Quelli della Acqui ed il cassinate che scampò all’eccidio grazie al… liceo

Bruno Galasso, l'isola dove si consumò l'epopea della divisione in cui militò il padre ed un commovente libro su quell'orrore

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

“Seguito conclusione armistizio, truppe italiane 11ª armata seguiranno seguente linea condotta. Se tedeschi non faranno atti di violenza armata, italiani non, dico non, faranno causa comune con ribelli né con truppe anglo-americane che sbarcassero. Reagiranno con forza a ogni violenza armata. Ognuno rimanga al suo posto con i compiti attuali. Sia mantenuta con ogni mezzo disciplina esemplare”. La firma era del generale di corpo d’armata Vecchiarelli ed il destinatario per l’isola di Cefalonia era il generale di divisione Antonio Gandin, comandante della 33ma “Acqui” di stanza lì, a Zante ed a Corfù.

Il problema era grosso davvero, perché in quei primi giorni di settembre del 1943 c’era stato Cassibile e, con esso, l’armistizio annunciato dal maresciallo Badoglio. La disastrata Italia del dopo 25 luglio con arresto di Benito Mussolini non era più in guerra contro gli anglo-americani. Tuttavia non era (ancora) formalmente in guerra con i suoi ex alleati tedeschi.

“Sparate ma solo se vi sparano”

Perciò i comandi invitavano a regole di ingaggio ambigue: sparare solo se si è fatti oggetto di fuoco. Difficilissimo sugli ampi quadranti territoriali peninsulari e nazionali, quasi impossibile su un’isola di 788 chilometri quadrati (Roma è più estesa). Adolf Hitler in persona, persona furente, aveva già dato via libera all’operazione Achse, cioè al blitz punitivo verso un’Italia della cui defezione aveva già fiutato il divenire dopo il fermo di Mussolini. Probabilmente anche prima, tanto che un altro piano – “Alarico” – era nei cassetti dell’Abwer, il servizio segreto dell’ammiraglio Canaris, da almeno un anno.

E a Cefalonia le cose si complicarono. Maledettamente. Il generale Gandin incontrò il colonnello Johannes Barge. Quest’ultimo comandava il presidio tedesco di Cefalonia a cui i militari italiani avevano dato supporto fino a pochi giorni prima. E che, di fatto, era l’ufficiale investito di un compito da mutato scenario. Inertizzare le batterie costiere sotto controllo del Regio Esercito, anche a costo di andare oltre ogni regola etica, sia pur etica ossimora di guerra.

Oltre 5mila vittime dei tedeschi

Bruno Galasso alla commemorazione dei Caduti a Cefalonia

Anche a costo di un eccidio di 5115 militari italiani tra fanti della Acqui, Carabinieri, marinai e Finanzieri. E della deportazione di quelli che tra loro sarebbero scampati alle raffiche di Mg-34 e 42 di una Wermacht imbarbarita dalla mistica del “tradimento”. Andò a finire così: nel sangue, con gli italiani della Aqui che rifiutarono di essere disarmati e quelli alle dipendenze di reparto dello Heeresgruppe E che andarono oltre l’ubbidienza ad un ordine già di per sé truce.

Eccolo: “Dove vi sono reparti italiani o nuclei armati che oppongono resistenza bisogna dare un ultimatum a breve scadenza. Nell’occasione occorrerà dire con veemenza che gli ufficiali responsabili di questo tipo di resistenza verranno fucilati quali franchi tiratori se, alla scadenza dell’ultimatum, non avranno dato alle loro truppe l’ordine di consegnare le armi.

L’ufficiale di Sant’Andrea del Garigliano

Un dettaglio della targa in memoria degli ufficiali caduti a Cefalonia

Non vennero fucilati solo gli ufficiali, ma massacrati tutti quelli che non porsero le armi ai tedeschi: brutalmente, a mazzi, dietro i muretti a secco che scontornavano le trame degli ulivi. Con il sangue a bagnare in rigagnoli le macchie di mirto che affioravano dalla terra digradante verso il mare turchino dello Ionio a cui guardava il borgo di Argostoli. Tra quei fanti inscatolati in un repentino macello c’era un insegnante di Sant’Andrea del Garigliano, l’ufficiale Antonio Galasso, che fu tra i pochissimi scampati all’eccidio.

Tornato in patria, negli anni ‘60 Galasso divenne consigliere comunale a Cassino ed assessore provinciale. Nel 1994 i figli pubblicarono il suo diario postumo sull’orrore a cui scampò: “Italiani di Cefalonia!”- Le truppe italiane di Grecia dopo l’8 settembre 1943, rieditato dal Centro documentazione studi cassinati e con una toccante e puntuale presentazione di Emilio Pistilli. E suo figlio, Bruno Galasso, consigliere uscente a giugno di Demos della Città Martire, è stato invitato a Cefalonia a parlare della testimonianza del padre.

Il libro, il figlio Bruno e le autorità

La Cefalonia di oggi, bella da incantare con le sue vigne ed i suoi pini neri che guardano il mare, che però non ha dimenticato la Cefalonia di ieri, bella ma stuprata dalla violenza di uno degli atti di guerra più ingiustificati del Secondo conflitto mondiale. Galasso ha ringraziato “Sua Eccellenza, l’Ambasciatore Paolo Cuculi per il cortese e graditissimo invito, ed anche l’Agente Consolare Onorario di Cefalonia, l’avvocato Graziella Micheletti. Poi “l’addetto Militare, colonnello Maurizio Ortenzi, il prof. Claudio Toninel, Presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Divisione Acqui e tutte le altre autorità presenti”.

Tra cui il Console Onorario d’Italia a Itaca Giovanna Cavallo, il Consigliere dell’Associazione Nazionale Italiana della Divisione Acqui Giovanni Scotti, il deputato di Cefalonia e Itaca Panagis Kappatos. Poi il Vice Governatore di Cefalonia e Itaca Sotiris Kouris, il vicesindaco di Argostoli George Tsilimidos, il vicesindaco del Comune di Lixouri Eleni Loukeri. Ed infine il vicesindaco di Itaca Panagis Dorizas, il console onorario di Francia a Cefalonia Emmanuelle Sinagra.

Un nemico pietoso ed una fidanzata

“Ma soprattutto la comunità italiana residente sull’Isola per la splendida accoglienza”. Il padre di Bruno era in forza al reparto più falcidiato in assoluto, il 17° Reggimento della Divisione Acqui di stanza a Sami. Come fece a scampare alla morte Antonio Galasso? É stato lo stesso Bruno a rivelarlo: “Mio padre fu spinto alla fuga da un pari grado austriaco, che a rischio di essere a sua volta fucilato per tradimento, gli fece trovare un vestito da civile fuori dal recinto di prigionia, per salvarlo dalla fucilazione”.

Gli unici due momenti in cui la guerra dà sollievo è quando finisce oppure quando un nemico mette la sua umanità prima della sua divisa. E ad Antonio Galasso capitò questa seconda evenienza. Uno scenario salvifico che il militare e futuro amministratore potè perfezionare “grazie anche all’aiuto di Alexandra, una ragazza del luogo con cui sembra fosse fidanzato”.

La fuga attraverso Itaca

Galasso “passò da Itaca, attraversò il mare e sbarcò sul continente dove, dopo un anno di stenti e vicissitudini sui monti di Grecia, riuscì a imbarcarsi per tornare in Italia”. Come fece Galasso a trasformare quell’inaspettata fortuna in salvezza concreta? Grazie ai suoi studi classici.

“A scuola aveva studiato il greco antico. Riuscì così a districarsi meglio di altri fra le diverse difficoltà che via via gli si paravano davanti, instaurando buoni rapporti con la popolazione locale, anche a vantaggio di tanti suoi commilitoni in difficoltà”.

E come un novello Ulisse ma solo transitante per Itaca, il cassinate “sbarcò sul continente, e attraversò l’intero territorio greco in un drammatico viaggio coast to coast, da Mytikas a Volos.

Quel filo da Cefalonia a Cassino

La lapide in memoria dei Caduti a Cefalonia

Suo figlio ha voluto rinsaldare quel ricordo che è anche legame mistico. Legame tra un uomo che oggi è vivo grazie alla pietà di un nemico e la terra dove moltissimi altri quella pietà non la trovarono. “Come ex-Consigliere comunale della città di Cassino, patria di San Benedetto, patrono d’Europa, distrutta al 100% nel 1944 dagli Alleati, riterrei auspicabile favorire l’avvio di rapporti più stretti fra l’isola di Cefalonia e la mia città”.

E a chiosa, presentando come curatore la terza edizione dell’opera del padre: “Soprattutto a beneficio dei più giovani. Per fare memoria insieme su quanto accadde a Cassino e qui, ottantuno anni fa”. E per placare le urla di quei martiri che si mischiano al mormorio delle onde. Le stesse onde che li videro cadere senza sapere più chi fossero i nemici o gli amici. Ma certi di un fatto: che l’Italia è molto di più e molto meglio di chi dell’Italia vuole tenere le redini.