce.

Alle pareti pochi ornamenti e decorazioni, che io ricordi, una foto della locale compagine calcistica, il calendario della “Linetti”, una gigantografia del 1952 che ritraeva Coppi e Bartali che si passavano la borraccia sulle strade roventi del Tour, mentre stavano scalando i duri tornanti del Galibier. La storica immagine faceva il paio con “la bersagliera”, Gina Lollobrigida nel film “Pane, amore e Fantasia”. A Natale il calendario da tasca, profumato, con le donnine in costume da bagno, era molto gradito, si elargiva una mancia depositata quasi sempre in un vaso di vetro trasparente, non si poteva fare brutta figura, a vedere erano tutti i presenti.

Ricordo che quando il babbo era a lavoro, trafugavo dalla sua giacca il calendario per mostrarlo ai compagni di gioco, orgoglioso di esibire qualcosa di proibito, in fondo erano attrici note, in un castigato costume, che lasciava intuire le forme e con le sole lunghe e tornite gambe in bella evidenza. Quel profumo di cipria, delicato, ma anche persistente, era inebriante, per bambini che volevano crescere in fretta.

Il taglio dei capelli per i più piccoli era una tortura, seduti sulla seggiola a forma di cavallino, si agitavano e piagnucolavano, un’impresa d’avvero faticosa e paziente.

Nel salone c’erano almeno due ragazzi ad imparare il mestiere, anche loro con il camice bianco, servizievoli e ben istruiti, infatti non parlavano mai e rispondevano solo alle sollecitazioni del capo. Se erano alle prime armi, guardavano attentamente o si limitavano ad “insaponare” il volto, poi la rasatura era compito del maestro che usava quel rasoio con mano leggera e sicura, quasi stesse dirigendo un’orchestra. L’antica arte della rasatura, con il rasoio a mano libera, era per il cliente un momento squisitamente riflessivo ed autocelebrativo, un omaggio all’esser nati maschi e al proprio spirito virile ed il barbiere ne era consapevole. Finita l’operazione un pizzico di crema spalmata con delicate e ritmiche carezze sulle guance.

La pulizia e l’ordine dovevano essere esemplari, l’asciugamano bianco, in panno di tela, profumava di pulito ed il taglio dei capelli era lungo ed elaborato, uno dei ragazzi con la scopa li raccoglieva man mano che cadevano affinché il locale non desse la sensazione di essere sporco.

Il Barbiere era un artista, quasi uno scultore, conosceva tutti i tagli, dal tradizionale“’Umberta” a quelli più moderni, ma la sua abilità maggiore era “il riporto”, trasportare cioè i capelli da una parte all’altra della testa come una sorta di ponte per coprire un’ incipiente calvizie. Quando tutto era finito, un tocco di brillantina, il borotalco dietro il collo e una scrollata all’asciugamano: “Ecco, servito. Ragazzo spazzola!”.

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