Troppi gay nella stesura dell'Arialda e il magistrato Spagnuolo, affiliato alla Loggia P2 del Venerabile, ripristinò l'ordine "borghese"
A via Birghindi 44 Licio Gelli ci era arrivato dopo che un imprenditore visionario gli aveva proposto di dirigere una fabbrica di materassi che per l’epoca promettevano di diventare un must have. E lo divennero, infatti. Il Gran Maestro Venerabile della Loggia Propaganda 2 seguì il sogno di Giovanni Pofferi. E siccome lui non era un visionario ma un magheggione fece di tutto per dare a quel sogno il cemento delle cose compiute.
Negli anni ‘60 se volevi che un progetto andasse a meta dovevi fare due cose: arrivare a Giulio Andreotti che ti sbloccava i fondi per la Cassa del Mezzogiorno. Ed accettare che Andreotti ponesse la sua unica condizione: fare impresa sì, ma nella Ciociaria che il “Divo” aveva nel cuore ed in dispensa elettorale.
Da Andreotti per trasformare un sogno
Perciò Gelli prese l’idea di quei materassi a molle che ti facevano galleggiare in maniera quasi “proibita” mentre stavi con Morfeo e la rese un progetto. Progetto, quello della Permaflex, per il quale si trasferì a Frosinone. La città Gelli l’avrebbe lasciata nel febbraio del 1967 per trasferirsi nel suo futuro quartier generale di Arezzo, nella Villa di Castiglion Fibocchi che sarebbe diventata luogo totem del ka-boom sul caso P2. Una loggia massonica che si proponeva con il suo “piano di rinascita democratica” di combattere sotterraneamente il comunismo e trasformare l’Italia in una repubblica delle banane a trazione Langley.
Fra numerosi e quotatissimi iscritti alla Loggia c’era un Procuratore della Repubblica che odiava la “libertina” Roma, ma per altri motivi che non erano legati al suo essere un complottista. E che spinse Licio Gelli ad abbandonare Frosinone, “troppo vicina a quel postaccio”.
Via dalla Ciociaria, si va ad Arezzo
Tutta colpa di un’opera teatrale piena zeppa di omosessuali, omosessualità ed impotenza. Flashback, dissolvenza ed arriviamo al 1960. Carmelo Spagnuolo è un magistrato romano che a novembre, in un’intervista, dice queste cose qua. “Un’Arialda senza la figura di Eros, comunque con un Eros convinto della sua abiezione, potrebbe anche passare, ma un anormale che esalta il proprio affetto degenerato ci ripugna, siamo nel campo dell’osceno più caratteristico”.
Ai sensi dell’articolo 528 del Codice penale, il segaligno magistrato aveva disposto sequestro e ritiro da teatri e biblioteche della scostumatissima Arialda. Era questa una pièce di Luchino Visconti messa in scena dalla compagnia di Paolo Stoppa. La prima era stata calendarizzata al Teatro Nuovo di Milano ma il botto doveva farlo a Roma. Dove i futuri litorali pasoliniani erano già sfondo coraggioso a quel che austeramente preservavano le Mura Aureliane.
Il testo aveva una marcata connotazione omosessuale che prendeva polpa nel personaggio del fratello della protagonista, Eros appunto, dichiaratamente gay. Attenzione, la scostumatezza dell’opera non stava nel fatto che uno dei personaggi fosse gay, quanto piuttosto che esso non desse segno alcuno di redenzione dalla sua “aberrazione” in corso di sceneggiatura. Nell’Italietta del boom e di una Chiesa più post ducetta della buonanima, quella figura ambigua non piaceva all’establishment.
La diversità come malattia
E per di più la stessa sinistra massimalista ebbe a dire dell’opera che era “giansenista” ed omofoba, perché alla fine tutti i personaggi gay facevano una brutta fine. Ma il dato era un altro: per Spagnuolo, che aveva già bocciato Rocco e i suoi Fratelli sempre di Visconti per la scena violenta dell’uccisione di Nadia da parte di Simone, quell’opera era da intendersi come simbolo di patologia.
Quindi non di un’indole diversa, non ancora normale (in Italia era oggettivamente prestino) ma quanto meno normalizzabile, ma di una malattia. Negli anni ’70 Carmelo Spagnuolo, Procuratore generale nella Roma in cui Piazzale Clodio era definito “Il Porto delle nebbie”, sarebbe stato radiato dalla magistratura. Venne fuori che era coinvolto nello scandalo dei rapporti fra mafia e polizia. Non volendosi poi far mancare nulla nel palmares della toga torbida, questo fierissimo censore delle pudenda italiche andò a testimoniare a favore di Michele Sindona nel processo a New York.
Non sarebbe potuto essere altrimenti, dato che era massone ed amico di Gelli. E presente alla famosa riunione a Villa Wanda in cui si decise che la P2 doveva virare verso l’appoggio ad un governo centrista, piuttosto che corteggiare gli inutili totem del post fascismo. A quel summit parteciparono anche il generale Palumbo, comandante la divisione carabinieri Pastrengo di Milano, il suo aiutante colonnello Calabrese, il generale Picchiotti, comandante la divisione carabinieri di Roma. Infine il generale Bittoni, comandante la brigata carabinieri di Firenze. In quella stanza c’erano più greche che in Grecia, insomma.
Visconti, Stoppa e Maggio da Gronchi
Tornando all’Arialda, dopo la censura, Visconti, Stoppa ed altri attori, fra cui l’immensa Pupella Maggio, chiesero udienza al Presidente della Repubblica Gronchi per perorare la causa della loro opera. Il Presidente si rifiutò di riceverli. Piero Gobetti, nei suoi ritratti, aveva già definito il democristianissimo Gronchi come dotato di “inaspettata finezza parigina”. Quasi a sottolineare che in un universo blindato di scrotali fagottoni benpensanti lui poteva rappresentare sponda possibile per aperture prog.
Un po’ era vero: da Capo dello Stato il toscano indispettì Ehisenower e puntò a ficcare i socialisti al governo, che all’epoca era come imbucare un caprone ad una messa cantata. Tuttavia con televisione e spettacolo Gronchi proprio non aveva un buon feeling. Si narra che la sua avversione per gli artisti in generale e forse la polpa per il suo diniego a ricevere Visconti & co. nacque in circostanze particolari.
La caduta all’Opera
Non tanto legate a sistemi etici, quanto piuttosto ad un episodio che fece macchietta del suo faccione austero. All’opera, era il 23 giugno del ’59, un suo attendente non gli aveva infilato con tempestività la sedia sotto le terga mentre prendeva posto assieme al collega francese Charles De Gaulle. E con il risultato di farlo abbattere chiappe a terra in una figura barbina di quelle che ti fanno arrossire fin nel piloro.
Un ufficiale al seguito del discusso capo del Sifar generale De Lorenzo raccontò che il teatro venne quasi giù, dalle risate. I giornali fecero ciccia e non pubblicarono la gag involontaria, ma una maschera del teatro la soffiò a Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello che la rappresentarono nel loro programma tv Un, Due Tre.
Dopo due giorni il programma venne cancellato. E da allora Gronchi divenne bigotto ed amante dei censori. Come Spagnuolo, che ammazzò l’Arialda e che disse a Gelli di lasciare Frosinone.