Senza ricevuta di ritorno. La raccomandata del direttore su un fatto del giorno. Piero Marrazzo e Francesco Storace sorridenti di fronte ad un caffè. Una foto che insegna molte cose alla politica di oggi
La foto, scattata con uno smartphone, li ritrae sorridenti uno accanto all’altro. Un po’ appesantiti dal tempo: vent’anni non sono un battito di ciglia. Nemmeno per loro. L’inquadratura taglia la sagoma all’altezza delle mani: segno che lo scatto è stato affidato a qualcuno di passaggio, certo non lo fa di mestiere. Pochi millimetri tradiscono una tovaglia, una saliera ed una tazzina di caffè. Si sono visti ed hanno chiacchierato Piero Marrazzo e Francesco Storace.
Sono due delle icone recenti della Regione Lazio, simboli di due stagioni che per un tratto si sono sfiorate e poi sovrapposte. Francesco Storace è stato il Governatore che ha amministrato tra il 2000 ed il 2005: la sua è stata una stagione di grandi opere, infrastrutture, in un Lazio con una visione di prospettiva. Incombeva già il conto da pagare per una Sanità fuori controllo: Storace tentò di mettere in sicurezza i conti con la ‘cartolarizzazione’.
Piero Marrazzo ne prese il posto dal 2005 al 2009. Recuperando oltre dieci punti di svantaggio. La sua fu una Regione che dovette affrontare il riordino nazionale dei conti, poco o nulla per gli investimenti, un piano di ridefinizione della Sanità non più rinviabile.
Il caffè con l’avversario
La voce, l’acutezza, la preparazione, il sarcasmo, la competenza di Storace sono state le grandi assenti nell’Aula della Regione quando ha deciso di dire basta. La spinta, la chiarezza, la capacità di coinvolgimento, il senso di immedesimazione che trasmetteva Marrazzo non l’hanno più avuto altri.
La foto che li ritrae affianco, sorridenti, davanti ad una tazzina di caffè è una lezione. Per la politica di oggi. Alla quale ricordare, forse scaramanticamente, che pure 10 punti di distacco si possono colmare. E che si può essere avversari, dando vita a scontri feroci, portando avanti visioni legittimamente diverse. Ma mai nemici.
Come accadeva lustri fa a Sezze: dopo il ferocissimo dibattito in Aula tra il relatore comunista Titta Giorgi che inveii, ricambiato, contro il rappresentante del Msi Sesé Caldarini. Durissimi, veementi, con toni di voce alti… appassionati. Il primo era l’emblema dei contadini setini, il secondo lo era della della borghesia cattolica; fabbro il primo, avvocato il secondo. “Dio mio si ammazzeranno” pensarono i presenti: finito il consiglio andarono a cena in trattoria dove continuarono la discussione. (Leggi qui: Quando nella Politica c’era il rispetto).
Così è possibile potersi rivedere, anni dopo, sorridenti, davanti ad una tazzina di caffè.