Le bombe su San Lorenzo a Roma nello stesso giorno in cui l'orrore della guerra rovinò sulla Valle del Liri. All'aeroporto di Aquino
*Alla cara memoria di Costantino Jadecola
Due eventi di grande portata si susseguirono nella giornata del 19 luglio 1944, ottanta anni fa. Era un lunedì, quando la chiesa cattolica celebra sant’Arsenio il grande, eremita («fuggi gli uomini e ti salverai»). Ed erano trascorsi solo nove giorni dallo sbarco alleato in Sicilia (operazione «Husky»). Quel 19 luglio dalle basi aeree nordafricane 500 aerei alleati si alzarono in volo.
Nella mattinata 300 bombardieri, seguiti da altri 200 aerei nel pomeriggio, raggiunsero Roma per bombardare, per la prima volta, la Capitale d’Italia. I mezzi di comunicazione americani annunciarono che era stato colpito al cuore lo snodo ferroviario di Roma Termini (quartiere San Lorenzo). In realtà gli ordigni caddero su un’area molto vasta della città comprendente anche i quartieri Tiburtino, Prenestino, Casilino, Labicano, Tuscolano e Nomentano.
Più di 1500 morti, quasi tutti civili
Alla fine si contarono più di 1.500 morti, quasi tutti civili, 11.000 feriti, 10.000 case distrutte e inagibili, 40.000 senza tetto. Nessuna autorità istituzionale o del partito fascista si fece vedere nei posti bombardati. Per portare un minimo di sollievo e di solidarietà alle gente incredula e attonita.
Solo il pontefice, papa Pio XII, accompagnato da monsignor Giovanni Battista Montini, visitò i quartieri colpiti dal bombardamento aereo. Le foto che lo ritraggono con le braccia allargate o a mani giunte. Con la popolazione romana che si stringe intorno al pontefice sono tra le più iconiche del drammatico momento.
Tra i morti di quel bombardamento ci furono anche varie persone di questo territorio. Persone che non sapranno mai che di lì a qualche ora anche il Cassinate sarà drammaticamente coinvolto dalle operazioni belliche. Infatti quello stesso 19 luglio la guerra faceva la sua prima comparsa sul territorio con il bombardamento dell’aeroporto di Aquino. Lo scalo già da qualche tempo veniva utilizzato dall’aviazione tedesca per voli con l’Africa del nord, Pantelleria o Lampedusa, adibiti al trasporto di truppe e rifornimenti.
Un bagliore nella notte di Aquino
Una giornata calda, estiva, quella del 19 luglio. La notizia del bombardamento di Roma era già arrivata ad Aquino. La popolazione locale era in apprensione per la sorte dei parenti residenti nella Capitale. Non giungevano altre notizie, anche il traffico ferroviario era paralizzato, nessun treno era più arrivato da Roma.
Alle ore 23:12 un improvviso bagliore squarciò le tenebre della notte. Era un razzo luminoso. Il comandante dell’aeroporto di Aquino aveva messo tutti in stato di pre allarme appena erano arrivate le notizie del bombardamento su Roma. Ma nessuno si aspettava un bombardamento sul campo d’aviazione: al punto che quegli aerei vengono scambiati per germanici e da terra gli viene fatta la segnalazione luminosa per coordinare l’atterraggio. Inizia invece il bombardamento dell’aeroporto.
Lo conduce una prima formazione di 30 apparecchi, forse bimotori: lanciano una serie di bengala rossi per illuminare l’area. A quel punto il capopattuglia sgancia una bomba da 500 chili seguita da numerosi spezzoni e circa 250 bombe sganciate dai gregari. Ma è solo l’inizio: arriva una seconda formazione, anche questa formata da una trentina di apparecchi: bombardano e spezzonano fino alle ore 1 della notte, sganciando bombe anche oltre la Casilina, sulle pendici del Monte Cairo. In tutto lanciano 300 tra bombe e spezzoni incendiari. Prima di andare via c’è un passaggio a bassa quota mitragliando e lanciando manifestini di propaganda.
Ben presto a terra l’area divenne, come ricorda l’avvocato Raffaele Nardoianni, un «gran braciere le cui fiamme, in tutta la loro vastità illuminarono sinistramente tutta la valle». Lo divenne a causa dello scoppio dei materiali militari accatastati e dei carburanti stoccati e che provocarono la distruzione di dieci aerei Junkers 52 della Luftwaffe. La gente di Aquino corse a rifugiarsi nei ricoveri, pregando, sperando, invocando. Tuttavia il bombardamento finì per coinvolgere ancor più pesantemente il limitrofo territorio di Piedimonte San Germano. Lì provocò le prime vittime civili, almeno sette.
Dannatamente efficaci
L’indomani mattina alle 7:30 arriva in auto il principe di Piemonte Umberto di Savoia. Proviene dal Gruppo Armate Sud (Sessa Aurunca). Si ferma all’ingresso dell’aeroporto ed interroga personalmente alcuni avieri ancora impegnati nel mettere in sicurezza l’area. Il principe ereditario manda il capitano Scotti del suo seguito ad informarsi direttamente dall’ufficiale in comando su quanto accaduto la notte precedente. Gli raccontano l’accaduto e spiegano che a rendere più difficile le operazioni di spegnimento degli incendi erano le bombe temporizzate: sono esplose fino alle 5 del mattino.
Alle 8 arriva il prefetto con il suo vice. Partecipano con i soldati italiani e germanici ad individuare le bombe inesplose: una parte verrà fatta brillare, per le altre dispone l’intervento degli artificieri del Presidio Militare di Frosinone.
Ci sono due feriti: il sergente maggiore Stelvio Avallone e l’aviere Alfredo D’Albo, più due avieri presi da tremito nervoso. Tutti vengono ricoverati nell’ospedale di Pontecorvo perché l’infermeria del campo è inagibile. Nelle file tedesche ci sono 2 morti ed un ferito tra il personale civile e tre feriti tra il personale militare.
Il bombardamento è stato dannatamente efficace: 34 velivoli risultano completamente distrutti, altri 58 sono stati danneggiati, l’autoparco registra la distruzione di 12 tra camion ed auto ed altre 12 risultano danneggiate. Officine e magazzini Blanchman von Blumenthal sono andati totalmente perduti, insieme a 5 baracche lunghe 42 metri per 12 e mezzo adibite a dormitorio, uffici e Direzione Voli, laboratori per le lavorazioni di precisione. Completamente distrutti l’officina, l’autoreparto, due aviorimesse. Danni alla palazzina allievi, alla centrale elettrica, alla rete idrica; gli impianti telefonici e telegrafici sono saltati.
La guerra tocca la Valle del Liri
Fu un evento traumatico, dirompente: per la prima volta un atto di guerra toccava un’area della valle del Liri. E per la prima volta la popolazione locale assistette a un bombardamento che ebbe dimensioni maggiori in quanto l’incursione aerea andò a colpire un’area circoscritta. Area dove si trovavano concentrate elevate quantità di materiali bellici e carburanti. I boati delle esplosioni, le fiamme sviluppatesi, sono rimasti indelebilmente impressi nella memoria delle genti del luogo.
Anche quelle che si trovavano a svariati chilometri di distanza da Aquino (i paesi sulle alture limitrofe, Castrocielo, Roccasecca, Colle S. Magno, S. Elia Fiumerapido, Isola Liri, Cervaro, Esperia, pure i monaci a Montecassino). E quella prima volta è stata raccontata da tutti quelli che hanno lasciato delle memorie scritte o orali della guerra.
Fino a quei momenti le operazioni belliche avevano sicuramente inciso sulle popolazioni del Lazio meridionale. Lo fecero provocando sofferenze e lutti all’interno di quelle famiglie che avevano i propri cari in armi sparsi sui vari fronti di guerra. Quindi famiglie che erano state colpite dai tanti militari caduti nelle glaciali pianure sovietiche, nell’arroventato deserto sahariano, nelle acque del Mediterraneo, nei Balcani. Tuttavia il 19 luglio ha rappresentato, nell’ambito della società locale, un momento di profonda modificazione della percezione della sofferenza. Improvvisamente trasformatasi da sofferenza di tipo privata e familiare (genitori, mogli, figli, parenti, amici dei soldati morti) a sofferenza collettiva e generalizzata. Perciò sofferenza dalla quale nessun poteva o era in grado di sottrarsi.
L’illusione amara del 25 luglio
La speranza coltivata segretamente negli animi delle genti del luogo era che il bombardamento rappresentasse solo uno spiacevole episodio, seppur drammatico e luttuoso. E sebbene ne fossero seguiti altri a breve distanza (ad esempio il 23 luglio a mezzogiorno, la notte del 14 e del 16 agosto). In fin dei conti l’aeroporto rappresentava, comunque, un obiettivo militare. L’Italia era ancora governata dal fascismo e aveva ancora i tedeschi di Hitler come alleati mentre gli Anglo-americani erano i nemici.
Invece la situazione precipitò nell’arco di poche settimane e lo stato d’animo di uomini e donne del luogo mutò repentinamente. Dal dolore e dall’incredulità per quel primo bombardamento dell’aeroporto, dall’entusiasmo, sei giorni dopo, il 25 luglio 1943, per la caduta del fascismo e l’arresto di Mussolini. Poi ancor di più dall’euforia generalizzata per l’annuncio dell’armistizio dell’8 settembre, scambiato ovunque, in Italia e sui vari fronti in cui erano impegnati i soldati italiani, come la fine della guerra.
A ricordargli come stessero le cose provvide l’ indomani mattina 9 settembre, una colonna armata di soldati tedeschi che fece irruzione nel campo di Aquino assumendone il controllo. Avieri e soldati italiani vennero disarmati, raggruppati e guardati armi in pugno dal contingente tedesco. Nei due giorni successivi si ‘dispersero’ in attesa degli eventi.
La visione di Alberico da Settefrati
Da quei sentimenti si passò al timore generalizzato, alla paura per sé, per i propri cari, per i propri beni. Con la gente che si ritrovò inerme e indifese in casa, in balia di due mostruosi eserciti che si combattevano intensamente e incessantemente. Gli aviatori alleati quel 19 luglio di ottanta anni fa avevano finito per togliere i cardini dalla porta dell’inferno che nei mesi successivi si spalancò ingoiando migliaia di vite umane (uomini, donne, vecchi, bambini, civili, militari, italiani, stranieri di tutto il mondo).
Otto secoli fa Alberico il visionario, il monaco cassinese originario di Settefrati, rimasto privo di coscienza a causa di una malattia, ebbe una visione. Visione dell’Inferno e del Paradiso che visitò. Nella visione si fa riferimento anche al momento della morte. Cioè quando le anime degli uomini e delle donne si raccolgono in una immensa piana solcata al centro da un fiume dalle acque bollenti chiamato «purgatorio». Le anime dannate dopo essere giunte nella piana cadono in un pozzo per avviarsi nei vari luoghi dell’Inferno. Lo fanno a seconda della gravità dei peccati commessi in vita. Le altre anime, invece, si dirigono verso il Paradiso.
Per raggiungerlo devono attraversare il fiume «purgatorio» tramite dei ponti. Solo le anime beate però riescono agevolmente a percorrere il ponte e a oltrepassare il fiume. Invece le altre, quelle cariche ancora di pochi peccati, hanno difficoltà a passare sul ponte. “Struttura” che man mano che avanzano si assottiglia sempre più finché esse non cadono nel fiume «purgatorio» sottostante.
Le anime ritornano a nuoto verso riva mentre sono purificate dalle acque bollenti. Quindi riprovano a passare sul ponte e se sono completamente purificate raggiungono il Paradiso, altrimenti ricadono nel fiume finché non sono purificate definitivamente e possono attraversare il ponte.
Si può allora immaginare che nei mesi tra il luglio 1943 e il maggio 1944 la piana di raccolta della anime sia la valle del Liri e la valle del Rapido con poche anime beate che riescono a percorrere i ponti (Bailey, provvisori, ecc.) e ad attraversare il fiume «purgatorio» identificabile nel corso d’acqua Rapido – Gari – Liri – Garigliano mentre tante altre anime sono inghiottite nei pozzi scavati dalle armi prodotte dalla follia umana.