Il sogno del Frosinone che non svanisce all’alba

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

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Giovanni Giuliani

 

di GIOVANNI GIULIANI
Giornalista, ansioso e malato di calcio

 

I sogni finiscono all’alba: quello del Frosinone è durato 352 giorni, 52 domeniche durante le quali ha attraversato a testa alta tutti gli olimpi del calcio italiano. Da San Siro, all’Artemio Franchi, dallo Stadium all’Olimpico, senza mai doversi vergognare. Sarà anche per questo che l’alba del risveglio per il Frosinone non è stata un ritorno alla realtà: è stata invece come il lieto fine di una favola, dove il principe sposa la Bella Addormentata, dove il re e la regina si abbracciano e vissero tutti felici e contenti. L’alba nella quale finisce il sogno del Frosinone è una lezione di calcio e di sportività per l’Italia, fatta di applausi per una squadra che retrocede, fatta di una curva che canta: “riproviamoci“, fatta di calciatori che vanno a ringraziare i tifosi senza dover abbassare la testa, fatta di giocatori avversari con la maglia del Sassuolo che applaudono squadre e tifosi canarini….

È questa la fotografia più bella per raccontare l’arrivederci alla serie A del Frosinone. Dopo il triplice fischio finale ci sono stati venti minuti di Storia che tra qualche anno sarà Leggenda del calcio… Quasi venti lunghissimi minuti di applausi, lacrime e cori. Minuti di orgoglio, l’orgoglio giallazzurro, nel giorno più amaro per il Frosinone che saluta la massima serie mentre il popolo canarino si stringe per l’ennesima volta attorno ai suoi beniamini.

L’immagine che testimonia l’amore eterno, infinito di un popolo è un Matusa colorato di giallo e di azzurro, che ha accompagnato la squadra nell’ultima battaglia interna della stagione. Con le speranze salvezza già alla vigilia ridotte al lumicino il tifo in questa giornata ha avuto il suo apice.

E forse è stato anche giusto che il destino abbia riservato al vecchio Matusa il momento più struggente. Un catino che per l’ultima volta nella sua gloriosa storia ha ospitato una gara della massima serie e che presto lascerà il passo al nuovo stadio Benito Stirpe.

Al Matusa, dunque, si è messa la parola fine ad un cammino difficile nel calcio dei grandi che ha visto il Frosinone rimanere in gioco per 37 giornate. Si… proprio in quello stadio circondato dai palazzi con i tifosi affacciati sui balconi. Scene di un calcio d’altri tempi e che hanno reso il pallone più umano.

Il Frosinone torna tra i cadetti con l’onore delle armi… E allora prima di analizzare cosa non è andato è il momento questo di elogiare un gruppo ed un allenatore che in tre anni hanno fatto la storia di questa società. È il momento di rendere onore ad una tifoseria sempre presente. E’ il momento di dire che questa squadra ha dato tutto, da Daniel Ciofani a Mirko Gori, emblema ciociaro di grinta e determinazione. E’ il momento di non dimenticare quanto fatto dal presidente Maurizio Stirpe.

Si torna tra i cadetti, però, con più di qualche rimpianto anche perché la massima serie se ne è andata per poco.

Ma non è questo il momento dell’analisi di ciò che non è andato. Ci sarà tempo per parlare degli sbagli, di un mercato deficitario o del fatto che il Frosinone abbia pagato dazio con arbitraggi sfortunati. Tanti errori, troppi pesanti, pesantissimi… La sentenza sulle speranze salvezza dei canarini, forse, è arrivata a Verona col Chievo dopo un clima di sospetti creato ad arte da quel vecchio furbacchione di Maurizio Zamparini. Ma questo, è il momento di raccontare una bella pagina di sport al di là del risultato.

Ora che sono arrivati i titoli di coda si può solo dire….pecccato…. Peccato perché bastava poco di più per tenere tra le mani quella serie. Non servono alte parole. Bisogna ripartite subito. Perché questo non deve essere un addio ma solo un arrivederci.