Chi è il vero proprietario dello stadio Benito Stirpe (di A.Porcu)

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Chi è il vero proprietario dello stadio Benito Stirpe. Non è Maurizio Stirpe, anche se paga la corrente, l'acqua, il giardiniere... E nemmeno è il proprietario della squadra. Si diverte a farlo credere.

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Lo stadio non è il suo. Maurizio Stirpe ha tagliato il nastro insieme al ministro dello Sport, al presidente della Provincia, al prefetto ed al vescovo. Ma lo stadio che porta il nome di suo padre, il cavaliere del lavoro e sognatore Benito, non gli appartiene. Anche se paga le bollette della luce e dell’acqua, il giardiniere e tante altre cose.

Non è Maurizio Stirpe il proprietario dello Stadio Stirpe. E – a dirla tutta – non è nemmeno il proprietario del Frosinone Calcio. Lo lascia credere a tutti.

Suo padre, il cavaliere del lavoro Benito Stirpe, era uno che sapeva sognare. Perché quando si sogna non ci si pone limiti. Ci sono quelli che fanno sogni timidi, appena accennati. E quelli che sognano in grande. Il cavaliere Benito diceva sempre che il Frosinone sarebbe arrivato in Serie A e che al Casaleno sarebbe stato realizzato il nuovo stadio: «Non ci manca niente per riuscirci. Che ci manca?!».

Nulla cavaliere. Se non il fatto che, nel momento in cui diceva quelle cose, il Casaleno non era buono nemmeno per piantarci le patate, al punto che un allenatore un giorno arrivò a preferire il parcheggio in asfalto piuttosto che quel terreno sconnesso sul quale arrivava la puzza del pesce e delle altre mercanzie vendute lì intorno al mercato del giovedì.

La Serie A e arrivata. E ora pure lo stadio. «Che ci manca?»

Il vero dramma dei figli è quello di doversi confrontare con i padri. Ci sono migliaia di abilissimi ed intelligentissimi ragazzi rimasti intrappolati a vita sulla scalata con cui superare il padre. Sigmund Freud lo chiamava ‘complesso Edipico‘. E Maurizio Stirpe non ne soffre. Perché il papà – il cavalier Benito – la Serie A e lo Stadio li ha solo sognati. Lui li ha realizzati.

A Maurizio Stirpe restava solo una cosa da fare, per non restare intrappolato nemmeno un po’ nella scalata del Complesso Edipico: sognare più in alto di suo padre.

E cosa vuoi sognare più della Serie A e del terzo stadio più moderno in Italia, fatto per giunta al Casaleno? Puoi sognare Messi che dirige l’attacco del Frosinone in una finale di Champions? Robetta.

Maurizio Stirpe ha sognato più in alto. Ha sognato uno stadio che non sia il suo. Nel senso che l’impianto realizzato con il Comune e sul quale ha i diritti per il prossimo mezzo secolo, lui sogna che sia un impianto della gente. Cioè? Bar interno aperto tutta la settimana, lounge area a disposizione di chi deve fare un incontro d’affari, salotto con vista panoramica sulla città e sulla partita, ristorante, museo, palestre…

A tenere in piedi uno stadio da Serie A (perché il Benito Stirpe è per capienza, per sicurezza, per concezione e per omologazione, uno stadio da Serie A) non basta la partita della domenica. Occorre che ognuno se ne faccia carico. Per quello che può: fosse pure solo andando a prenderci il caffè oppure a seguire gli allenamenti.

«Questa squadra non è la mia – disse il cavalier Annunziata quando arrivò il momento di passare la guida del Sora – io in questa città ho solo le tombe dei miei genitori. C’è una città intorno e deve rendersi conto che la squadra è sua, non possono pretendere che continui ad andare avanti io da solo…» Andò a finire che Annunziata andò via, la squadra retrocesse, la società venne radiata da tutti i campionati professionisti e dilettantistici.

Maurizio Stirpe ha deciso che lui non deve essere lui il proprietario dello stadio. Anche se paga le bollette dell’acqua, della corrente e ci fa giocare sopra la sua squadra. Ma sarà la città, la provincia, il territorio, vivendo tutti i giorni lo Stadio, ad esserne il vero proprietario. E più tifosi saprà attrarre il Frosinone, più sarà larga la schiera dei proprietari. Non un azionariato sociale, non una piccola quota per ognuno: ma è sufficiente che ognuno lo viva e ci vada, tutti i giorni, al bar come al ristorante interni o nelle palestre, perché lo sente casa sua. Anzi, la casa del suo sogno.

Una rivoluzione culturale, un sogno di civiltà. Talmente ambizioso che forse nemmeno Benito Stirpe, il cavaliere del Lavoro e sognatore, sarebbe riuscito a fare.

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