Internazionale: Top e flop dal mondo. I protagonisti della settimana

Internazionale

Internazionale. I protagonisti della settimana sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

TOP

JUSTIN TRUDEAU

Gli uomini capaci di mettersi in ginocchio restano dritti più degli altri. E i politici che lo fanno diventano statisti. Da questo punto di vista il premier canadese Justin Trudeau non ha solo intercettato la Grande Storia, ma ha anche dato scacco matto ad un certo modo di vedere il Canada. Un modo che è tutto ‘Made in Usa’.

Trudeau
Justin Trudeau © Matthew S. Duboff

Inginocchiandosi per protestare contro l’uccisione di George Floyd Trudeau ha creato un contrappunto etico spaventoso con Donald Trump, che di Floyd era il presidente. E che alterna silenzi a gaffes clamorose. Ma il giovane leader di uno dei paesi con la qualità della vita più alta al mondo ha giocato di doppietta. Ed ha segnato un punto, ad hokey ovviamente, in quella che è anche una antica battaglia di costume. Quella battaglia che nella vulgata Usa vede i canadesi buoni solo per le barzellette sui gonzi imbalsamati, sugli alci e sulle Giubbe Rosse.

Ed al contempo si è accreditato come leader che punta alla pancia del paese sul tema razzismo. Quella canadese è una società multirazziale se possibile ancor di più di quella statunitense. Perché il Canada da anni ormai persegue una politica di accoglienza e concessione della cittadinanza molto più incisiva. Lo fa per sostanziare un’economia monstre che conosce solo crisi transitorie. E che si innesta su una politica che vede si il Paese diviso fra francofoni e anglofoni, ma unito come non mai nel perseguire l’obiettivo di diventare il fiore all’occhiello di un certo occidente che ad urlare la teoria preferisce sussurrare la pratica.

«È arrivato il momento di riconoscere che anche noi canadesi abbiamo i nostri problemi con il razzismo». Così ha detto Trudeau ad Ottawa. Il presidente belloccio e fresco di genuflessione pubblica ha accolto gli ‘stranieri’ come si coglie un’opportunità per crescere. Prima ancora di come si sposi una causa per filosofare.

E schierandosi sul caso Floyd ha fatto centro come statista accorto prima ancora che come uomo civile.

Doppio incasso.

BERNARD EMIE’

Osama Bin Laden lo adorava. Perché era lesto a pensare più di quanto non lo fosse nell’imbracciare l’AK per macellare infedeli. E con lui tanto in empatia ci era entrato, il capo defunto di Al Quaeda, da affidargli una mission subito prima di trovare i Seal in tinello ad Abottabad. E la mission era: ‘Prendi il comando di Al Quaeda in Africa’. Che è un po’ come designare un erede, visto che Africa in generale e Magrheb in particolare sono la nuova frontiera del jiadhismo. E lui, Abdelmalek Droukdel, prese l’incarico con sanguinolento entusiasmo. Al punto da infiltrare frotte di attentatori suicidi in Algeria. E fare tanti cadaveri, fra cui sette bambini.

Bernard Emie

Fino a quando non ha trovato un uomo particolare che gli ha tolto ogni velleità. Perché i morti non sono tipi velleitari. In Giordania, dove era stato ambasciatore di Francia, Bernard Emiè era chiamato ‘Mente Cangura’. Un epiteto strano a sottolineare la sua straordinaria capacità di balzare oltre ogni ostacolo e puntare un obiettivo con velocità agghiacciante. Insomma, il tipo non ama i fronzoli. Proprio per questo dal 2017 è a capo della DGSE, il servizio segreto francese con pertinenze estere. Lui comanda sia le barbe finte infiltrate per carpire informazioni che un paio di reparti ombra del II Rep Etrangères. Parliamo del reggimento paracadutisti della Legione Straniera, gente spiccia assai.

E in questi giorni Emiè ha fatto tana al capo di Al Quaeda in Africa. East African rivela che l’obiettivo, laureato in Matematica, fegataccio della jihad afghana e generale del Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento, aveva solo un rovello. Quale? La serie israeliana in streaming Fauda, che narra le gesta dei suoi sodali in martirio. Allertare una squadra di sorveglianza su un IP segnalato e pre allertare un team di AT, acquisizione target, è stato un attimo. Il resto è stato lo ‘Oui’ di Macron, botti ovattati di un Famas silenziato e storia, con un macellaio di meno e qualche scrupolo etico in più.

Ma lui, Emie’, di scrupoli ne ha pochi. Lui è ‘Mente Cangura’.

Baguette calibro 9.

FLOP

RAND PAUL

Se c’è una cosa che davvero mette gli Stati Uniti di fronte al loro lato oscuro quella è il linciaggio. Arma razziale di giustizia sommaria, barbarie che per due secoli è stata norma. E abominio. Perché da quelle parti il furore forcaiolo del popolo verso chi è accusato a cuor leggero pare sia giusto a prescindere. Tanto che la foga di incravattare colli lì diventa una specie di lavatoio sacro con cui rimettere le cose a posto. Spicci: senza processo, senza giudici, senza garanzie. E il caso Floyd fa scuola amarissima. Legge di Lynch, la chiamarono, dal nome di un esaltato virginiano che pare per primo la applicò contro i neri.

Rand Paul. Foto © Gage Skidmore

Un clichet muscolare di cui poi i western fecero scialo. Specie con noi europei, fruitori finali hollywoodiani ma cauti nell’approvare. Che ci siamo limitati quindi a goderci le sboronate pistolere senza necessariamente sposarle in punto di etica; un po’ come Star Treck che acchiappa ma certo non ci convince dell’esistenza dei vulcaniani.

A fine febbraio il Congresso aveva sanato lo sconcio, con una legge che dichiarava il linciaggio reato federale. Legge Till, l’avevano chiamata, dal nome del 14enne afroamericano linciato per motivi razziali nel 1955 in Mississippi.

Tutto bene dunque, in ritardo abissale ma bene. Il ‘ma’ si è concretizzato in queste ore. E il ‘ma’ ha un nome e cognome: quello di Rand Paul, senatore repubblicano del Kentucky.

Costui, secondo il Chicago Tribune, ha pronto un emendamento che bloccherebbe lo step finale, cioè la firma di Trump. Nel nome della necessità di «non confondere i crimini minori con il linciaggio». Cioè di non confondere chi impicca con una corda con chi strangola con una mossa.

«Per coloro che hanno causato solo lividi lievi stringendo il collo a qualcuno serve una pena ridotta a 10 anni». Oculato, ma in questo momento era imperativo sanare le 200 volte che quel disegno di legge si era arenato in aula. Ironia della sorte, Paul fa l’oculista.

L’etica miope.

JAIR BOLSONARO

Un uno due micidiale, in salsa churrasca come piace a lui. E probabilmente a lui solo. Jair Bolsonaro continua ad essere mistero doloroso. E che governa un paese grande 30 Italie come si governerebbe Ascoli Piceno. Dopo l’endorsement a Trump e la minaccia di uscire dall’Oms, il presidente del Brasile ha deciso di oscurare il sito web del ministero della Sanità. Il paese è secondo nel pianeta per contagi Covid e la scelta di non fornire più i dati totali ma solo i giornalieri sa di censura tout court. E se c’è una cosa su cui Bolsonaro ha sempre potuto contare nelle sue uscite da capataz, quella è una pletora di ciambellani fedelissimi.

Jair Bolsonaro Foto © Alan Santos/PR

Tanto fedeli che proprio il sottosegretario alla Salute Carlos Wizard, invece di farsi venire le convulsioni, ha fatto la spalla gonza. «Il bilancio dei decessi dovuti alla pandemia verrà rivisto, perché i dati attuali sono fantasiosi o manipolati».

Il volume dell’ovvia domanda “ma manipolati da chi, se siete voi a controllarli?” la renderebbe udibile fin su Plutone. Ma il dato politico è un altro. Bolsonaro gioca a fare lo sparring del trumpismo perché spera in una contabilità morbida sui giudicati Usa per il caso Odebrecht. E soprattutto perché vuole una fetta della torta venzuelana una volta che Juan Guaidò, pupillo di Washington, abbia deciso cosa fare da grande.

I pianori sconfinati e dritti degli Ilanos, con la loro viabilità al top, sono confine fra i due paesi e portarvi infrastrutture sarebbe facile e lucrosissimo, a limonare con il governo giusto.

E in tema di strategie anti Covid il ruvidismo alla Trump a mo’ di medaglia porta due doti: piglio sulla nuca del popolo ed emulazione del modello che ringhia al 1600 di Pennsylvania Avenue. Come si fa con i cugini tamarri ma forzuti, che per ricompensarti poi ti portano con loro alla gara di rutti.

Caricatura Carioca.