La Brigata del Diavolo che si aprì la strada verso Montecassino: a coltellate

La notte del 3 dicembre 1943 e l'impresa impossibile di una unità passata alla storia per il suo straordinario coraggio

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Il pugnale V-42 in realtà era uno stiletto, il che non è esattamente la stessa cosa. Era un’arma maledetta studiata appositamente per fare determinate cose. Non belle ma efficaci, cose come penetrare facilmente in un elmetto e bucare un cranio. O essere usato per schiacciare tempie grazie ad un apposito pomolo a cono appuntito. Il V-42 era sottile come un grosso ago, aveva una lama a doppio taglio in acciaio con un tenore di carbonio altissimo. Ed era talmente affilato che gli originari foderi in cuoio vennero sostituiti con gemelli in metallo.

Spesso infatti le reclute in addestramento si tagliavano pantaloni e cosce con la punta che aveva bucato la guaina mentre si rotolavano nella polvere a Fort William Henry Harrison. Lo spot training si trovava vicino ad Helena, nello stato del Montana, negli Usa. Eppure quelle che si stavano preparando, tra le altre, ad una missione praticamente suicida sulle balze della Winter Line, tra Montelungo, Rocca d’Evandro e San Vittore del Lazio nei primi giorni del dicembre 1943, non erano esattamente reclute marmittone di primo pelo.

I tagliaboschi senza moglie

Erano quasi tutti tagliaboschi o minatori, americani e canadesi. Non dovevano essere sposati e quando venivano spediti al campo ci arrivavano su treni a cui avevano oscurato i finestrini. Destinazione ed impiego venivano comunicati solo dopo aver oltrepassato la porta carraia. Si trattava di fegatacci duri come gli inverni che affrontavano, sgherri raggruppati in una unità d’élite di soli 2mila uomini. Erano quelli della First Special Service Force, la Brigata del Diavolo che dopo il primo contatto con il nemico del 104° Panzer Grenadier Regiment venne chiamata dei “Diavoli neri”.

Neri perché si scurivano faccia e mani con apposite vernici o, in mancanza, con carbone, mota ed anche letame. E “Diavoli” perché fin da quando il loro addestramento era iniziato, nel 1942, si era capito subito che il colonnello Robert T. Frederick della Operations Division dello Stato maggiore Usa aveva messo su una unità infernale. Dotata di armi proprie ed antesignana delle future Forze Speciali Usa, tra cui i Berretti Verdi ed i Rangers (che contrariamente a quanto si crede non sono una forza speciale).

Monte Defensa e La Remantea

L’Associazione Battaglia di Cassino – Centro Studi e Ricerche ha dedicato pagine memorabili a questi soldati che per primi sloggiarono le truppe tedesche da Monte La Defensa e Monte la Remantea. Si tratta di due quote del massiccio di Monte Camino che guardano dal versante occidentale le balze di Monte Sammucro, che a sua volta incombe sugli abitati di San Pietro Infine e San Vittore del Lazio. Quella su cui operarono i Diavoli Neri era in pratica la porta (strettissima) per Cassino e Montecassino, per quella linea Gotica cioè a cui faceva da caposaldo la linea fortificata “Bernhard” o “Winter”, come la chiamavano gli alleati.

Albert Kesserling aveva avuto tutto il tempo, dopo gli sbarchi in Tunisia, Sicilia ed a Salerno, di predisporre la macchina difensiva più micidiale della storia moderna. Una ghiera pedemontana la cui “sfoglia” terminale coincideva con le propaggini ultime del massiccio delle Mainarde e con il monte su cui sorgeva la millenaria abazia benedettina. Sotto cui giaceva, inerme ed ignara del suo venturo martirio, la città di Cassino.

Le difese di Kesserling fino a Cassino

Foto: Capt. Tanner / Collections of the War Imperial Museum

Quelle barriere non servivano tanto a fermare, quanto a ritardare il più possibile la risalita Sud-Nord degli Alleati nella Campagna d’Italia. E prima ancora della battaglia di Montelungo dell’8 dicembre 1943 ci furono gli scontri sulle vette circostanti del 3 dicembre. Scontri dove la Brigata del Diavolo fece cose per certi versi ancora oggi considerate impossibili. O folli. Il Generale Edward H. Thomas diede l’ordine di attacco a notte fonda, questo dopo che le avanguardie della 36ma divisione erano già state ricacciate indietro a colpi di mortaio.

Ma gli incolpevoli fanti della “Texas” operavano secondo tattiche convenzionali: cioè per plotoni e squadre che avanzavano in gradiente di risalita sparando, coperti dalle mitragliatrici e dai mortai e dopo lo spazzamento preventivo dell’artiglieria. Un gran casino insomma, che avvertiva i difensori e li metteva in condizioni, da posizioni dominanti e defilate, di fare il tiro al piccione.

“Vabbè, a questo punto la scaliamo”

L’unica era girarci intorno, a quei satanassi “crucchi”, ma per farlo bisognava bordeggiare una valle e scalare un muro di roccia di 963 metri: metri nudi, ripidi e sbrecciati – dato il poco grip di scisto ed arenaria – roba da pazzi furiosi. Ecco, quelli della Brigata del Diavolo scalarono quella parete. D’altronde erano “preparati ad ogni tipo di azione, paracadutisti, incursori dal mare, specialisti con gli esplosivi, con le armi nemiche e col pugnale”. Proprio il V-42 diventò tragico ma efficientissimo protagonista di quel blitz. Squadre di cinque uomini scalarono la parete ad ondate di tre per volta.

Si raggrupparono sul bordo in team di 15 per un totale di 700 uomini ed iniziarono ad avanzare a zig zag, nido per nido di mitragliatrice sul lato nord de La Difensa. Sentivano il chiacchiericcio del nemico, vedevano il fumo delle sigarette o delle gamelle scaldate. Guatavano controluce le nuvole di fiato diaccio e puntavano la piccola conca riparata da pietre. E “bonificarono” ogni spot tedesco ammazzando gli occupanti a coltellate. Curandsi di spazzare quelle fosse con il mitragliatore leggero Johnson LMG solo in casi estremi. Soprattutto in sincrono con le bordate di obici che arrivavano da valle, per non dare l’allarme.

Macelleria silenziosa

Nido per nido, metro per metro, balza dopo balza. Dopo la battaglia di Montelungo le unità “bonificarono” anche Monte Sammucro sulla cui quota 720, in località La Radicosa, nel 2010 venne realizzato un monumento. La grossa targa fu il frutto della cooperazione con l’Associazione dei Veterani e familiari della FSSF.

E secondo quanto ricorda Luciano Bucci, già sindaco di Conca Casale, padre del museo della Winter Line, ricercatore sul campo ed esperto di fama nazionale di quei mesi bui, quel monumento venne posizionato con uno scopo preciso. “Poter offrire una visuale su tutti gli obiettivi della FSSF lungo la Winterline: La Defensa, La Rementanea, Collina 720, La Radicosa, Monte Majo e Colle Vischiataro (Hill 1109)”.

I posti dove ottantuno anni fa la Brigata del Diavolo si aprì la strada verso Montecassino. A coltellate.