Il vero limite non sono le barriere architettoniche: è il nostro pensiero

Maria Rita Scappaticci

Psicologa e blogger

Le barriere vanno eliminate per permettere a chi non è uguale di avere le stesse opportunità.

Quindi costruiamo rampe, eliminiamo scale, edifichiamo ascensori. E cosi tutti possono avere accesso alla struttura, tutti possono entrare, tutti possono muoversi. Ma una volta arrivati a destinazione, una volta che si è potuto attraversare il varco, ormai non più ostruito, cosi c’è dall’altra parte?

Definiamo diversamente abile chi ha altre caratteristiche, per lo più differenti dalla massa, che non usa gli stessi canali comunicativi, non ha la stessa modalità di spostamenti, di espressione emotiva e di relazione.

Eppure è diversamente abile anche chi ha un cervello che, in potenziale, potrebbe elaborare qualcosa di diverso da tutti.

E allora potremmo dire che siamo tutti diversamente abili, ognuno a modo proprio potrebbe riuscire a gestire le proprie abilità per fare cose nuove, diverse, alternative.

Ma siccome la maggior parte di noi riesce ad uniformarsi alla massa allora è considerato abile: abile ad essere uguale agli altri. E quindi riusciamo ad usufruire dei servizi presenti ed uguali per tutti, senza bisogno di ulteriori aiuti: siamo tutti abili perché il mondo pensato per essere tutti uguali non ci crea problemi.

E quelli che chiamiamo diversi? Come possono poter sperare di misurarsi con le loro potenzialità se abbiamo pensato solo a come fargli entrare ma non a come rendere la loro permanenza in grado di realizzare le loro possibilità?

Il vero limite non sono le barriere architettoniche. Il vero limite è il nostro pensiero.

In quanto “abili” ci permettiamo di dire che il resto del mondo che non sa fare le stesse cose che facciamo noi non ha motivo di impegnarsi per trovare un’alternativa. Addirittura, ci sentiamo grandi quando riusciamo, per caso, a creare uno spazio, relativamente a loro misura, in un angolo remoto di una stanza.

Il vero limite è posto dal modo in cui guardiamo un bambino che si isola o un adulto che rimugina e ha diverse modalità di espressione. Il vero limite è quello che poniamo quando vediamo qualcuno che sta fuori dalla massa, e siamo bravi ad individuarlo subito perché sarà quello che ci richiederà più energie per poterlo comprendere ed integrare. Si perché per relazionarsi con uno che ha abilità diverse serve l’attivazione di canali differenti, che forse la maggior parte non sa neanche di avere perché gli abili usano le cose comuni non le alternative.

E allora il diverso si mette da parte, da solo, perché se so parlare con trenta persone ugualmente abili ma non so relazionarmi con un solo diversamente abile il problema non è certo mio.

Ebbene, ho sempre considerato una sconfitta non riuscire a capire una modalità diversa di parlare, di arrabbiarsi, di esprimere disagio o piacere. Perché a capire qualcosa che si sa fare sono bravi tutti: la vera genialità è dare spazio e comprendere chi non usa gli stessi mezzi.

Se poi tutto questo ci mette in difficoltà, non importa, possiamo sempre dire di essere ugualmente abili al resto del mondo e dormire sonni tranquilli.

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