Le "Mariposas" scelte per simboleggiare l'oggi e quello che ad oggi ancora non abbiamo fatto per lasciarle volare senza toccarle
Pezzi di calendario, solo pezzi. Caselle doverose per aprire un sipario a tempo e lavare coscienze come si lavano le persone sporche: veloci e con abiti nuovi, ma mai a fondo. Se all’improvviso ci ammalassimo di cinismo e verve statistica dovremmo metterci questi qui, di preambolo, alla 26ma Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne istituita dall’Onu.
Ma se lo facessimo cadremmo nel trappolone di chi poi davvero enfatizza senza militare, senza operare perché questa giornata abbia un senso oltre quella casella solenne in calendario cassata la quale ci tufferemo tutti nel clima natalizio. E qualcuno di noi magari a sua moglie regalerà una manica di botte dopo in settimo bianchetto con gli amici al bar.
Perciò conviene ricordare cosa si “celebra” oggi. E partire da chi questa giornata l’ha ispirata. Tre farfalle, tre sorelle dominicane (che in realtà erano quattro perché una sopravvisse): Patria, Maria Teresa e Minerva Mirabal.
Tre farfalle ammazzate da un regime
Sono le tre “mariposas”, che diedero talmente tanto fastidio al dittatore-generalissimo Rafael Trujilo da prendersi il martirio come riposta alla loro impunita e bellissima voglia di libertà. Furono infatti le sorelle Mirabal a denunciare le nefandezze di quella terribile dittatura. Perciò il 25 novembre 1960 la polizia di Trujilo le arrestò, le torturò e le ammazzò. Poi i loro corpi, corpi di farfalle, vennero gettati in un dirupo a mimare maldestramente un incidente.
Perché le dittature questo fanno: ammazzano e poi fingono di non sapere. E noi ne dovremmo sapere qualcosa con Giacomo Matteotti.
Ricordare i femminicidi e le violenze di qualsiasi categoria contro le donne equivale a questo. A cancellare ogni alibi, a smettere di fare un triste elenco purtroppo in costante aggiornamento. Ed a ricordare chi è stato fatto assurgere a simbolo di questa memoria militante che ancora oggi manca a troppi.
Il “Massacro del prezzemolo” del 1937
Simbolo di lotta contro un militare responsabile del “Massacro del Prezzemolo”, di una presa di potere da cui scaturì il triplice femminicidio del 25 novembre ’60. E per fare questo bisogna salire a bordo di una macchina del tempo e tornare a quelle ore buie del 2 ottobre del 1937. La storia ufficiale dice che fu il frutto della annosa inimicizia ‘etnica’ fra Santo Domingo ed Haiti. In realtà fu lo sfogo politico di un pazzo: Raphael Trujillo, forse il dittatore più criminale di sempre di tutta l’America Latina che pire di dittatori ne ha vendemmiati a decine.
Per “vendicare” l’invasione e l’annessione di Santo Domingo di inizio ‘800 da parte di Haiti, sfociata poi in una guerriglia di liberazione e nell’indipendenza costui in cinque giorni ordinò l’uccisione di 50mila haitiani. E dispose particolare efferatezza nei confronti della donne isolane. Il metodo era semplice ma innovativo, nella mistica degli orrori moderni: ai poliziotti di Trujillo venne ordinato di girare con il fucile Krag Jorgensen di modifica Usa calibro 30/30 in una mano e nell’altra un mazzolino di prezzemolo.
Quel mazzolin… ma non di fiori
Perché? Dato che fisicamente dominicani ed haitiani erano indistinguibili – di ceppo africano o creolo con linee di sangue caraibiche – l’unica era fare leva sulla pronuncia per “sgamare” quelli di cui fare spezzatino. Si chiedeva perciò al fermato di pronunciare la parola che indicava quel mazzo di prezzemolo, “perejil”. E, se l’interlocutore aveva difficoltà nella pronuncia spagnola come di solito accadeva agli haitiani che flirtavano più con il francese, si faceva un passo indietro e gli si scoperchiava allegramente la testa con una singola, micidiale fucilata.
E le donne? Per loro un trattamento speciale. Raul Zecca parla anche di singolari botte di fantasia della Polizia politica di quello che si faceva chiamare “El Benefactor”, come quelle che portarono i militari ad impalare le donne haitiane con la baionetta o ad usare i coltellacci tedeschi Boker, un vero must horror nel kit delle Repubbliche delle banane d’epoca.
Ventimila donne ammazzate in pochi giorni
Di donne haitiane, prima di silenziare le tre “mariposas” Mirabal 23 anni dopo, Trujilo ne fece ammazzare 20mila censite e chissà quante altre sfuggite alla contabilità dell’orrore di quei giorni.
Il tipo aveva il chiodo fisso dello “sbiancamento” della popolazione dominicana, tanto che alla fine degli anni ’30 accolse con entusiasmo travestito da umanità numerosissimi ebrei che sfuggivano dai primi orrori nazisti.
Si mise in casa perfino rifugiati spagnoli comunisti tallonati da Franco, una cosa alla Schindler in salsa guacamole che però non convinse la comunità internazionale dopo che le notizie sul massacro trapelarono. Da quel mostro che era, dopo la sua morte nel ‘61 – in cui pare la Cia ebbe mano – Trujillo diventò l’icona dell’orrore sudamericano che in tanti altri casi avrebbe funestato quelle terre.
Oggi la morte arriva da “mani amiche”
Ed il simbolo di una violenza sulle donne che oggi come teatro invece ha per lo più le mura domestiche e i posti dove si levano “mani amiche”. La riprova sta nelle onorificenze che in vita ebbe dagli altri Stati. Sono molte, ma per lo più tutte concesse da nazioni canaglia o irrilevanti, come Taiwan, Argentina, Brasile, Liberia, Messico.
Insomma al “Benefactor” che ammazzava le donne riconobbero meriti ufficiali solo Paesi arretrati e catturati dal sessappiglio dell’autoritarismo coi baffoni alla mexicana, inclusa la Spagna imbarbarita del dopoguerra e l’onnipresente Santa Sede che un collare non lo nega manco al virus di Ebola. Gli altri, quelli occidentali civili, se ne guardarono bene.
Tutti tranne uno: il 31 luglio del 1954 a Trujillo venne conferito il titolo di “Cavaliere di Gran Croce, decorato di Gran Cordone dell’Ordine al merito della Repubblica italiana”. Della Repubblica. Repubblica Italiana. Che oggi celebra ipocritamente le sue vittime senza avergliela mai revocata. Sipario.