
I medici che erano eroi quando rischiavano la loro vita per salvarci dal Covid non sono diventati improvvisamente asini. Perché non c'è una responsabilità di categoria. Ma sempre individuale
Le idee camminano sulle gambe degli uomini. Ed anche le loro azioni. È per questo che non esiste una categoria che sia tutta uguale: non è vero che tutti i giornalisti siano venduti, tutti i preti siano pedofili, tutti i commercianti siano ladri.
Vero è che ci siano giornalisti seri ed altri meno, preti che vengono meno ai voti presi ed altri che testimoniano la fede, commercianti onesti ed altri meno.
Vale anche per i medici. In questo Paese di caccia alle streghe impieghiamo pochissimo tempo tra alzare all’onore degli altari e trascinare nella polvere. I sanitari che rischiavano la loro vita per salvarci durante il Covid sono diventati all’improvviso degli asini: in tutta l’Italia. Anche a Cassino.
Cose scomode

Bisogna avere il coraggio di dire le cose anche se non sono di moda. Ma chi vi parla ha avuto la vita salvata due volte in 15 giorni da medici del Pronto Soccorso di Cassino. E sia detto con chiarezza: venivano da fuori, non erano di qui, non sapevano di avere un paziente con un minimo di notorietà, al quale riservare maggiore attenzione.
La prima volta per un ictus e grazie a loro ed a qualche Madonna senza lasciare segni. La seconda volta per una pancreratite innescata dall’intolleranza ad un farmaco: che hanno riconosciuto e curato.
Questo non significa che tutti i medici siano bravi, che tutti siano dei superficiali, che tutti pensino ai soldi e chi se ne importa se si accoppa la gente.

Significa che la responsabilità è personale. E se responsabilità c’è stata, o è stata fatalità nel tragico caso di Charles, lo studente morto dopo una caduta dal monopattino e per il quale da oggi 7 persone sono indagate, saranno le indagini della magistratura a stabilirlo.
Ma sarà sempre responsabilità personale. Non di una categoria.