
Il 1° Maggio, festa dei Lavoratori. ma sarebbe più giusto se fosse la Festa del Lavoro. Perché oggi non è più sufficiente la suddivisione tra lavoratore e imprenditore: siamo in un ecosistema lavorativo che richiede rispetto reciproco e visione comune per una crescita di tutto il territorio.
Puntuale come ogni anno: non per sensibilità ma per ciclicità del calendario. Che se dipendesse da noi, forse i diritti dei lavoratori ce li siamo dimenticati. Dietro l’angolo c’è il 1° Maggio: con cortei, slogan, concerti e celebrazioni.
È la festa del Lavoro, certo. Ma oggi tutto cambia. Ed è doveroso chiedersi di quale lavoro parliamo oggi? Quello del dipendente con la busta paga a fine mese? O quello della Partita Iva: che una volta erano i professionisti mentre oggi sono gli sfruttati ai quali nessuno offre un’assunzione e così risultano microimprese, imprenditori di se stessi. Ma è lavoro anche quello dell’imprenditore che rischia tutto per avviare un’idea. E quello di chi, alle loro spalle, si adopera per fare si che ci siano le condizioni per fare quegli investimenti e renderli produttivi.
Il lavoratore che cambia

Negli ultimi anni, il concetto di “lavoratore” si è allargato e trasformato. Non basta più il binomio classico tra datore e dipendente. Il tessuto produttivo è ormai una rete complessa fatta di visioni, iniziative, capitale umano e capacità di scommettere sul futuro. C’è chi manda avanti l’azienda giorno per giorno. Ma c’è anche chi l’azienda la inventa da zero, e chi – ancora prima – costruisce le condizioni perché quell’azienda possa esistere: infrastrutture, ricerca, educazione, politiche industriali. È un ecosistema, non una catena di montaggio.
Forse allora è più giusto parlare di festa del Lavoro. Quello di chi manovra i macchinari, quello di chi scommette sulla capacità di fare quei prodotti. Smettendo, così di guardare con sospetto chi investe: e mettendo sullo stesso piano le due facce della stessa medaglia. Dando lo stesso rispetto all’opera di entrambi.
La festa del lavoro

Il 1° Maggio deve essere la festa di chi timbra un cartellino e di chi va in ufficio egualmente ogni giorno, prima di tutti, senza dover timbrare. Quando capiremo che siamo tutti sullo stesso piano, con eguale rispetto, allo ci saranno le condizioni per una vera crescita. Non economica, ma culturale. Perché il lavoro non nasce dal nulla. Nasce da un’idea, da un capitale, da una politica lungimirante, da una scuola che funziona. Tutto questo è lavoro. E tutto questo merita di essere festeggiato.
Solo quando il 1° Maggio diventerà davvero la festa di tutti, potremo parlare di un Paese che guarda avanti, invece di guardarsi i piedi.