Mister Di Pucchio da Sora, l’uomo che segnò alla Juve e scoprì Chinaglia

Claudio Di Pucchio ha legato il suo nome alla storia del calcio ciociaro, trascinando il Sora ai massimi risultati mai raggiunti. Soprattutto scoprendo e formando talenti che poi sono finiti in Serie A. Ma pochi sanno che proprio il mister, nella massima serie ci ha giocato e si è anche tolto qualche soddisfazione. Il giorno del suo debutto in serie A, trasformava con calma olimpica a pochi minuti dal termine dell’ultima sfida di campionato (stagione 66/67), il rigore che consentiva alla Lazio di accorciare le distanze dalla scudettata Juventus al vecchio Comunale di Torino.

 

LIBERO MARINO per LAZIOPOLIS

(…) Restammo stoicamente in dieci e si presentò, a circa dieci minuti dal termine, l’occasione della vita. Pagni, Morrone e gli altri compagni – segno della fiducia che nutrivano nei miei confronti – mi lasciarono calciare dagli undici metri. In quell’istante mi vennero in mente le parole dell’amico dell’altra sponda giallorossa, Francisco Ramon Lojacono, che mi consigliava di non scegliere nessun angolo ma di calciare forte e centrale. Così feci battendo Anzolin. Purtroppo non bastò a evitare la retrocessione, però mi tolsi una gran bella soddisfazione personale ripagando la fiducia di Maino Neri, che mi stimava profondamente tanto da paragonarmi in piccolo al sommo Rivera. ll giorno dopo i giornali (su tutti Corriere dello Sport e Guerin Sportivo) furono prodighi di complimenti nei miei riguardi. In realtà il mio esordio in A sarebbe dovuto avvenire alcuni mesi prima…”

 

Cioè?
“Era il 4 novembre 1966, il giorno della famosa alluvione di Firenze. Quella domenica eravamo impegnati al San Paolo contro il Napoli di Zoff e Sivori. Trascorremmo la vigilia a Caserta dove condividevo la stanza con il grande attaccante Vito D’Amato. Ero molto ottimista circa il mio impiego nella delicata sfida contro i partenopei, invece il nostro tecnico Mannocci mi preferì in extremis Mari. Mi spiegò che era meglio rinviare il mio debutto al mercoledì successivo a Roma dove avremmo affrontato, in Mitropa Cup, la Stella Rossa di Belgrado.  A Napoli splendeva il sole a differenza di quanto avveniva in Toscana: perdemmo 1-0 in uno stadio stracolmo, a decidere la sfida fu uno splendido gol di Omar Sivori. A fine gara patron Lenzini scese negli spogliatoi rinnovando la fiducia al nostro allenatore, ma l’imponderabile stava per accadere”.

 

Ci spieghi meglio…
“Il lunedì successivo scesi al bar vicino alla mia abitazione di via Oslavia, non lontana dalla sede di allora di via Col di Lana. Mentre facevo colazione i miei occhi caddero sul titolone in prima pagina del Corriere dello Sport : “Mannocci silurato”. Si era consumato il clamoroso colpo di scena. Mi precipitai subito a Tor di Quinto dove Bob Lovati ci confermò che il tecnico livornese non era più l’allenatore della Lazio. L’allenamento fu cancellato e il mercoledì di Coppa fui spedito nuovamente in tribuna”.

 

Prima ha menzionato patron Lenzini: che tipo era il sor Umberto?
“Una persona straordinaria dotata di un grande cuore. Mi voleva un bene dell’anima, fu una sorta di secondo padre per me. Mi ricordo che spesso ci incrociavamo allo Stadio dei Marmi prima delle sfide domenicali. Io ero puntualmente convocato ma, non essendoci allora la lunga panchina di oggi, finivo altrettanto puntualmente in tribuna. Così mi capitava non di rado di bere un caffè con lui prima del fischio d’inizio. Aveva una vis comica fuori dal comune. Mi ripeteva spesso: tu non giochi perché ti ho voluto io…”

 

Forse in pochi sanno che soprattutto grazie a lei un certo Chinaglia approdò alla Lazio…
“Con Giorgio nacque subito una simpatia reciproca. Ci conoscemmo al CAR di Orvieto nell’estate del ‘67, poi la nostra amicizia si consolidò a Roma, alla Cecchignola, dove la mattina ci allenavamo insieme. Era il periodo in cui Chinaglia passò dalla Massese all’Internapoli. Lui mi considerava un punto di riferimento importante, ne colsi subito le straordinarie doti di attaccante di razza. Abbiamo condiviso molti momenti insieme, era un buono ma dalla personalità forte, a volte diventava aggressivo e prepotente. Su Giorgio potrei scrivere un libro. Un giorno andai nella sede di via Col Di Lana scortato proprio dal futuro Long John che presentai ai dirigenti dell’epoca (tra cui Vona, Angelini e Gabriella Grassi) e a qualche tifoso presente. Dopo ne parlai con il neo tecnico Lorenzo, consigliandogli di seguire quel giovane di belle speranze. A mia insaputa, il tecnico della Lazio andò a visionarlo a Salerno durante un’amichevole della Nazionale di serie C. Tornato a Roma, mi disse negli spogliatoi, davanti agli altri compagni, che era rimasto molto colpito da un certo Nanni della Viterbese, mentre Giorgione non gli aveva fatto una grossa impressione. Alla fine della stagione (…)

 

 

 

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