
Il 19 marzo del 1994 venne ammazzato don Giuseppe Diana, il prete che si oppose alla camorra casalese. E che pagò per questo
Ce l’ha ognuno di noi, una foto del suo papà da sperdere sui social nel giorno che ai Papà è dedicato. Che sia un “babbo”, un ‘”padre”, un “pa’”, che sia vivente e meritevole della gratitudine dei vivi o morto e degno del rimpianto per i defunti poco importa. Questa è la giornata dedicata ai padri. A quelli che fino al 13 anni sono Godzilla e Superman messi a crasi, che dopo i 13 sono “Il Nemico” e dopo i 25 diventano quello che sono sempre stati davvero.
Persone che ci amano e che, dopo avercela data, hanno messo cento, mille volte la nostra vita prima della loro. E che quando se ne vanno non lasciano il vuoto di un affetto irrisolto, ma quello ancor più grande del rammarico per non averne date tonnellate di più, di affetto.
Ogni padre è un po’ “Peppino”

Ci sta, è umano, ed è bellissimo. Ogni padre in cuor suo di chiama Giuseppe, comunque si chiami, perché oggi è San Giuseppe, il padre meno padre di tutti e più padre di ognuno. Un padre unico, umile e capace di avere più figli di quanto non gli sia stato concesso. Perché al mondo ci sono papà universali e, guarda caso, uno di loro si chiamava proprio Peppino. E non aveva figli biologici, non avrebbe potuto. Peppino era don Peppino e faceva il prete.
Lo faceva in un posto ammalato della cattiveria mafiosa dei primi anni ‘90 e guarito da quella cattiveria grazie a persone che di mafia, anzi, di camorra, non ne volevano sapere. Don Peppino fece argine contro il contagio verso queste persone e permise al seme del Bene di attecchire nella Casal di Principe dominata dai Casalesi.
La sfida ai malommi
Casalesi che non amavano quel prete franco, tonico, nevrile e capace di scatti burberi e risate contagiose. Don Peppino era titolare della parrocchia di san Nicola di Bari a “Casale” ed era capace di dire dal pulpito cose terribili. Non perché fossero cose brutte, ma perché erano l’anticamera della morte per chiunque avesse un minimo di sale in zucca. Proteggeva i deboli e li spingeva a non convertirsi al Verbo dei malommi, don Peppino.

Era un padre, uno cioè che mette le vite degli altri prima della sua, e che lo fa di getto, senza sapere perché, ma solo intuendo che prima di salvare un’anima devi salvare un corpo. E preservare un sistema buono a discapito del Sistema. Pagò, don Peppino, pagò perché i padri alla fine pagano sempre per i loro figli.
Pagare pegno all’amore per i “figli”
E pagò il giorno del suo onomastico, oggi ma nel 1994. Nunzio De Falco decise e un altro Peppe, Giuseppe Quadrano, invece di celebrare il suo onomastico, lo raggiunse in sagrestia. Gli si avvicinò di soppiatto e sparò. Sparò più colpi fino a marezzare di sangue la sagrestia di quella chiesa sperduta nel mare cattivo di una Casale che è molto di più di quel che le cronache criminali raccontano. Cinque colpi: due alla testa, uno al volto, uno alla mano e uno al collo per ammazzare Padre Giuseppe Diana.
Martire vero che venne infangato da media compiacenti e venduti ed accusato di essere un cacciatore di prostitute ed un protettore del cancro che voleva estirpare. Con queste parole.
Le parole di un lottatore

“La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili”. E ancora: “Estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo”.
“Tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali”.
La prole immensa, e riconoscente
E “scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone. Esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato”.
Morì per quello in cui aveva creduto, don Peppe Diana, come farebbe ogni padre per suo figlio. E come fece un Figlio a suo tempo per tutti noi. Solo che lui di figli ne aveva molti di più. Siamo noi. Noi tutti. Che oggi, pur piangendoci i nostri, di padri, mandiamo un bacio a lui. Ed alla forza che ci ha saputo dare.