La battaglia che fece odiare l’Italia e la “vendetta” di Freyberg a Montecassino

Il precedente in Africa con il quale il generale neozelandese subì, unico tra gli Alleati, una sconfitta memorabile

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

E’ storicamente accertato come il generale neozelandese Bernard Freyberg ebbe un ruolo determinante o quanto meno importantissimo nella perorazione di un ordine che segnò il destino dell’abazia di Montecassino. Per effetto della rotazione dei comandi operativi della V Armata guidata dallo statunitense Mark Clark il divisionale della Nuova Zelanda si trovò nella prima metà del febbraio 1944, esattamente al posto sbagliato e nel momento più sbagliato di tutti.

Cioè in una fase di stallo rispetto allo sfondamento della cruciale Linea Gustav, con lo sbarco “Shingle” ad Anzio che dimostrava tutte le sue pecche tattiche e con un comandante di Armata che voleva raggiungere Roma entro maggio. E liberare lui e lui solo la prima Capitale europea dal giogo del nazifascismo, ammantandosi dell’aura di quelli che hanno fatto la Storia.

Nel posto sbagliato al momento sbagliato

Bernard Cyril Freyberg (a sinistra) e Howard Karl Kippenberger

Insomma, Freyberg doveva solo “spingere” ancora un po’ ed alla fine, da Foggia e dagli altri aeroporti del sud, si sarebbero alzate le centinaia di B-17 Flying Fortress per cancellare quel faro di fede, cultura e civiltà posto in propaggine meridionale della Valle del Liri. Freyberg non poteva dare personalmente l’ordine, ma si era premunito di scrivere (fonte Mattew Parker) al potente Lord Charles Latham.

Che nel replicare alle titubanze dell’arcivescovo di Canterbury sul bombardamento aveva proclamato: “Io non desidero vedere un’Europa zeppa di monumenti culturali venerati da un’umanità in catene e in ginocchio. (…) Il popolo di questo paese non accetterà che anche uno solo dei suoi figli venga sacrificato senza necessità per salvare un edificio, qualunque questo possa essere.

Ma, al di là dei motivi strategici e della proverbiale indifferenza di un alto ufficiale degli Antipodi verso un monumento cristiano ed europeo, cosa spinse davvero Freyberg a perorare una decisione così drastica?

La riposta che sta in Africa

Mario Balotta

Una risposta c’è, e se ne sta accucciata nelle pieghe dei memoriali di guerra della precedente Campagna D’Africa, quella che funse da preludio e ponte per l’invasione dell’Italia. In effetti Freyberg, al momento dei fatti che portarono alla distruzione di Montecassino, era il solo divisionale dell’intera macchina bellica alleata ad averle già clamorosamente buscate sul campo. E non dai tedeschi, ma dagli italiani.

Segnatamente dalla Divisione Ariete del generale Mario Balotta durante l’Operazione Crusader di fine novembre 1941, quella svoltasi nei pressi di Tobruch lungo la via obbligata della Ridotta Capuzzo.

Il livore non ha valore storico

Due premesse: documentare il livore di un grande decisore è storiograficamente impossibile. Questo a meno di non avere fonti secondarie testimoni di affermazioni e/o atteggiamenti che quel livore lo accertino in concausa con azioni dirette. Perciò la predisposizione di Freyberg ad avercela con l’Italia più degli altri è da questo punto di vista suggestiva e probabile, ma non accertata.

Il secondo: a Quota 175, tra il 29 novembre ed il I dicembre 1941, l’alto ufficiale neozelandese non si limitò a subire una sconfitta, ma divenne uomo totem di una vera disfatta. Tanto che una sua divisione di 20mila uomini venne sbaragliata dall’omologa italiana che di effettivi ne contava solo 8mila.

Rapporto ad Auchinleck

Il generale Claude John Auchinleck

Ed in maniera talmente clamorosa che Freyberg dovette redigere un imbarazzato rapporto giustificatorio al Comandante generale delle truppe alleate in Nord Africa Claude John Eyre Auchinleck. Rapporto le cui conclusioni assolutorie vennero respinte dal maresciallo britannico. Un militare che passò alla storia per essere uno stratega abituato più alle retrovie dello scacchiere indiano che al fronte complesso che guidava da Il Cairo. E che pare fosse troppo disinvolto nell’affidare i comandi di divisione.

Tutto nacque da un equivoco ben sfruttato dai fanti corazzati della Ariete. Lo riporta con dovizia di particolari il Kippenberger. Che narra: “Intorno alle 17:30 si presentò la dannata 132a divisione corazzata Ariete. Passarono con cinque carri armati in testa, venti al seguito, e un’enorme colonna di trasporto e cannoni. Poi si diressero (distruggendola) dritti sopra la nostra fanteria sul Quota 175”.

L’equivoco e la tattica di Balotta

Cosa era accaduto? Che la II Divisione comandata da Freyberg stava aspettando rinforzi sudafricani. E quando i soldati di prima linea videro avvicinarsi una colonna di carri, presero un abbaglio clamoroso. Scambiando quei mezzi, invero non giganteschi, per blindo sudafricane Marmon-Herrington. A quel punto gli italiani, a cui il generale Balotta aveva fatto indossare i baschi neri sulle divise kaki per assomigliare a truppe di areale britannico, fecero un macello di morti. E presero un “mezzo treno” (cit.) di prigionieri.

La II divisione della Nuova Zelanda avviò il protocollo Crusader con 21mila uomini. E dopo sei scontri censiti con la divisione Ariete ne perse quasi 900. Se ne ritrovò feriti 1700 e 2042 fatti prigionieri, un disastro assoluto. Tanto assoluto che l’unità di Freyberg, a cui il generale d’armata Ritchie aveva ingiunto sugli italiani di “attaccarli come l’inferno” dovette essere coperta mentre scappava. Protetta in fuga da quella gemella del generale Gott.

Rotta, fuga e vergogna

Ed alla fine venne acquartierata prima a Zaafran e poi in Egitto. Da cui venne rimossa e spedita a combattere nel Pacifico contro i giapponesi in modo da avere a disposizione rincalzi freschi dalla vicina madre patria. Freyberg venne assegnato ad una nuova unità destinata alla campagna d’Italia sotto il comando “nazionale” di Bernard Montgomery ma con l’alone del perdente.

Foto: Sgt. McConville / Collections of the War Imperial Museum

Alone che lo seguì fino allo “sdoppiamento” che vide l’inglese col basco da carrista occuparsi della risalita adriatica, e quello Usa del versante tirrenico. Quello nel quale ad un certo punto Cassino, l’ultimo lembo delle Mainarde ed il Sacro Monte facevano da sentinelle a Roma.

Un alone che forse sedimentò nel cuore di quel generale sconfitto. E gli diede un’oncia in più di sfrontatezza operativa per decidere e perorare in tal senso che Montecassino dovesse essere cancellata dalla faccia della Terra.