Internazionale: Top e flop dal mondo. I protagonisti della settimana

Internazionale. I protagonisti della settimana sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

TOP

LA FAO

E’ diventato grande come il Molise, con più di 200 miliardi di individui. E sono individui che hanno una sola mission biologica: sciamare per mangiare e riprodursi. Fino a diventare 500 miliardi, come la popolazione umana di cento e passa pianeti terra. Ma con le scorte alimentari di una terra sola. È il totem frusciante di un dopo Covid in prospettiva più apocalittico di Covid stesso. La Food and Agriculture Organization ha lanciato l’allarme e ha rincarato la dose, senza pudori o fronzoli benaltristi.

Il Segretario Generale della FAO Qu Dongyu Foto © Giuseppe Carotenuto

Per sconfiggere l’invasione di locuste che sta martoriando il sud ovest dell’Asia e mezza Africa sub sahariana servono altri 350 milioni di dollari. I 500 precedentemente spuntati sono ormai diventati argent de poche.

Lo dice a The East African il direttore Qu Dongyu. «Non possiamo ancora cantare vittoria, servono più fondi, perché il problema rischia di diventare mondiale». Perché mondiale? Semplice e agghiacciante. Si calcola che solo negli ultimi step del 2020 oltre 27 milioni di persone nell’Africa orientale vivranno una carestia biblica. Con loro altri 18 milioni nello Yemen e nel Golfo Persico. Che fa in tutto 45 milioni di affamati allo stremo che peseranno sull’economia planetaria come ghisa.

Perché sono popolazioni già provatissime dai mali atavici di un mondo guardone ma non solidale nei fatti. E diventeranno in congrua percentuale vittime da seppellire, quando non fiumana migrante in un mondo farcito da sovranismi.

Dopo il 2020 c’è il 2021, e il ciclo riproduttivo della locusta non segue certo il calendario dei forum di facciata. In un contesto nel quale gli allarmi sono sempre successivi agli effetti dei disastri la Fao non è caduta nel tranello di gridare ai buoi scappati con la stalla ormai aperta. E ha gridato forte e in anticipo che serve di più.

Piaga biblica non ti temo.

MARIE CAU

«Ho un budget inesistente ed una scuola da riaprire al più presto». Sono parole che solo certi sindaci usano senza dare l’impressione di ciurlare nel manico. Quei sindaci spicci che hanno attaccato al chiodo i fronzoli del politichese. E che ti danno l’impressione di essere sempre lì lì per rimboccarsi le maniche sugli avambracci pelosi e nerboruti. Marie Cau però gli avambracci pelosi non li ha. Non può averli perché si chiama Marie, sindaco di Tilloy-lez-Marchiennes, paesino del nord della Francia. Però una volta li aveva, o quanto meno è lecito supporre che li avesse.

Marie Cau

Perché lei, Marie Cau, è il primo sindaco transgender di Francia, con alle spalle un percorso consapevole e sereno di 15 anni di operazioni. E un sogno amministrativo che scavalca, solenne, i lazzi beceri dei lepeniani sulla sua vita.

Consiglieri e cittadini hanno fatto qualcosa di più che ‘accettare’ Marie, perché l’accettazione presuppone un giudizio a priori che è già anticamera di intolleranza. Accettare viene sempre dopo un ‘malgrado’. No, loro hanno scelto Marie perché Marie è esattamente quello che ci voleva per una comunità di 556 anime spersa nel magma del dopo Covid. E’ tenace, si prefigge piccoli ma testardi obiettivi, litiga con chi butta la plastica nei fossi e sa fare battute fulminanti. Ed ha un magone grosso come una casa sulla scuola locale. La vuole aperta, in sicurezza ma aperta.

Marie, che sul futuro ci ha scommesso in maniera tanto radicale, il futuro lo conosce meglio degli altri. Non come vaticinio su cosa accadrà, ma come prospettiva su cosa deve assolutamente accadere. Che cioè i bambini tornino ad imparare. Secondo Le Parisien, Marie ritiene i suoi concittadini “gentili”, anche se non nasconde che abbiano “qualche difetto”. E sapete quale? Non sono intolleranti, sono solo «ancora poco attenti alla sostenibilità ecologica».

Recidiva per l’ulcera di Orban, sinfonia per la pancia del mondo.

Genere da generale.

FLOP

L’ESERCITO POLACCO

La Polonia dovrebbe intendersene di blizkrieg, cioè di guerre lampo sparate dritte in pancia al nemico senza essere dichiarate. Non foss’altro per il fatto che proprio di quel metodo il primo settembre del 1939 divenne test per la Wermacht a trazione nazista. Quello che quindi magari ci si aspettava era che Varsavia avesse usato quello step buio della sua storia. E che lo avesse fatto per fuggire in modalità lepre da ogni militarismo speed. Coltivando cioè la sana lentezza dei Paesi che hanno le stanze dei bottoni connesse ai neuroni di chi le bazzica.

Donald Tusk con Sergio Mattarella. Foto: © Francesco Ammendola / Quirinale

Probabilmente e in maniera concettuale è vero. Tuttavia a Praga non la pensano esattamente così, non dopo essersi visti invadere da truppe polacche in assetto operativo. Senza preavviso e senza quel tatto gigione e teatrante che di solito si accompagna alle esercitazioni militari.

Perché di quello si trattava, di un’esercitazione finita d’impeto in un’altra nazione. Ma lo si sarebbe appurato dopo una manciata di minuti cruciali. Una partentesi spazio temporale maledetta in cui alcuni effettivi dell’esercito della Repubblica Ceca si sono trovati di fatto il ‘nemico’ in casa. E con esso l’opzione affatto peregrina di aprire buchi in petto al medesimo.

Da quelle parti l’arrivo spaccone di uomini con la divisa diversa dalla tua lo prendono ancora molto sul serio. Troppe volte è successo, e con esiti troppo trucidi.

E gli ‘invasori’ non hanno fatto nulla per dare camomilla al contesto. Non poteva essere altrimenti perché si trattava di ceffi tignosi assai. Tutti organici alla generazione di militari fedeli al neo sovranismo polacco che ormai ubriaca un paese già mastino per tradizione millenaria.

Le young guns di Prawo i Sprawiedlywsosc hanno circondato una chiesetta in Slesia con il piglio di un popolo che agnello sacrificale non lo è mai stato. Neanche nel ‘39, quando gli ufficiali polacchi credettero fino alla fine di poter rintuzzar via a ditate negli occhi le divisioni meccanizzate di Von Rundstedt e Guderian. Ad ogni modo l’equivoco si è chiarito prima che la faccenda finisse con qualche Humvee cappottato a suon di calibri oversize.

In coda poi Varsavia ha posto formali scuse. Lo sconfinamento resta un giallo, quello che per un attimo ha prodotto tende al marrone e la nuova Polonia mannara vira sul nero.

Polonien.

MIGUEL BOSE’

Per chi oggi orbita intorno ai 50 era creatura chimerica: un po’ mito assoluto sul fronte femminile, un po’ inarrivabile rivale per i maschietti della generazione Drive In. Perché lui, di un certo machismo latino fatto di parole chiave come ‘corazon’ e ‘mi cuerpo’, è stato il padre. E in Italia diede il via alla diabetica stagione dei bellocci spagnoleggianti a tutto tondo. Ispirando reggimenti di languidoni emuli che monopolizzarono i sospiri delle nostre mogliere. L’Italia lato Eva degli anni ‘80 aveva sbavato più di un allevamento di lumache dietro a questo bandolero con lo chassis di un dio greco, figlio di un’attrice e di un torero.

Miguel Bosè

Poi era arrivata la fase due della sua vita e con essa l’outing. L’omosessualità rivelata ai media, il compagno, i figli con l’utero in affitto, la regia, i capelli corti e una sobria barbetta sale e pepe.

Al netto delle roncolate sul polso delle sue fans, Miguel Bosè è rimasto un’icona, icona rafforzata da un tratto più maturo e consapevole. Ed influentissima in Spagna. Dove in questi giorni però il nostro ha ‘matato’ il buon senso e si è scoperto maestro di complottismo.

Come? Accusando il presidente Pedro Sanchez di essere complice di un disegno mondiale che vede coronavirus e 5G essere perni di controllo sulle popolazioni del pianeta. Roba, neanche a dirlo, fritta e impanata in salsa Microsoft, con l’immancabile Bill Gates che con il vaccino vorrebbe sostanziare da remoto questa sua verve pupara.

Insomma, Bosè è diventato un fan del generale Pappalardo. Con l’hashtag #YoSoyLaResistencia la star invita a dire no e a creare gruppi in tutto il mondo.

Questo per evitare che con il vaccino anti Covid arrivi il maledetto microchip che ci renda tutti robot appecorati ai voleri delle camarille riccone 2.0. Quasi inutile sottolineare il problema. Se sei una star planetaria che urla al lupo rischi di mandare in tilt non un singolo gregge sciancato, ma tutti gli ovini del mondo. E in un mondo dove i lupi ci sono, ma hanno la tana altrove no, non sta bene proprio.

Tori e bufale.

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