Una madre ferita ma lucida trasforma il dolore in un messaggio di umanità: contro la violenza, contro l’odio, contro la vendetta. Le parole diventano scudo, cura e resistenza. Perché solo l’amore costruisce
Le parole sono spade. È per le parole che spesso si viene ammazzati: perché mettendole bene insieme riescono a colpire, svegliare, rialzare, unire…
Possono fare tanto le parole. Chissà come ha vissuto il resto dei suoi giorni il capitano delle SS al quale il francescano padre Massimiliano Kolbe porse il braccio per la puntura di acido fenico con cui ammazzarlo per liberare posto nel campo di concentramento. Nel dargli il braccio padre Kolbe disse “Capitano, lei non ha capito niente: l’odio non costruisce nulla, solo l’amore crea”. (Leggi qui).
Le parole di madre

Lo sa bene la madre del quindicenne aggredito a Torino nella notte di Halloween. Ha preso carta e penna ed ha mandato ai giornali le sue parole: sono voce che non urla, non accusa, non cerca vendetta. Ma pesa.
Pesa perché dentro quelle parole c’è tutto: il dolore muto di un genitore che ha visto il proprio figlio spezzato, la volontà di ricostruirlo senza cedere all’odio, la lucidità di chi, nel momento più ingiusto, resta umano.
Non ci sono giustificazioni, non ci sono attenuanti. È stato un gesto deliberato. Codardo. Una violenza gratuita e costruita: un’aggressione che lascia segni visibili e invisibili, sul corpo e sulla fiducia.

Eppure, questa madre non si fa travolgere dal rancore. Dice “mio figlio è un leone”. Non è retorica, è resistenza. È la forza di chi sa che per tornare a vivere serviranno tempo, amore, pazienza e verità. Di chi, nel mezzo della tempesta, riesce ancora a dire ai coetanei del figlio: “Non fatevi giustizia da soli. Fermate l’odio”.
Parole per ricordare che la violenza non nasce all’improvviso, ma germoglia ogni giorno in una cultura che deride, isola, seleziona. Una cultura che chiama “debolezza” l’umanità.
Il manifesto
La madre del ragazzo ha anche detto che chi ha disabilità, qualunque essa sia, non deve mai sentirsi escluso. È una frase enorme, che suona come un manifesto civile. Una richiesta chiara: riconoscere l’altro nella sua interezza, non nella sua diversità.
E questa la vera condanna per gli aggressori, come per quel capitano delle SS.



