Il Cermis e quando gli Usa ci fecero capire chi comanda davvero

La strage che Washington chiamò incidente e le vittime di una sudditanza "quasi finita" per cui ancora oggi qualcuno si lamenta

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Richard Ashbys si sentiva sicuro al cockpit del suo Grumman EA-6B Prowler quel 3 d febbraio del 1998. I sistemi d’arma era settati e dalla base Usa in territorio italiano di Aviano avevano dato il “go“. Vale a dire il disco verde a decollo ed esercitazione con quel velivolo a bassa quota. Flash back, dissolvenza: il 23 marzo di quello stesso anno i media italiani accusarono le autorità di Washington di non aver predisposto le necessarie misure di sicurezza per un caso che era sotto due leggi.

Quella figlia di una statuizione tra il governo Italiano presieduto da Massimo D’Alema e la Washington di Bill Clinton che dava alla Nato piena facoltà di azione giurisprudenziale sui “casi suoi”. Poi quella italiana che diceva, semplicemente, che un rato grave, anzi gravissimo, dovesse essere sottoposto a vaglio dibattimentale in Italia. Quale reato?

A bassa quota: bassissima

Massimo D’Alema (Foto: Alessandro Amoroso © Imagoeconomica)

Quello per cui quel velivolo adottato come sentinella del mondo occidentale, per decisione degli operatori, fece una cosa irrituale. E mortale. Arrivò a volare ad una quota inferiore rispetto a quanto statuito dai regolamenti e, basculando a quota bassissima, tranciò il cavo della funivia del Cermis. Dov’è il Cermis?

Da noi, in Italia, e quel taglio netto fece precipitare la cabina e provocando la morte dei venti occupanti. A Cavalaese, in Val di Fiemme, quella palla di fumo dopo un baratro immane suscitò tre cose: dolore immenso per chi perse i suoi affetti.

Poi indignazione per chi per quei cari voleva giustizia e reticenza da parte delle autorità che, di quella strage, fattualmente portavano l’imprinting. Imprinting Usa. Joseph Schweitzer era il navigatore del “Prowler” e, assieme ad un commilitone, venne indagato e processato per omicidio preterintenzionale e omicidio colposo secondo il sistema di norme italiano, ovvero rispettivamente omicidio involontario e omicidio per negligenza secondo l’ordinamento statunitense.

“Cancelliamo il nastro”

L’ex presidente Bill Clinton (Foto: Gage Skidmore)

Ma cosa accadde davvero? Che l’Italia, in virtù di quella giurisdizione Nato, non potè processare quanti avevano ammazzato cittadini italiani per un mero gioco, una boutade da Top Gun dell’United States Marines Corps. Erano i Marines, quelli che ammazzarono i nostri e poi andarono a ripararsi sotto l’ombrello di un’America che ancora oggi ci fa pagare pegno ai suoi sogni. Ed alle sue omissioni bulle.

Quelli che giusto oggi ma nella fase “Pacifica” della II Guerra Mondiale arrivarono sul cocuzzolo di Iwo Jima con tanto di Stars and Stripes issata che oggi rende fieri noi che dovremmo avere il Tricolore in petto. La stessa America che oggi con Donald Trump noi vediamo come amica o nemica a seconda delle circostanze ma che non ha mai cambiato format.

Quale? Quello per cui la Nazioni cadette “abbozzano” e non vanno oltre i desiderata di Zio Sam, qualunque Zio Sam risieda al 1600 di Pensylvania Avenue.

Trump che ci mette da parte? Bene

Donald Trump dopo il giuramento

Alle 15:12 di quell’inizio febbraio l’aereo tagliò al netto le funi del tronco inferiore della funivia del Cermis. La cabina che portava a bordo venti persone cadde giù da un’altezza di circa 150 metri.

Ed alla fine quel baratro contrappuntato dalle urla delle povee vittime si schiantò a terra dopo un volo di sette secondi. Il velivolo, danneggiato sull’ala ed alla coda, fu comunque in grado di tornare alla base. Ed a quel punto qualcuno cancellò l’omologa della scatola nera. Cioè il nastro video che avrebbe consentito di svelare la verità su di un incidente nato da una “mereganata”.

Un incidente che finì con un lungo braccio di ferro tra Roma e Washington e che si concluse con un processo monco celebrato negli Usa e non a casa del reato. Poi con delle condanne-pannicello e con risarcimenti narcotici per i parenti delle vittime. Ma una cosa restò in pedi, da quel marzo di 27 anni fa quando tutto venne occultato.

Braccio di ferro Roma-Washington

Che noi consideriamo gli Usa amici ma ancora non abbiamo capito che di quegli Usa siamo sudditi. Da sempre.

Dall’operazione Husky e dal Piano Marshall con in mezzo la distruzione di Montecassino. E che forse, oggi che per loro scelta non lo siamo più, potremmo affrancarci non solo da scenari comodi per il futuro, ma anche da scenari imbarazzati del passato.

Scenari in cui ancora riecheggiano le urla del nostri morti.