Allenatori italiani come Giulio Cesare, il Rubicone si passa sempre

[SOPRA LA PANCA] L'approdo di Spalletti alla Juve ha confermato una tendenza dei tecnici nostrani: cambiare casacca dopo aver professato amore ed attaccamento senza limiti. La differenza con gli stranieri che storicamente hanno dimostrato maggiore senso di appartenenza

Giovanni Lanzi

Se lo chiamano 'Il Maestro' non è un caso

Ve lo immaginate Diego Pablo Simeone, 15 stagioni di fila head coach dell’Atletico Madrid (2 scudetti, 1 Coppa del Re, 1 Supercoppa spagnola, 2 finali Champions, 1 Supercoppa Uefa e 1 Europa League in bacheca, il tutto spalmato su 751 panchine), uscire di casa incappucciato come un maranza, salire in macchina e scappare di notte per approdare nella sede dei rivali del Real Madrid? Nemmeno un pazzo ci scommetterebbe un cent bucato.

El Cholo già aveva rischiato parecchio dalle sue parti, nei passaggi tra Racing, Estudiantes (2 titoli argentini) e River Plate (altri 2 titoli) prima di sbarcare in Italia al Catania e tornare in Patria al Racing. Gli sono bastati. Nunca màs. Mai più. Si chiama ‘spirito di appartenenza’. Che in Italia è immolato sull’altare del ‘yes we can’. Tutto è possibile. Il famoso salto della quaglia da una delle 4-5 Sorelle è uso comune da parte dei big della panchina. Soprattutto nel giro ristretto che va dal Milan all’Inter, dalla Juve alla Roma fino al Napoli.

Ma perché in Italia è più facile cambiare casacca dopo aver professato attaccamento senza limiti e confini? In Spagna e da nessun’altra parte in Europa sanno cosa vuol dire ‘chi ci battezza, ci è compare’. Anche quello che fino a ieri è stato il nemico amatissimo. Passa sotto il nome di progetto ma non è così.

L’ultimo a varcare il Rubicone

Poco meno di duemilacento anni fa ma la metafora che sconfina nel calcio nostrano c’è tutta. L’ultimo della serie a scombinare i piani e varcare il ‘Rubicone’ come fece Giulio Cesare è Luciano Spalletti, appena approdato sulla panchina della Juventus, nella stagione 2022-‘23 condottiero del Napoli alla conquista del suo terzo scudetto.

Il tatuaggio sul braccio, poesie d’amore e poi il divorzio tra mille frasi in politichese, la pista di decollo già preparata per l’approdo in nazionale, il flop europeo e l’esonero con i fantasmi di una terza mancata qualificazione ai mondiali ancora tutti da fugare dal suo successore Gattuso. Il tecnico toscano nella sua lunga carriera quasi del tutto spesa in Italia, prima di passare in rassegna le 4 big (Inter, Roma per 2 volte in periodi distinti, Napoli e ora la Juve) si era seduto sulle panchine di Empoli, Sampdoria, Venezia, Udinese 2 volte intervallate dall’esperienza all’Ancona.

Luciano Spalletti ai tempi dello Zenit di Sanpietroburgo

Dal 2005 il salto di qualità: il primo periodo nella Roma (2 Coppe Italia, 1 SuperCoppa italiana), quindi lo Zenit San Pietroburgo in Russia (2 campionati, 1 Coppa di Russia e 1 Supercoppa), il ritorno a Roma, l’Inter (2 stagioni, l’esonero e 2 anni a casa pagato da mr Zhang) e quindi il Napoli dal luglio 2021 (1 scudetto).

Prendiamo a campione altri tecnici italiani di primissima fascia: Ranieri (a 72 anni passato ad un ruolo dirigenziale alla Roma ma prima di decidere ha tentennato parecchio), Allegri, Capello, Ancelotti, l’esoneratissimo Pioli, Conte, Lippi, Sarri, Sacchi. Tutti hanno allenato le big di casa nostra, alcuni anche più volte. Con l’eccezione del buon Arrigo. Vediamoli nel dettaglio.

Vado al Max ma solo in casa mia

Massimiliano Allegri (Foto: Sergio Oliverio / Imagoeconomica)

Massimiliano Allegri, 58 anni – che non ha mai allenato Oltrealpe anche perché ‘legato’ in Italia da contratti molto pesanti che lo hanno garantito fino in fondo – ha costruito la sua carriera sull’asse Milan-Juventus. La sua carriera era iniziata all’Aglianese, poi la Spal in serie C, il Grosseto (finale 2005-’06 persa con il Frosinone di Ivo Iaconi ma quella stagione venne anche esonerato e poi ripreso dal vulcanico patron Camilli) quindi diventa collaboratore tecnico del compianto Giovanni Galeone all’Udinese per poi passare al Lecco in serie C1.

Poi traghetta il Sassuolo dalla serie C1 alla B e Cagliari compie il suo primo miracolo, anzi due: resiste alle tentazioni di Cellino di mandarlo via dopo 5 ko di fila e porta i sardi ad una comoda salvezza. Cellino però lo esonera la stagione successiva, a salvezza assicurata.

Quelle performances gli valgono il primo ciclo col Milan, (1 scudetto e 1 Supercoppa italiana nel 2010-’11) dove è tornato dal luglio scorso nella speranza di rivitalizzare il Diavolo. Allegri ha fatto il bis con la Juventus (12 trofei in totale con i bianconeri: nella prima esperienza 5 scudetti e 4 Coppe Italia di fila, 2 Supercoppe italiane 2 finali Champions; nella seconda 1 Coppa Italia prima del divorzio forzato).

Allegri con Eusebio Di Francesco prima di Juventus-Frosinone di 2 anni fa

Sdoganando nel calcio il ‘corto muso’, la celebre frase che il tecnico livornese prese in prestito dall’ippica che frequentava sin da bambino con la nonna. C’è da dire che il secondo ciclo nella Juventus non fu tutto rose e fiori. Dopo le dimissioni di Andrea Agnelli, aveva messo anche le sue sul tavolo ma John Elkann le rispedì al mittente. Ma quando Allegri, trionfatore nella finale di Coppa Italia 2023-’24 cacciò il ds Giuntoli dal gruppo in festa, Elkann non mosse un dito a difesa del suo allenatore. E il motivo fu semplice: Elkann aveva già avallato l’arrivo di Thiago Motta, scelto da Giuntoli. Il resto è storia contemporanea. Per il Max da Livorno al momento si contano 815 panchine da professionista.

Sir Claudio, un totem nella Hall Of Fame

Lascio, non lascio, raddoppio… All’ultima giornata della scorsa stagione disse: “Voglio scoprire cosa c’è oltre il calcio”. Niente di particolare, per lui c’è sempre e solo il calcio. Anche se da un’altra prospettiva. Claudio Ranieri, 74 anni, ha fatto tris di cicli con la Roma nel periodo dal 2009 al 2025, senza però conquistare trofei. In precedenza aveva vinto una Coppa Italia e una Supercoppa italiana durante l’esperienza con la Fiorentina.

Claudio Ranieri

Giramondo, va in Spagna e alla guida del Valencia vince una Coppa del Re. E non si fa problemi ad allenare i rivali dell’Atletico Madrid. Niente a confronto delle squadre allenate in Inghilterra. Allena 4 stagioni al Chelsea, poi il ritorno al Valencia dove vince una Supercoppa Europea. Dopo Parma (salvezza), Juventus, Roma (secondo posto) e Inter va al Monaco 2 anni (vince la Ligue 2 e arriva secondo in Ligue 1).

Una parentesi con la nazionale della Grecia e il ritorno in Inghilterra, con il titolo in Premier alla guida della neopromossa Leicester. Trionfo che gli vale il titolo di Baronetto in Inghilterra ma anche una serie di onorificenze: allenatore dell’anno per la Fifa, Palma d’oro al merito tecnico, l’inserimento nella Hall of fame del calcio italiano e il titolo di Grande Ufficiale della repubblica Italiana. Prima del ritorno in Italia, 1 anno al Nantes e 1 al Fulham.

Ma visto che a Londra sir Claudio è praticamente di casa, dopo aver tolto le castagne dal fuoco alla Samp, torna al Watford 1 stagione. E si toglie altri 3 anni di soddisfazioni: la promozione in A col Cagliari ottenuta a 10” dalla fine del 120’ dello spareggio col Bari, la salvezza con i sardi, l’addio… e il richiamo della Roma che porta dalla zona retrocessione all’Europa League. Totale per lui 1361 panchine da professionista.

Don Fabio, il precursore dei grandi salti

Fabio Capello, 79 anni – ‘appena’ 809 panchine da professionista – da allenatore ha ripercorso il cammino già intrapreso nella sua vita da calciatore: Roma, Juventus e Milan sono stati i suoi approdi vincenti in Italia. Da calciatore infatti aveva vinto 4 scudetti (3 con i bianconeri e 1 con i rossoneri) e 2 Coppe Italia (1 con la Roma e 1 col Milan).

La sua carriera di tecnico inizia dalla gavetta, al Milan. E il suo arrivo in prima squadra fu voluto fortemente da Silvio Berlusconi nella stagione 1991-‘92. Ha guidato il Milan in due periodi differenti (nel totale con lui in panchina 4 scudetti, 3 Supercoppe italiane, 1 Champions League e 1 Supercoppa Uefa). In panchina alla Roma (1 scudetto e 1 Supercoppa italiana), passando poi sulla panchina della ‘odiatissima’ Juventus praticamente a festeggiamenti ancora in corso. Capello ha allenato in due stagioni non consecutive il Real Madrid (2 scudetti). E’ stato anche il primo allenatore italiano a ricoprire il ruolo di ct della nazionale inglese, esperienza durata 5 anni prima delle sue dimissioni.

Al capitano Terry fu infatti tolta la fascia per episodi di razzismo e Capello – che si era più volte espresso in tema di razzismo – se ne andò nel gennaio 2012 per non essere stato consultato sulla scelta: “Le decisioni le prendo io – disse – e decido io chi ne è il capitano”.

Don Fabio è stato anche ct della nazionale della Russia, dal 2012 al 2015, divorzio pare legato alla brutta figura ai Mondiali in Brasile. Incassò 15 dei 25 milioni richiesti. E pure il suo nome è ben in vista nella Hall of Fame del calcio italiano. Ha chiuso la sua carriera di allenatore in Cina, nello Jiangsu Suning. Ben pagato anche là.

E Carletto dove lo metto? È il più titolato

E poi c’è Carlo Ancelotti, 66 anni, partito dalla provincia padana, a Reggio Emilia e diventato l’allenatore italiano più titolato e con il maggior numero di panchine da professionista: 1.472. Lui è salito in maniera verticale tra gli anni con Parma, Juventus (famoso lo scudetto perso all’ultima giornata a favore della Lazio) e Milan (1 scudetto, 1 Coppa Italia, 1 Supercoppa italiana, 1 Champions League, 2 Supercoppe europee e 1 Coppa del mondo per club).

Carlo Ancelotti

Poi quasi un decennio tra Chelsea (1 campionato inglese e una FA Cup), Psg (1 campionato francese), Real Madrid (1 Coppa del Re, 1 Champions League, 1 Supercoppa europea e 1 Coppa del mondo per club) e Bayern Monaco (1 campionato tedesco e 2 Supercoppe di Germania) prima del ritorno in Italia al Napoli con il brusco addio dopo un anno e mezzo. L’intermezzo all’Everton, il periodo d’oro ancora nel Real Madrid (2 campionati spagnoli, 2 Supercoppe spagnole, 1 Coppa del Re, 2 Champions League, 2 Supercoppe Europee, 1 Coppa del mondo e 1 Coppa Intercontinentale) e lo sbarco in Sudamerica sulla panchina del Brasile.

Scelte di campo: Conte sempre no-limits

Antonio Conte

Da leccese purosangue ha allenato e vinto un campionato col Bari. Il Rubicone lo aveva già varcato in quella circostanza. Diciamo che non lui non si fa problemi se non aggiunge amici alla rubrica personale. Al suo fianco anche il team manager Lele Oriali, campione del mondo 1982 e una storia trentennale con l’Inter. Il tecnico leccese poi da ex calciatore ed ex allenatore della Juve ha vinto con l’Inter e pure con il Napoli.

Il 56enne Antonio Conte – 637 panchine da professionista – è un altro degli esempi che in Italia ‘yes, we can’. Con la Juventus, ha inanellato 3 scudetti di fila e 2 Supercoppe italiane. Poi nell’estate 2014, a ritiro iniziato, lascia il club e diventa ct della nazionale azzurra. Decisione che fa parte del personaggio: prendere o lasciare. Di certo anche i rapporti non del tutto rose e fiori con Marotta – col quale si è ‘beccato’ indirettamente dopo l’ultimo Napoli-Inter – incisero parecchio.

Conclusa la parentesi azzurra dopo l’Europeo, salta sul primo aereo e vola al Chelsea (vince la Premier al primo colpo e la FA Cup l’anno dopo). Non resiste il terzo anno e riprende l’aereo, stavolta destinazione Milano sponda Inter (1 finale Europa League e 1 scudetto nel 2020-’21). Il terzo anno non lo fa nemmeno là, un classico.

Aurelio De Laurentiis, patron del Napoli (Foto: Andrea Panegrossi © Imagoeconomica)

Perché riprende l’aereo e torna in Inghilterra, senza problemi. Sponda Tottenham. Dove però le cose non vanno come dovrebbero, chiude l’avventura prima del termine della seconda stagione, lasciando lo scettro di head coach al suo fido vice Stellini. Un anno di riposo e quindi lo sbarco a Napoli (1 scudetto nella sua prima stagione).

Conte è il classico tecnico che non concede vie di mezzo dal punto di vista calcistico: si ama o si odia. E di volta in volta la platea si sposta da un club ad un altro. E’ il primo allenatore italiano ad aver vinto lo scudetto con 3 squadre differenti. Anche lui, tra i tanti riconoscimenti, inserito di diritto nella Hall of Fame del calcio italiano.

Pioli, un flash tricolore tra ombre e esoneri

Fresco di secondo esonero alla Fiorentina, è forse l’allenatore italiano che più ha guadagnato nell’ultimo anno tra All-Nassr e il Club Viola. Dire che Firenze non gli porta sarebbe blasfemia.

Una quindicina di anni di gavetta, poi non si è fatto mancare le panchine più importanti della serie A (Inter, Milan, Fiorentina 2 volte e Lazio) oltre all’esperienza molto ricca (si parla di 10 milioni all’anno) in Arabia Saudita. Prima di tornare alla Fiorentina dove è sceso dal treno dopo la sconfitta interna col Lecce. Nel totale 929 panchine da professionista e 1 titolo da poter esporre: lo scudetto con il Milan, in gran parte regalo dei cugini dell’Inter.

Stefano Pioli, 60 anni, dalla prima esperienza tra i professionisti alla Salernitana fino all’esonero di Palermo nel 2011 non aveva dato grandi segnali. A Parma aveva lasciato una squadra sull’orlo della retrocessione, poi salvata da Ranieri. Sfiora l’esonero a Piacenza, in B, alla fine arriva la salvezza.

Accarezza la promozione nella massima serie col Sassuolo (semifinale playoff persa col Torino) ma finalmente la panchina della massima serie la trova al Chievo. C’è anche il pasticcio di Palermo dove la buon’anima di Zamparini lo caccia prima del via. Un mese dopo si accasa al Bologna in A. Due anni e mezzo in rossoblu e un esonero al terzo con la squadra che lasciò salva e che poi retrocesse al termine del campionato con Ballardini al suo posto.

Daniel Ciofani con un suo gol condannò alle dimissioni Pioli dopo un Fiorentina-Frosinone 0-1

Arrivano anche le stagioni che potevano essere importanti ma non lo sono state: prima la Lazio (un 3° posto il primo anno, ma il derby perso che costò la piazza d’onore) con l’esonero la stagione successiva dopo un ko ancora nel derby (1-4). Il secondo anno fu un calvario, passato sulle montagne russe – tra le mani monche di Lotito e i problemi di spogliatoio – ed anche per una personalità che non è stata mai il pezzo forte per il tecnico emiliano.

Quindi c’è l’Inter ma viene esonerato a 3 giornate dalla fine dopo un ko 5-4 a Firenze e l’affondamento successivo con Napoli e Genoa. Un’onta per lui che si dice sia un neroazzurro di fede. E poi a breve giro la panchina della Fiorentina ma lui lascia, precisamente dopo la sconfitta casalinga col Frosinone, nell’aprile 2019. E lascia con polemica contro il club: “Sono stato costretto a lasciare – disse – Sono state messe in dubbio le mie capacità professionali e, soprattutto, umane”.

Stagione viola segnata tragicamente anche dalla morte del povero Astori. Ecco la chiamata del Milan dove rimane 5 stagioni (1 scudetto, più regalo dell’Inter che gran merito dei rossoneri). E pensare che prima di lui pare che il Milan avesse cercato Spalletti che però non ritenne di doversi liberare dall’Inter che lo aveva esonerato. In rossonero si passa dal #Pioliout al ‘Pioli is on fire’. Nel 2023 festeggia anche una Panchina d’Oro.

Cristiano Ronaldo

Il distacco dal calcio italiano non fu certo quello che si può definire traumatico, per lui contratto milionario all’All-Nassr in Arabia Saudita, con Cristiano Ronaldo. Avventura dorata (durata 1 stagione con zero titoli e pure la contestazione dei tifosi). Pradè lo chiama alla Fiorentina. Città bellissima, contratto di 3 milioni netti ma posto drammatico per Pioli. Che non ha il coraggio di lasciare 9 milioni netti e viene esonerato direttamente dal patron Commisso.

La Juve, il Mondiale, la Cina: Lippi transnazionale

E come dimenticare lui, don Marcello Lippi, 77 anni. Ad oggi il decano dei tecnici italiani vincenti. Una carriera lunga 37 anni. Contraddistinta dai successi con la Juventus (5 scudetti, 1 Coppa Italia e 4 SuperCoppe italiane, 1 Champions League, 1 Coppa Intercontinentale e 1 SuperCoppa Uefa ma anche due finali di Coppa dei Campioni perse). L’arrivo di Lippi sulla panchina della Juve all’inizio della stagione 1994-‘95 coincide con la chiusura dell’epoca-Boniperti e l’ingresso della Triade Moggi-Giraudo-Bettega.

Marcello Lippi ed il compianto Gianpiero Ventrone

In precedenza Lippi aveva allenato l’Atalanta con un ottavo posto finale, il Napoli che viveva problemi societari e che condusse al sesto posto finale. Chiuso il primo ciclo della Juve con l’esonero nel febbraio 1999, accetta l’Inter dove però non vive un buon momento perché lo considerano bianconero a tutti gli effetti. Perde due finali, Coppa Italia e SuperCoppa con la Lazio, vuole andare via ma Moratti lo tiene e lo esonera alla prima giornata della stagione successiva. Un anno di stop e poi di nuovo in sella alla Juventus, con il famoso scudetto vinto scavalcando l’Inter all’ultima giornata. Tricolore bissato la stagione successiva.

Per una Juventus allora abituata a stravincere, il 3° posto dell’anno successivo sancisce il divorzio. Ma Lippi prepara il trionfo ai mondiali del 2006 con la Nazionale, qualche giorno dopo il colpo di scena con le dimissioni. Era la stagione di ‘Calciopoli’, il figlio Davide era stato ‘toccato’ e lui scelse la strada dell’addio per scacciare retropensieri su possibili condizionamenti.

L’Italia di Lippi campione del mondo nel 2006

L’Italia chiamò due anni dopo, le dimissioni di Donadoni lo rimettono in sella ma la chimica magica non si innesca, l’Italia uscirà nella fase a gironi. Lippi arriva a scadenza, 2 anni dopo va in Cina al Guangzhou dove vince un campionato e rimane 3 stagioni. La tigre cinese continua a cavalcarla in nazionale, per altre 3 stagioni. Viene avvicendato e a sua volta avvicenda il suo ‘pupillo’ Cannavaro che fece esordire da giovanissimo nel Napoli. Ma il movimento in Cina non decolla e Lippi si dimette.

Sarri, suo l’ultimo scudetto della Juventus

Maurizio Sarri, 66 anni, da dirigente di banca giramondo un bel giorno scelse la carriera di allenatore di calcio. Fino al 2011 il sarrismo prendeva corpo sui campi della provincia, tra serie B e Terza serie. Pescara, Arezzo, Avellino, Verona, Perugia in Lega Pro, Grosseto in corsa in serie B, Alessandria e Sorrento in serie C. Fino all’incontro con il patron dell’Empoli, Fabrizio Corsi.

E’ là che il sarrismo assume contorni più definiti: il primo anno passa dal raschiare il fondo della classifica alla finale playoff per la serie A persa col Livorno, salto che non fallisce l’anno successivo. L’esplosione del sarrismo vero e proprio è in serie A alla guida dei toscani che conduce alla salvezza. E così passa al Napoli, prima big della carriera a 56 anni. Tre stagioni belle, con 2 secondi posti e 1 terzo posto.

Ma fu la terza stagione a risultare fatale, 91 punti e un pugno di mosche in mano. E ancora Firenze costa caro ad un allenatore: il suo Napoli perse 3-0 in casa dei Viola dopo aver subito il contraccolpo psicologico della vittoria della Juve sull’Inter, lasciando al ‘Franchi’ lo scudetto. Sarri disse: “Su 16 volte abbiamo giocato 14 volte dopo la Juventus. Non so se abbia vinto la squadra più forte, sicuramente la più potente”.

Ma certi destini poi si incrociano. E solo in Italia a quanto pare. Perché Sarri intanto divorzia da De Laurentiis e vola al Chelsea: un terzo posto in campionato e la vittoria in Europa League. A 60 anni e mezzo, il tecnico più anziano a vincere quel trofeo. La storia con i ‘Blues’ di Londra dura però 1 sola stagione. C’è la Juventus che usciva dal primo ciclo di Allegri. E Sarri – nella stagione della pandemia e dello stop & go – vince il campionato dopo essersi scrollato di dosso la Lazio.

Claudio Lotito (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Lo scudetto – l’ultimo vinto dalla Vecchia Signora – non basta alla dirigenza bianconera, che lo esonera. Un anno di pausa e nella sua vita professionale c’è puntuale la terza big, la Lazio. Doppio ciclo in biancazzurro per lui perché certi amori fanno giri immensi e poi ritornano: un quinto posto, un secondo posto e le dimissioni del terzo anno e poi il ritorno la scorsa estate tra i mille problemi legati al blocco del mercato. Ma Sarri non ha mollato, per “amore del popolo biancoceleste”. Per lui finora 768 panchine da professionista.

Sacchi di trionfi e un solo vero amore rossonero

Poi c’è anche chi come Arrigo Sacchi, romagnolo di Fusignano, ha legato il proprio nome ad un solo, indissolubile amore: il Milan. Partendo dalla sua Fusignano, transitando per Rimini e Parma. Negli anni d’oro dei rossoneri, il primo Milan dell’accoppiata Berlusconi-Galliani con il team manager Ramaccioni imperscrutabile in panchina.

Silvio Berlusconi scopritore di Arrigo Sacchi

Fu proprio Berlusconi a notarlo nel Parma. Lo volle al Milan per l’inizio di un ciclo dorato. Sacchi rimase fedele. In quelle stagioni che vanno dal 1987-’88 al 1990-’91 ha vinto ha vinto 1 scudetto, 1 Supercoppa italiana, 2 Coppe dei Campioni, 2 Supercoppe UEFA e 2 Coppe Intercontinentali. Poi 5 anni in Nazionale e la finale persa col Brasile ai campionati del mondo del 1994.

Per lui anche il ritorno al Milan nel 1996-’97 ma senza riuscire a rispolverare i fasti passati, l’Atletico Madrid nel 1998-’99 dove viene esonerato e l’ultima esperienza, nel Parma, che però mette a nudo problemi di salute che lo convincono al ritiro definitivo. Chiuderà la sua carriera con appena 439 panchine da professionista.

Il senso di appartenenza che non c’è

Che dire? I ‘nostri’ Hanno saputo sposare nel più stretto il significato del termine professionista. Magari lasciando da parte il famoso spirito di appartenenza. Dopo magari aver dichiarato che non sarebbe mai andato alla Juve (Capello, scappato di notte dopo lo scudetto vinto a Roma) o che non avrebbe mai allenato un’altra squadra in Italia (Spalletti dopo lo scudetto vinto col Napoli).

Claudio Ranieri

Ranieri – che ha allenato ovunque in Italia (Napoli, Fiorentina, Cagliari, Inter, Juventus, Roma) e in mezza Europa – poi si è superato: Er Fettina aveva annunciato il ritiro un paio di volte prima di cedere al richiamo della scrivania. Allegri si è diviso tra Sassuolo, Cagliari (che big non sono), Milan e Juve a più riprese. Sarri aveva sfiorato lo scudetto con Napoli, per poi andarselo a prendere con la Juve dopo l’intermezzo al Chelsea.

Gli stranieri lo fanno diverso

Molto diverso il discorso per alcuni big stranieri della panchina presi a campione. Luis Enrique (in bella vista il doppio ‘treble’ per lui, con Barcellona e Psg, al pari di Pep Guardiola) dopo un Celta Vigo dal basso profilo, ha vinto tanto col Barcellona (2 campionati spagnoli, 3 Coppe di Spagna, 1 Supercoppa spagnola, 1 Champions League, 1 Supercoppa Europea e 1 Coppa del mondo per club) e altrettanto con la nazionale spagnola. E poi ha scelto il Psg con cui ha vinto 2 campionati francesi, 2 Coppe di Francia, 2 Supercoppe francesi, 1 Champions League e 1 Supercoppa Europea.

Per Jurgen Klopp il tempo di farsi conoscere in Germania al Magonza e poi inizia a seminare trofei: con il Borussia Dortmund vince 2 campionati tedeschi, 1 Coppa di Germania e 2 Supercoppe di Germania. Decide di varcare i confini. E parte la storia fantastica col Liverpool, da brividi solo a leggerla: 1 campionato inglese, 1 Coppa d’Inghilterra, 2 Coppe di Lega inglese, 1 Supercoppa inglese, 1 Champions League, 1 Supercoppa Europa e 1 Coppa del mondo per club.

L’addio annunciato per tempo è commovente, l’Anfield Road rischia l’allagamento per le lacrime degli 80.000. Ed eccoci a Pep Guardiola: il tiki-taka col Barcellona, il Bayern Monaco e il ManCity. Spagna, Germania, Inghilterra. Ha vinto 40 trofei, il secondo allenatore più vincente della storia dietro sir Alex Ferguson con 49.

Il caso “special one”

José Mourinho

Un caso a parte, tra i big stranieri, è sicuramente José Mourinho, portoghese, 62 anni. Partito dalle giovanili del Setubal, club lusitano, in patria ha allenato anche lo Sporting Lisbona, il Porto (entrambe come vice), il Benfica, Leiria e di nuovo il Porto come capo allenatore, per tornare in Portogallo nella stagione in corso alla guida del Benfica.

Lo “special one” è stato anche vice nel Barcellona ed in Spagna ha guidato i rivali del Real Madrid. In Inghilterra è stato tecnico del Chelsea in due periodi differenti e poi ha allenato il Manchester United ed il Tottenham. In Italia famosissimo per il triplete conquistato con l’Inter, è stato anche sulla panchina della Roma con cui ha vinto la Conference League. La scorsa stagione era al timone del Fenerbahce.

Anche per lui bacheca ricchissima: due titoli portoghesi col Porto, una Taca de Portugal ed una Supercoppa, una Coppa Uefa ed una Champions League (sempre col Porto). In Inghilterra conduce il Chelsea alla conquista di 2 Premier League, 2 Coppe di Lega, 1 FA Cup ed una Supercoppa Inglese.

La Roma di Mourinho che ha vinto la Conference League (Foto: A.S. Roma)

Detto dei successi con l’Inter, al Real vince una Liga, una Coppa del Re ed una Coppa di Spagna. Non rimane a mani vuote quando torna al Chelsea dove ottiene un’altra vittoria in Premier ed un altra vittoria di Lega. Nelle due stagioni al Manchester aggiunge una Supercoppa inglese, una Coppa di Lega ed un’Europa League. Molti riconoscimenti a livello personale.

Alex Ferguson sul podio della fedeltà

E così sul podio della fedeltà assoluta al club c’è lui, sir Alex Ferguson con 1.489 panchine: 27 anni al Manchester United. Il tecnico scozzese in precedenza aveva guidato una stagione la nazionale scozzese e 8 stagioni l’Aberdeen. Nella sua bacheca 3 campionati, 4 Coppe, 1 Coppa di Lega di Scozia, 1 Coppa delle Coppe e 1 SuperCoppa Uefa. E poi appena 13 titoli in Premier League, 5 Coppe d’Inghilterra, 4 Coppe di Lega e 10 SuperCoppe. Unite a 1 Coppa delle Coppe, 1 SuperCoppa Uefa, 2 Champions League, 1 Coppa Intercontinentale e 1 Coppa del Mondo per Club. E i titoli personali sono una ventina.

Sir Alex, a livello di appartenenza, è seguito a ruota dall’inglese Arsene Wenger: 22 anni all’Arsenal. In precedenza il Nancy prima e poi il Monaco per 8 stagioni, in Francia. Dove vinse un campionato e una Coppa di Francia. Esonerato, andò ad allenare un club giapponese vincendo la Coppa dell’Imperatore e la SuperCoppa. Il passaggio al club lodinese nel 1997-’98 coincise con la prima delle 3 vittorie in Premier League, alle quali vanno sommate 7 Coppe d’Inghilterra e 7 SuperCoppe. Più una decina di riconoscimenti personali. Chiuse la carriera nel 2018 con 1.292 panchine e il record di 828 in Premier.

Un Grande di Spagna è il 1° marchese di Salamanca Vicente Del Bosque. Una vita da calciatore, prima, e da allenatore, dopo, nel Real Madrid. Con i ‘blancos’ ha vinto 2 campionati della Liga, 1 SuperCoppa di Spagna, 2 Champions League, 1 SuperCoppa Uefa, 1 Coppa Intercontinentale.

E’ stato ct della nazionale maggiore della Spagna con la quale ha vinto il mondiale nel 2010 e l’Europeo nel 2012. E selezionatore della Under 21 con la quale ha vinto un Europeo. Ha terminato la carriera nel 2016 per scelta familiare. Ah, dicevamo dello spirito di appartenenza? I tecnici stranieri nettamente avanti rispetto agli italiani. Per i quali tutto è possibile. D’altronde il Rubicone è in Italia…

(Foto di copertina © DepositPhotos.com).