Il senso della vita (Il Duro del weekend)

Luciano Duro

Narratore e Sognatore

Luciano Duro
di LUCIANO DURO
Narratore e Sognatore

 

C’era ad Isola del Liri un vecchio signore, non molto alto, sempre elegantemente vestito di grigio, camicia e cravatta a tono; aveva capelli bianchi a spazzola, ritti e forti. Viveva da solo poiché era rimasto vedovo ancora giovane. Il suo unico fratello, emigrato in Canada, messo su famiglia, non aveva più fatto ritorno.

Era al fronte quando la sorte si accanì su sua moglie, durante il bombardamento del ’44. Finita la guerra, aveva avuto un posto da impiegato nella grande fabbrica come risarcimento di tutto quello che gli era stato tolto: una compagna con la quale aveva sognato di vivere felice e la spensieratezza degli anni giovanili.

La solitudine lo avvolgeva, e mano mano gli anni avanzavano inesorabilmente senza che ne avesse contezza. In fondo che importanza aveva per lui il tempo? E quel posto di lavoro che gli aveva assicurato una vita senza affanni, poteva ripagare tutto quello che pativa, la sofferenza di una esistenza incompiuta?

Ogni mattina si recava dal tabaccaio di fronte casa e comprava una busta e un francobollo; tutti i giorni, escluso la domenica. La voce correva per il paese, ognuno la raccontava a suo modo. Alcuni asserivano, convinti, che avesse una donna in quel di Pavia, una vecchia fiamma giovanile mai spenta, altri che scrivesse denunce anonime, tanto che i carabinieri, insospettiti, lo convocarono un giorno in caserma e lo sottoposero a un duro interrogatorio. Non rivelò fino a tarda età a chi erano indirizzate quelle missive: era un uomo riservato, onesto e sobrio nel condurre la sua vita di vedovo, figli non ne aveva perché la moglie l’aveva lasciato troppo presto, e lui era rimasto sempre fedele a quell’unico amore di gioventù. Non aveva bisogno di nulla e di nessuno; rassettava la casa, faceva la spesa, cucinava, lavava e stirava. Bastava a se stesso. Ma perché e a chi scriveva ogni santo giorno? Di solito quando si è soli il tempo non trascorre mai, si fanno le parole crociate, ma lui no, scriveva lettere. Qualche buontempone del paese si appostò e lo seguì nel momento in cui si apprestava ad imbucare, per sbirciare l’indirizzo del destinatario, ma nulla traspariva. L’uomo si guardava intorno, poi con un insolito e repentino movimento, faceva scivolare la busta dalla tasca alla cassetta postale.

“A chi scrivi alla fidanzata?” Un conoscente gli diceva con tono di burla, lui zitto, mistero fitto. Ma come ogni mistero in un piccolo paese diviene l’argomento di tutti. Se ne parla al bar, dal macellaio, in piazza. Deve essere svelato, è un’impellente necessità soddisfare la curiosità collettiva.

Un giorno, ormai logorato dalle tante domande, dai malintesi e dalle malignità scrisse un grande manifesto, di cui mi pregio riportare il testo, e lo affisse al centro del paese.

Cari concittadini, per un lungo periodo ho scritto a Sua Eccellenza il Vescovo ma non ho avuto risposta; ho interpellato, con le mie missive, il Santo Padre ma neanche dal Reverendissimo ho avuto riscontro alla mia richiesta. Domando a voi, miei dotti concittadini, che a lungo avete acquisito ampie e approfondite conoscenze, di dar risposta al mio interiore travaglio.
La sera arriva, e io non ho fatto neanche in tempo ad accorgermi di vivere! Ed allora, un po’ sconfitto, talvolta ho chiesto a me stesso: «Quale è il senso della vita?»
Io della mia vita non ho deciso nulla… Sono nato per decisione altrui; ho combattuto una guerra che non volevo; ho perso una moglie adorata per via di un bombardiere americano e Dio sa quanto ho sofferto; ho lavorato fino alla pensione. Il lavoro me lo hanno dato ma non l’ho scelto. Non ricordo proprio di aver deciso alcunché.
La stragrande maggioranza di voi trova un significato nel proprio vivere, nell’amare, nei propri figli, o si dà una missione personale.
Io ho perso quello che avevo e quello che potevo avere, non ho missioni da compiere.
E se invece un senso ci fosse, appena dietro l’angolo, a un passo da me? Sento che mi scappa via continuamente.
Ho scritto, ma nessuno mi ha risposto e allora ho pensato: Siamo poi sicuri che è necessario dare un senso alla vita?
Ho deciso così di vivere inconsapevolmente, senza pormi domande…

Questo era il testo del manifesto che scrisse con calligrafia pulita e chiara, suppongo come le missive spedite.

Ma qualcosa di insolito accade e io stesso ne restai sorpreso.

Un mattino, accompagnando i miei figli a scuola, lo vidi che stringeva la mano a un bimbo; lo conduceva fino al cancello; poi a mezzogiorno attendava che uscisse, si univa a lui nel cammino e, con lo sguardo lo seguiva fino a quando il massiccio portone marrone di casa si chiudeva. Era il figlio di un suo vicino. La maestra in occasione del 4 Novembre, giornata dell’unità nazionale, aveva spronato i piccoli alunni a raccogliere testimonianze sulle atrocità della guerra. Il bambino non aveva nonni e quel signore così perbene sembrò il complice ideale per la sua innocente intervista. Quando bussò alla porta, l’uomo fu sorpreso ed indeciso se aprire; nessuno l’aveva più cercato da anni, chi mai poteva essere? Lo averebbe liquidato in un attimo; non voleva che qualcuno violasse la sua riservatezza, che entrasse in quel tempio della solitudine. Tuttavia superata ogni incertezza, spalancò l’uscio e vide con sorpresa un piccolo, grazioso bambino dai lunghi capelli bruni che si rivolse a lui con grande garbo: “Buongiorno signore,la disturbo? Mi hanno detto che lei è stato soldato in guerra e la maestra ci ha chiesto di raccogliere testimonianze, la prego mi aiuti”.

Il suo cuore si sciolse come la neve nei primi giorni di primavera, mai nessuno gli aveva chiesto aiuto, forse non era così inutile, aveva qualcosa da dare e perché doveva tenerla, inaccessibile e chiusa tutta per sé? Gli incontri con il bimbo si succedevano quasi ogni giorno, lui l’attendeva con ansia, raccontava della sua vita, della guerra, di sua moglie. Un pomeriggio il piccolo portò una rosa e invitò il vecchio a deporla sulla tomba della defunta signora, egli trattenne a stento le lacrime di commozione; non era più solo nel suo dolore, qualcuno lo aveva condiviso, con quel fiore che profumava di solidarietà. Un bimbo così fragile, con la sensibilità del cuore gli aveva teso la manina. Nei mesi successivi si videro quotidianamente; l’uomo aiutava il bambino nei compiti scolatici. Un giorno la madre andò con un dolce da lei preparato: “ Signore la prego, lo accetti, è un’idea di mio figlio, è un ciambellone, è buono come le cose fatte in casa…”. A Pasqua fu invitato a pranzo da quella famiglia; l’invito lo intimidiva, ma il piccolo lo supplicò a lungo e lui accettò. Comprò una bottiglia di vino buono, indossò il vestito migliore e andò. Quella casa aveva il tepore lieve e gradevole della tranquillità; in quelle stanze traspariva felicità, sobrietà, l’amore per le cose semplici; nulla eccedeva.

Il bambino si alzò sulla sedia e recitò la poesia pasquale, così come l’aveva imparata a scuola, diede un bacio prima al papà, poi alla mamma e per ultimo all’amico, anzi sedette per un po’ sulle sue ginocchia.

Quel bimbo aveva risvegliato in lui la voglia di vivere; si era scosso da un lungo letargo di anni. Un mondo nuovo schiudeva le finestre davanti a quell’uomo stanco e provato dalla vita; persino il profumo del caffè che al mattino gorgogliava dalla caffettiera era qualcosa di inebriante. Lo aveva sempre preparato con cura ma mai quel profumo era stato così gradevole, era il segno di un nuovo giorno che iniziava, c’erano i compiti da fare con il giovane amico. Quando in estate la scuola era chiusa, andavano a passeggio lungo il viale; glie lo affidava la madre.

Lui, seduto sulla panchina, lo guardava, mentre giocava con gli altri e gemeva di gioia. Comprese allora che tutto quello insistentemente chiesto era a portata di mano, proprio a un passo. Aveva cercato la felicità ed il senso della vita nei luoghi più lontani dell’anima; si era affannato a scalare le vette più ardite, a cercare i “perché” sopra le stelle e dentro i libri; si era aggrappato alle tonache dei profeti e dei maestri con la speranza di trovare le risposte. Concluse che la vita era meno complicata di quanto possa apparire; l’uomo la rendeva difficile guardando lontano ciò che è vicino.

Una notte sognò un fanciullo dai riccioli biondi che andava da lui.

Era proprio come il figlio che aveva sempre sognato: un bambino bello come non ne aveva mai visto prima; era completamente vestito di blu cielo. Era blu come può essere solo il cielo in certi giorni, e soltanto in quelli benedetti. Parlò nel sonno: “ Vieni, giochiamo, aiutami a tornare bambino, aiutami a ricominciare…”. Fu svegliato da un bussare insistente alla porta, mise in fretta i pantaloni e corse ad aprire; era il suo piccolissimo amico: ” Vieni, andiamo, fuori c’è il sole, è una giornata bellissima, spero che tu non abbia da fare…”

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