
Sarà la bellezza a salvare il mondo. Ad Anagni, nela ex chiesa della Madonna del Popolo, la stessa scena dei musicisti sul ponte del Titanic. Non per indifferenza: ma per generare bellezza contro le brutture del mondo. parola di Jago. E Spreafico.
«Talvolta, come i musicisti sul Titanic, noi artisti continuiamo a suonare». Parole che sembrano scolpite sulla pietra: non a caso le ha pronunciate Jago, lo scultore anagnino che sta facendo concorrenza a Michelangelo.
In quella frase c’è tutta la morale di una storia che sa di speranza, di visione, di salvezza. Perché oggi, in un mondo che sembra affondare tra guerre, solitudini, consumismi stanchi ed egoismi, c’è chi decide di restare sul ponte. Di suonare. In questo caso impugnando non archetto e violino ma martello e scalpello. E di farlo in un’antica chiesa, chiusa da anni e riaperta non al culto, ma alla bellezza. (Leggi qui: Il ritorno a casa di Jago. E il vescovo che crede nell’arte come vangelo laico).
Ad Anagni, nella Madonna del Popolo, non si celebra più messa. Ma si celebrerà l’arte. E sarà, in fondo, un’altra forma di liturgia. Laica, ma non meno sacra. Perché a volerla così non è un’operazione commerciale, né una strategia urbanistica: è la scelta morale – e pastorale – di un vescovo. Ambrogio Spreafico, che ha deciso di affidare la chiesa sconsacrata a uno scultore “di casa” ma dal respiro globale: Jacopo Cardillo, in arte Jago. Non per affittare uno spazio. Ma per accendere una luce.
Gesto di fede

Per il vescovo, questo è un gesto di fede nel potere rigenerante della bellezza. «Un segno per la città», ha detto. Perché Anagni, come tante città ricche di storia e povere di futuro, ha bisogno di punti fermi che non siano solo ricordi. La Madonna del Popolo torna a parlare. Non predica, scolpisce. Ma dice la stessa cosa: che la bellezza può salvare, che la comunità ha bisogno di luoghi vivi, che la differenza – come ha ricordato lo stesso vescovo – è l’unico antidoto al disincanto. (Leggi qui: Anagni rinasce con l’arte: la chiesa dimenticata diventa il laboratorio di Jago).
E allora Jago torna. Dopo il Rione Sanità a Napoli, dopo aver fatto parlare il marmo in mezzo al cemento, ora riapre ad Anagni una chiesa dimenticata. Per trasformarla in fucina. In laboratorio. In casa aperta dove la materia prende forma. Riempirla di opere ed aprirla alla città.

Qui non si vende nulla. Si condivide. Non si mette in scena un evento, ma si cura un’eredità. È un atto politico, sì, ma nel senso più alto. È la risposta dello scultore e del vescovo ad un tempo in cui si pensa che conti solo ciò che produce profitto. E invece è vero il contrario.
E se i musicisti del Titanic suonavano mentre tutto affondava, oggi c’è chi scolpisce, chi apre porte, chi mette insieme le forze per restituire alla comunità un luogo che non sarà più silenzioso. L’arte non scappa: resta. E ricorda a tutti noi che anche quando sembra tutto perduto, si può ancora credere nella resurrezione. Anche se passa da uno scalpello.
Senza Ricevuta di Ritorno.