
Chiudiamo gli occhi e non vogliamo vedere ciò che non ci piace. I ciechi invece non vedono perché non possono. E vivono in disparte perché noi non li guardiamo e non li coinvolgiamo. A fare eccezione è stata la cena avvenuta a Cassino
Accoccolati nella nostra comfort zone siamo convinti che il mondo sia solo quello che piace a noi. Chiudiamo gli occhi alle cose che ci passano accanto e sono diverse. Ci danno quasi fastidio i poveri, i migranti, gli ammalati, chi ha un problema.
C’è chi non vede perché chiude gli occhi. E chi non viene visto perché non vede: nel senso che è non vedente.
Di loro non ci accorgiamo, ignoriamo la loro realtà fatta di barriere invisibili e silenzi assordanti. Le città che dicono di essere moderne restano invece luoghi ostili per chi non può vedere. Marciapiedi nei quali è facile inciampare, segnaletica poco funzionale, gli occhiali neri ed il bastone generano indifferenza.

Questa mancanza di attenzione non è solo fisica ma soprattutto sociale. I ciechi vivono ai margini non perché vogliano isolarsi, ma perché il mondo attorno a loro si mostra incapace – o peggio, disinteressato – a includerli davvero.
Una risposta è arrivata l’altra sera da Cassino. Con una cena al buio, organizzata in un ristorante che per l’occasione ha oscurato la sala: ospiti 42 non vedenti, hanno assaporato le pietanze servite a tavola dai volontari dell’Unione ciechi.
Una cena durata circa tre ore con l’obiettivo di stabilire un contatto. E far vedere a noi nella comfort zone che nel buio ci sono persone, con la loro voglia di vivere e di stare insieme. Basta volerle vedere. Perché i veri ciechi siamo noi.
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