
La Sala Ovale, un tempo simbolo di importanti annunci, ora appare ridotta a teatro di satire. La differenza culturale tra Trump e la Juventus emerge: mentre Trump cerca provocazioni per affermarsi, la Juventus valorizza il rispetto e i fatti concreti.
È la stanza nella quale sono stati fatti gli annunci più solenni: la guerra della Democrazia alle dittature, la sfida per portare l’uomo sulla luna. E invece, da qualche tempo la Sala Ovale della Casa Bianca sembra una quinta di Zelig con le sue scenette satiriche. Come avvenuto nelle ore scorse quando il presidente Donald Trump incontra la Juventus.

L’uomo che incarna la linea di successione di George Washington con la sua secessione, Abramo Lincoln con l’affrancamento degli schiavi, John Kennedy con il suo Io sono di Berlino, non ha trovato di meglio che domandare «Potrebbe una donna giocare nella vostra squadra?».
Silenzio. Sguardi in cerca di appigli. E poi, con garbo tutto italiano, il general manager: «Abbiamo un’ottima squadra femminile». Tradotto: siamo nella polis, non nell’arena.
La differenza tra noi e lui
La Juventus, nel salotto buono della diplomazia statunitense, ha portato non solo una squadra ma una cultura. Quella aristotelica, fatta di misura, logica, distinzione tra categorie. E se da un lato Aristotele scriveva che “la virtù sta nel giusto mezzo”, Trump sembra prediligere l’iperbole, lo spiazzamento teatrale, lo show.
La differenza è tutta lì: per l’ex presidente ogni palco è un comizio, ogni interlocutore un’occasione per affermare sé stesso, ogni domanda un amo per innescare dibattito. Per la Juventus, invece, il palcoscenico è il campo e il silenzio educato una forma di rispetto.

Lo choc culturale non si misura solo nella domanda maldestra sull’inclusività — su cui il club ha già un’esperienza concreta, con una squadra femminile affermata — ma anche nell’uso dello spazio e del tempo. Per Trump, la Sala Ovale è un palcoscenico da dominare. Per i bianconeri, è un contesto istituzionale da onorare. Non solo. Per lui, la provocazione è metodo. Per loro, la compostezza è contenuto.
Qualcosa, da quella Sala Ovale, esce chiaro: in un mondo sempre più affamato di comunicazione istantanea, c’è ancora spazio per chi sa rispondere con misura, e magari, come Aristotele, sa che il modo migliore per trionfare è lasciare che a parlare siano i fatti. E un 5–0 in un torneo mondiale, francamente, basta e avanza.
Senza Ricevuta di Ritorno.