War Games, se la guerra diventa un gioco

La guerra volta pagina: smette di essere ammazzamento tra uomini per diventare 'gamification', cioè solo gioco a distanza. Ma questo abbassa ancora di più l'umanità sul campo di battaglia

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Ha guardato in faccia la morte. Indifferente, l’ha accolta con un sorriso di sfida: sapendo che dietro la telecamera del drone pronto a ucciderlo c’era un altro uomo con il dito sul grilletto

Intorno a quel soldato russo buttato a terra, le immagini dal fronte ucraino: desolazione e morte a fare da scenario ad un inedito duello a distanza tra uomo e macchina, tra uomo ed un altro uomo che guida da chissà dove quel quadricottero.

La locandina di Black Hawk Down

È quello sguardo di sfida, di battaglia perduta, dal sapore di Black Hawk Down (per chi l’ha visto) a fare la differenza. L’uomo è sdraiato a terra ed appoggia la testa sul braccio: come se dovessero scattargli una foto su un prato. E invece il mezzo indugia: come se per un attimo l’operatore al drone avesse esitato, perché non si spara ad un uomo a terra, non si uccide un uomo disarmato.

Ma la morte inflitta così è quasi “asettica”: la tecnologia sta trasformando la natura della guerra. Uccidere da remoto, attraverso un’interfaccia simile ad un videogioco, abbassa la barriera psicologica dell’atto di togliere la vita, rendendo la violenza un’azione meccanica, quasi impersonale. Hanno coniato un termine: “gamification”, riduce la vita del nemico ad una target.

La morte non è più solo un fatto tragico, ma diventa un contenuto strategico da diffondere e manipolare.

Nessuno saprà cosa avrà pensato il soldato russo, nessuno saprà cosa avrà pensato il soldato ucraino: una sfida consapevole alla morte o come una reazione di serena rassegnazione. 

La vera questione etica è se, in questo scenario, l’umanità possa ancora trovare spazio nel cuore della guerra. 

Senza Ricevuta di Ritorno.