Immaginatelo voi un 16 maggio oggi: io non ci riesco

Foto © DFL Deutsche Fussball Liga

Al destino non manca il senso dell'ironia. Cinque anni fa, nello stesso giorno. Nel 2015 il Frosinone celebrava la festa per avere raggiunto il campionato più bello e completo. Nel 2020 riparte il Calcio: in Germania. Ma non è la stessa cosa. Anzi...

Fabio Cortina

Alto, biondo, robusto, sOgni particolari: molti

Saranno state quasi le sette della sera. Distrutto. I novanta minuti di una partita che sembrava giocata in prima persona, le urla sguaiate in diretta, le interviste ai tifosi in campo, persone sconosciute che ti abbracciavano e poi l’arrivo nel piazzale antistante la tribuna, altre interviste, altri sorrisi, altri abbracci. La sera del 16 maggio 2015 a Frosinone fu una festa senza precedenti, un clima che in pochi avevano vissuto, forse solo quelli che nel luglio di nove anni prima si erano riversati in Via Aldo Moro per la vittoria dei Mondiali. Un qualcosa di simile, ma non la stessa cosa.

Frosinone, stadio Matusa, l’invasione di campo dopo la storica promozione in Serie A nel 2015

Frastornato. Il tempo non ha senso: l’uscita in Piazza Martiri di Vallerotonda, l’attraversamento di Viale Mazzini, il tentativo di imboccare Via Aldo Moro. Impossibile. Sono i cretini e gli scaramantici a parcheggiare al Conad, quelli che dicono “Vabbè in fondo prima o poi uscirò”. Per fare cinquanta metri a piedi sono stati necessari sei o sette minuti. In quel tragitto interminabile c’erano le immagini di tutte le forme della gioia: papà che piangevano, bimbi che gridavano, donne esagitate ed anziani travestiti da adolescenti. In quel momento, tutte quelle persone non avevano età, non avevano tempo. Erano nate tutte al terzo gol di Dionisi, un urlo liberatorio come il pianto che ti apre alla vita.

È attraversando dal vivo le immagini di quel film che si arriva al Conad ed alla macchina. Magra soddisfazione: la città bloccata. Nel parcheggio le stesse scene, gente diversa ed identiche espressioni. La portiera è l’ultima frontiera da attraversare per raggiungere finalmente un sedile che mai era stato così comodo. Mezzo Toscano – chissà poi perché – è sempre lì ad aspettarti nei momenti chiave: accenderlo è come il gesto più naturale al mondo. Immerso tra le volute del fumo e l’odore acre: solo quello è il momento in cui si riesce a realizzare quello che era appena accaduto, quello che si è avuto il privilegio di raccontare e che nessuno mai potrà togliere come momento professionale ed umano.

I festeggiamenti per il Frosinone

Il Frosinone era appena andato in Serie A. Aveva ragione chi c’era nell’82 l’anno della mitica vittoria al Mundial: non si riesce a capire cosa si prova, cosa si sente. Se è la stessa cosa allora è la consapevolezza di essere stato presente ad uno dei momenti della Storia, quelli che si racconteranno per sempre, quelli per i quali si dice “Io c’ero“.  

Cinque anni ed è tutto cambiato. È cambiato a Frosinone, è cambiato nel mondo. Questi mesi ci hanno restituito un mondo coperto con la mascherina, un mondo che deve stare a distanza. E che purtroppo sta cominciando a voler stare lontano. Vedere oggi le immagini del prato del Matusa coinvolto in un amplesso con migliaia di persone impazzite sembra quasi come osservare un quadro che ci riporta a riti tribali di epoche passate.

Al Destino il senso dell’ironia non manca. Nello stesso giorno in cui cinque anni fa una banda di scalmanati raggiunse il livello più alto nel posto in cui si gioca il calcio più completo al mondo, in Germania è ripartito il campionato. Partiamo dal presupposto che il calcio tedesco non è tutto sto granché e a questo aggiungiamo che la Bundesliga è il primo campionato europeo a ripartire nell’era del Covid. Ma ieri, di calcio giocato quelle partite avevano solo il pallone che rotolava. Neanche gli undici in campo erano qualcosa di reale, anzi soprattutto gli undici in campo. Non è questione di tecnica. Ma di amore, di passione, di agonismo. I giocatori in campo erano robottini, refrattari ad entrare in contatto con gli avversari e funzionali solo alla ripartenza di un business troppo grande per essere bloccato. Quelli in panchina, con la mascherina ed a distanza, i pezzi di ricambio nel caso qualcosa si dovesse rompere.

Il Dortmund festeggia a fine gara alla riapertura della Boundesliga Foto © DFL Deutsche Fussball Liga

Il paradosso è un’eventuale ultima di campionato in cui si decide qualcosa, una eventuale finale play off. A Frosinone. Immaginatela se ci riuscite. Non ce la faccio. Non è questione di meriti ma di cuori. Come si riesce ad immaginarla? Io non ci riesco. Il calcio è fatto per metà sul campo e per metà fuori. Ha un vero e proprio indotto immateriale che lo spinge verso quel colosso che è, ed in quell’indotto prestano la loro opera milioni di tifosi. Far ripartire il calcio senza di loro è come costruire macchine limitate a 50 all’ora. Sì camminano, ma non vanno da nessuna parte.

E allora bisogna dire la verità. Sì ,si riparte, si onorano i contratti con le televisioni, si continua a far vedere gli sponsor dietro i pannelli a messaggio variabile. Si fa tutto quello che è giusto fare affinché il calcio non muoia, ma si sappia che sto pallone rimane in coma farmacologico fin quando l’emergenza non sarà finita. Fin quando non sarà possibile abbracciarci, baciarci, sputacchiarci e piangerci addosso tutta la gioia di un gol o di una vittoria.

Voi fate quello che dovete fare, io finisco il sigaro e poi torno a festeggiare in Via Aldo Moro. Proprio come accadde 1827 giorni fa, quando mi accorsi che quella macchina doveva rimanere lì ed io avevo un altro po’ di gente da abbracciare.