La liberazione di Cecilia Sala traccia un profilo che avevamo dimenticato. E che non è mai troppo tardi per recuperare
Piaccia o non, il ritorno di Cecilia Sala a casa rappresenta un successo diplomatico che disegna un profilo internazionale di spessore per l’Italia.
Innanzitutto per i tempi. In Iran, con vari pretesti, diversi cittadini occidentali sono o sono stati detenuti per Sequestri di Stato del tutto analoghi a quello della giornalista italiana. Ma i loro casi si sono risolti soltanto dopo mesi: non dopo settimane.
Che il caso fosse in via di definizione già da giorni lo dicevano una serie di evidenze: la richiesta di spegnere i riflettori, il viaggio lampo della premier negli Stati Uniti, le dichiarazioni iraniane secondo le quali non c’erano collegamenti con l’ingegnere di Teheran fermato a Malpensa. Nel linguaggio della diplomazia sono tracce evidenti.
La sostanza è che l’Italia ha dimostrato di avere capacità di interlocuzione con gli Stati Uniti: Giorgia Meloni si è fatta ricevere dal presidente designato dopo una semplice telefonata. E nel momento in cui l’Europa è insignificante nella geografia di Donald Trump, questo indica molto.
Il che ci attribuisce un patrimonio di credibilità che è una delle pedine di scambio con l’Iran: che al suo interno ha un’ala di colombe intenzionata a non chiudere tutti i ponti con l’Occidente. Da oggi è evidente che uno di quei ponti siamo noi.
E piaccia o no, questo Governo può intestarsi il risultato: senza bisogno di riscatti in denaro, senza doversi abbassare i calzoni. Il che ci restituisce una dignità che in tempi recenti avevamo dovuto mettere da parte.