
A prenderla ci aveva provato anche Stirpe. Menarinibus invece va ai cinesi. E questo dimostra due cose. In particolare: che non sappiamo e non vogliamo fare fabbriche
Ci aveva provato anche Maurizio Stirpe, con il vicepresidente di Confindustria Maurizio Marchesini e con Valerio Gruppioni di Sira Industrie. Provarono ad acquisire il polo italiano degli autobus, quello che fa capo a Menarinibus. (Leggi qui: Stirpe sale sul bus, vuole comprare Menarinibus).
Per salvarlo ci avevano messo mano Invitalia e Leonardo. Che dopo avere stabilizzato la situazione fecero presente come i bus non fossero il loro business centrale.

Lo cedettero, non alla cordata con Stirpe ma alla Seri Industrial della famiglia Civitillo. Giusto il tempo di un’estate, un autunno e mezzo inverno: i Civitillo vendono a loro volta. Ai cinesi di Geely che hanno in portafogli Volvo e Lotus ma anche quote di Daimler ed Aston Martin.
Le pagine finanziarie dicono che i Civitillo nei mesi scorsi hanno pagato 80 milioni, senza fare iniezioni di liquidità per rilanciare la fabbrica. Che è andata avanti a rilento.
Imprenditori senza impresa

Le riflessioni sono due. Lo abbiamo visto nei giorni scorsi con frigoriferi e lavatrici: i cinesi restano fino ad un certo punto, fino a quando conviene; poi quelle tecnologie che hanno comprato lasciano l’Italia e vanno in Oriente. Non possiamo lamentarci se i posti di lavoro spariscono: oramai gli imprenditori italiani comprano e rivendono, la produzione nessuno più la sa e la vuole fare.
I cinesi sono abilissimi mercanti ed hanno comprato. Difficile credere che gli abbiamo rifilato una sòla, più facile credere che loro abbiano fatto l’affare. E che noi non siamo più capaci di fare fabbriche.