I protagonisti del giorno * Top & Flop

Top & Flop. Ogni notte, i protagonisti della giornata appena conclusa. Per capire meglio cosa ci attende l’indomani.

TOP 

LUIGI DI MAIO

Davanti all’inaccettabile ricatto di Erdogan (“Se l’Unione Europea ci ostacola manderemo tre milioni e mezzo di profughi”), il ministro degli Esteri ha avuto il coraggio e la prontezza di convocare immediatamente l’ambasciatore della Turchia per dire che non ci si può voltare dall’altra parte, che l’attacco turco ai curdi non può passare sotto silenzio.

Luigi Di Maio a La7 © Ag. IchnusaPhoto

Analoga iniziativa ha assunto il presidente francese Emmanuel Macron. Il tutto in un clima di ipocrisia alimentato dagli Stati Uniti e accettato da molte grandi potenze che si definiscono democratiche e solidali. Il capo politico dei Cinque Stelle ha commesso tanti errori negli ultimi diciotto mesi, ma la mossa di oggi è un lampo che dimostra come il “filo” si può ritrovare.

Anche nel silenzio di molti alleati. Coraggioso.

ALESSANDRO DE ANGELIS

Il vicedirettore e prima firma dell’Huffington Post, ospite stasera di Piazza Pulita di Corrado Formigli, ha detto in faccia a Roberta Lombardi (capogruppo regionale dei Cinque Stelle) che il Movimento nel Lazio si è spaccato clamorosamente per via dell’accordo con il Pd. Aggiungendo che in politica non si può andare avanti con un processo di rimozione completa della propria storia

Alessandro De Angelis, vice direttore dell’HuffPost Italia © Imagoeconomica, Paolo Cerroni

Sottolineando come i Cinque Stelle non abbiano detto una sola parola su temi che fino a poche settimane fa cavalcavano. Come, per esempio, il processo ai genitori di Matteo Renzi. Roberta Lombardi ha dribblato la domanda, ma ha dato la stessa sensazione che aveva trasmesso Pierluigi Bersani nel famoso streaming in cui lei stessa lo fece politicamente a pezzi. Ancora una volta Alessandro De Angelis ha avuto la capacità di dimostrare le contraddizioni che stanno lacerando sia il Pd che i Cinque Stelle.

Lo ha fatto in punta di fioretto. Geniale

FLOP 

GIUSEPPE CONTE

Il  Def è passato alla Camera per soli tre voti. Parliamo del documento che costituisce l’ossatura della legge di bilancio, delicatissima. Nel fronte giallorosso il panico è dilagante.

Il Giornale ha scritto: “La maggioranza a quanto pare non è compatta e i giallorossi hanno già qualche problema sul fronte della stabilità. In Parlamento si contano circa quattordici assenti “non giustificati” tra le fila di Pd, M5S, Leu ed Italia Viva. La votazione sulle modifiche e l’aggiornamento del Def è passata con 318 voti a favore. Di fatto solo tre voti oltre la soglia di sicurezza. Qualche assenza in più e la Nadef rischiava di saltare per aria.

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte

Un segnale chiaro questo che apre dubbi e interrogativi all’interno del fronte giallorosso. da qualche giorno infatti M5S, Pd e Italia Viva sono in pieno conflitto proprio sulle ricette da approvare nella manovra che di fatto deriverà sostanzialmente dalla Nadef”.

Un segnale di allarme che però il presidente del consiglio Giuseppe Conte sottovaluta. In realtà il premier passa da un’esternazione all’altra, da una stretta di mano ad una pacca sulla spalla. La verità è che non è lui il capo della maggioranza giallorossa. Come non lo era di quella gialloverde.

Tre voti appena per il Def equivalgono ad una crisi non strisciante. Ma evidente. All’inferno e ritorno. All’inferno.

MATTEO RENZI

Solitamente, almeno all’inizio, chi è protagonista di una scissione raccoglie sondaggi favorevoli. Poi magari il risultato reale è diverso, ma all’inizio il fattore entusiasmo “tira”. Per Italia Viva questo non è successo e le rilevazioni più accreditate danno il partito dell’ex rottamatore tra il 3,5 e il 4%. Troppo poco per poter pensare di essere protagonista alle elezioni vere.

Matteo Renzi © Imagoeconomica, Paolo Lo Debole

Il punto è esattamente questo: Renzi viene percepito ormai come un abilissimo politico nelle strategie parlamentari. Non come un trascinatore. Ed è esattamente quello che è successo nella crisi politica di agosto-settembre. Perché, dopo aver determinato la caduta di Matteo Salvini, ha “salutato” pure Nicola Zingaretti. Un movimentismo esasperato che fa rima con personalismo. La scissione non ha prodotto alcuna spinta vera in prospettiva.

Ha il potere di vita e di morte sul Governo Conte, ma non ha ipotecato il futuro politico. Polveri bagnate.