Quel 3 luglio in cui Craxi rivelò che tutti sapevano ed a tutti conveniva

L’Italia allo specchio: quel discorso del 3 luglio del 92, quando Craxi disse che il re era nudo. Ed accusò Parlamento e Paese di essere tangentisti. Di sapere. Ed avere fatto finta di niente. Perché da decenni a tutti conveniva

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Il 3 luglio del 1992 non era un giorno qualsiasi messo a canicola in un periodo qualsiasi. Tanto per inquadrarlo, quel periodo, basti pensare che solo pochi giorni prima la mafia aveva fatto saltare in aria Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e la scorta al seguito. E che solo un mese prima Francesco Cossiga aveva fissato la deadline del suo mandato Presidenziale, anticipandone la fine e schiudendo le porte al concitato voto per il Quirinale che avrebbe portato sul Colle Oscar Luigi Scalfaro. In corsa per avere i corazzieri a guardia c’era Giulio Andreotti, ma il botto di Capaci aveva fatto saltate ogni piano della sua potente corrente.

Perciò mandare a rappresentare l’Italia l’uomo di punta delle Dc di Salvo Lima ammazzato anch’egli, la Dc che la mafia accusava di aver rotto un patto, era sembrato troppo perfino a gente come Vittorio Sbardella O’ Squalo e Paolo Cirino Pomicino. Dopo sedici scrutini grondanti il sudore per evitare di lasciare impronte digitali su quei morti Scalfaro divenne Capo dello Stato ed Andreotti divenne astro in caduta.

Dopo Capaci Scalfaro sul Colle

Oscar Luigi Scalfaro nello studio da Presidente della Repubblica

Ma quel 3 luglio c’era un’altra Italia che premeva, un’Italia che aveva cominciato a peppiare fin da febbraio, quando a Milano un oscuro dirigente del Partito Socialista Italiano, Mario Chiesa, venne arrestato da un altrettanto oscuro Pm di origini molisane, Antonio Di Pietro. Il soldi buttati nel cesso da Chiesa, frutto di una mazzetta per ottenere un appalto al Pio Albergo Trivulzio di Milano, segnarono l’inizio di Tangentopoli.

E quella slavina di arresti, detenzioni cautelari ed ammissioni scoperchiò il vaso di Pandora di un sistema dal quale i Partiti italiani più noti uscirono con le ossa rotte. Il sunto era che ad essi non bastava l’obolo statale per le loro attività e che per mantenersi davano privilegi in cambio di prebende e soldi.

Lo facevano strusciandosi al mondo dell’imprenditoria e secondo un sistema corale per cui addirittura esistevano precise quote di spartizione settate in base alla rappresentanza parlamentare dei Partiti stessi. Ecco, Bettino Craxi era il Segretario del Partito che in quel sistema di violazioni della legge e dell’etica, aveva fatto la parte del leone: il Psi del nuovo corso arrembante.

Amato arriva a Palazzo Chigi

Giuliano Amato (Foto Alessia Mastropietro / Imagoeconomica)

E proprio quel 3 luglio del 1992 Craxi venne chiamato a relazionare nel dibattito sulla fiducia al Governo presieduto da Giuliano Amato, socialista anch’egli e collante di un pentapartito fattosi quadripartito e, sebbene maggioritario, fortemente in crisi dopo lo scossone di Mani Pulite. Inchiesta che ormai non era più solo milanese e legata al tessuto bizantino e gaudente della metropoli “da bere”, ma italiano.

Sotto accusa in quelle ore non c’era un pezzo scosciato dell’Italia decisoria, ma l’intero Paese nella sua parte di comando. E Craxi pensò bene di difendersi attaccando. Lo fece con un discorso a cui il crisma della memorabilità non andò perché innescò un mezzo lavacro corale di auto assoluzione, ma perché certificò una cosa intuita da tutti. Che sì, in quell’Aula c’erano ben poche persone in grado di dire “io no, queste cose non le ho fatte né le farò mai.

Indicare un sistema complesso a volte contribuisce ad emendare la posizione dei singoli ingranaggi, anche con quelli di mansione cardinale, e forse la speranza di Craxi era quella. Fatto sta che nessuno contestò le sue parole, quel 3 luglio del 1992.

Logiche perverse e distinguo sottili

Bettino Craxi (Foto: Carlo Carino © Imagoeconomica)

Parole come queste: “Purtroppo, anche nella vita dei Partiti molto spesso è difficile individuare, prevenire, tagliare aree infette. Sia per la impossibilità oggettiva di un controllo adeguato, sia, talvolta, per l’esistenza ed il prevalere di logiche perverse”.

Quali logiche e perché perverse? Craxi lo spiegò con una sottigliezza che all’epoca colsero in pochi, ma che divenne il fulcro dell’intera questione. Fulcro che divenne distinguo millimetrico, più bizantino della Milano di suo cognato Pillitteri. Non solo gran parte dei soldi dati ai Partiti era fuori regola, ma a quella posizione che era di tutti poi si andavano ad aggiungere singole aberrazioni che erano di tanti. Capito il distinguo? Craxi stava dicendo agi italiani che tutte le Segreterie avevano i bilanci truccati, poi che per incentivare quel malcostume etico c’erano casi in cui si arrivava a violare la Legge con il bilateralismo procedurale concussione-corruzione.

E così, all’ombra di un finanziamento irregolare ai Partiti, e ripeto, al sistema politico, fioriscono e si intrecciano casi di corruzione e di concussione, che come tali vanno definiti, trattati, provati e giudicati. E tuttavia, d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale.

L’Italia allo specchio: specchio nero

L’Aula della Camera dei Deputati a Montecitorio

L’ammissione di quello che i media già chiamavano “Cinghialone” fu quasi pleonastica quando venne lasciata cadere in Aula, ma dirompente. L’Italia ammetteva che per fare l’Italia, quella del boom, degli stipendi avanzati e dell’edonismo, la Signora Turrita si era messa ad imbrogliare. Craxi stava accusando gli italiani di aver tenuto in piedi un sistema che alla fine aveva fatto comodo anche a loro. “I Partiti, specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive”.

Quelli erano i mesi delle perifrasi, e se una tangente diventava una “dazione ambientale” nei verbali del Pool Mani Pulite, la fame di tangenti era diventata la ricerca di “risorse aggiuntive”. Risorse acquisite (intascate) “in forma irregolare od illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale”.

Nessuno che scagliò pietre

Bettino Craxi Foto © Imagoeconomica / Carlo Carino

Il mezzo sillogismo craxiano stava a metà tra supercazzola di lessico e scappatoia concettuale. Ma era il preambolo dell’accusa che colpì tutti, e che generò silenzi invece che urla indignate. “Non credo che ci sia nessuno in quest’Aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo”.

A Craxi, a quel Craxi là crepuscolare per parabola politica e lessico, piacevano le iperboli profetiche. E Bettino non ci rinunciò. “Presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro. E del resto, andando alla ricerca dei fatti, si è dimostrato e si dimostrerà che tante sorprese non sono in realtà mai state tali”.

Capito cosa accadde quel 3 luglio del 1992? Che l’uomo di punta di un sistema di corruzione acclarata disse che nessuno aveva il diritto di sorprendersi e di fare “ohhh!” per una cosa che aveva dato birra ad un intero Paese. E che quel Paese aveva trovato la sua ragion d’essere più forte e spavaldo non nel rifugio della Norma, ma nell’elusione sistematica della stessa.

Al punto che, chiosò l’uomo che aveva portato il socialismo in dispensa, “sarebbe solo il caso di ripetere l’arcinoto ‘tutti sapevano e nessuno parlava’“. Già, tutti sapevano e nessuno parlava. Anzi, nessuno parlò. Perché alla fine Craxi ci spiegò che lui non era l’eccezione colta con le mani nel sacco, ma il simbolo di una nuova e pregiudicata regola che le Regole vere le aveva superate. Sotto gli occhi di tutti. E nel silenzio di ognuno.