Top e Flop, i protagonisti del giorno: 12 febbraio 2021

Top e Flop. I protagonisti della giornata appena conclusa. Per capire meglio cosa ci attende nelle prossime ore

TOP

NICOLA ZINGARETTI

La direzione nazionale del Partito Democratico ha dato il via libera all’unanimità (ripetiamo bene: all’unanimità) al sostegno al Governo Draghi. Vuol dire che il segretario Nicola Zingaretti ha il controllo completo del Partito.

Contemporaneamente la stragrande maggioranza dei segretari regionali del Partito ha detto No ad un congresso anticipato per scegliere un nuovo Segretario. Una specie di missile terra-aria nei confronti di Base Riformista e di quei sindaci (come Dario Nardella e Giorgio Gori) che non fanno altro che chiedere questo da mesi. Ma anche un ridimensionamento delle ambizioni del Governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini.

Nicola Zingaretti (Foto: Livio Anticoli / Imagoeconomica)

Quindi Nicola Zingaretti ha detto: “Per la delegittimazione del Pd appena tornato protagonista si muove una generale marea antipolitica”. E quanto al dibattito interno al Partito, Zingaretti definisce “da marziani” la richiesta del congresso e ha convocato per febbraio l’assemblea nazionale Dem, che dovrebbe aprire il confronto interno sulla futura identità del Partito.

Ha aggiunto: “Il successo del governo attorno al professore Draghi dipende dall’unità di M5S, Leu e Pd”. Una straordinaria prova di maturità politica di quello che resta il maggior partito della sinistra italiana. Ricapitolando: Pd schierato con Draghi all’unanimità, mantenimento dell’alleanza con Cinque Stelle e Leu, prospettiva perfino politica di un Governo di unità nazionale.

Capolavoro.

BEPPE GRILLO

Va dato atto al fondatore del Movimento Cinque Stelle che senza il suo intervento il sì al Governo Draghi dell’M5S non sarebbe mai arrivato. L’esito della votazione su Rousseau è indicativo.

Gli aventi diritto erano 119.444, i voti validamente espressi  sono stati 74.817. I sì sono stati 44.177 pari al 59,3%, i contrari 30.360 corrispondente al 40,7%. Dunque il sì a Draghi è passato con percentuali notevolmente più basse rispetto ai due governi Conte che avevano ottenuto rispettivamente il 94% e il 79% di consensi da parte della base.

Beppe Grillo (Foto: Imagoeconomica, Daniele Scudieri)

Inoltre, c’è un solo caso di votazione così combattuta ed è quello del voto sull’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini sul caso della Diciotti. Ma è chiaro che il voto è stato molto condizionato dalla posizione dei ministri e dei parlamentari, tutti d’accordo ad andare avanti. La base invece in qualche modo ha detto no. Si è smarcata.

Se Grillo non fosse andato alle consultazioni personalmente e non avesse dato il via libera a Mario Draghi, i Cinque Stelle sarebbero rimasti a guardare. Creando anche un problema enorme a Supermario, perché sarebbe stato complicato spiegare al mondo e all’Italia che si faceva un esecutivo di salvezza nazionale senza il Partito di maggioranza relativa.

Il fondatore ha dimostrato visione e lucidità. Ma soprattutto coraggio. Il coraggio di mettere in gioco tutto. Il Movimento si è spaccato come una mela e adesso i venti di scissione soffiano fortissimi. Ma Beppe Grillo ha dato la priorità al sostegno a Draghi. Pagando un prezzo altissimo.

Nervi d’acciaio.

FLOP

ALESSANDRO DI BATTISTA

Il gesto nobile è arrivato fuori tempo massimo. Dopo aver preso atto di una sconfitta politica storica. Ma paradossalmente nel giorno in cui proprio quel 40,7% di no sulla piattaforma Rousseau dice che lo zoccolo duro del Movimento non è affatto morto.

Il problema è che Alessandro Di Battista ha perso nel 2018, quando ha deciso di restare fuori dalla più grande vittoria politica mai raggiunta da una formazione come il Movimento Cinque Stelle. Da quel momento in poi in gioco non è più tornato davvero, stritolato dall’asse formato da Grillo, Di Maio e Fico.

Alessandro Di Battista (Foto: Benvegnu’ Guaitoli / Imagoeconomica)

Nelle ore scorse ha annunciato l’addio ai Cinque Stelle. Dicendo: “Stavolta non ce la faccio. Da diverso tempo non sono in accordo con alcune scelte del M5S, è più che legittimo. Non posso far altro che farmi da parte. Da ora in poi non parlerò più a nome del Movimento 5 Stelle anche perché in questo momento il Movimento non parla a nome mio”.

Ho grandissimo rispetto per la decisione degli iscritti. Reputo gli attivisti e coloro che votano persone raziocinanti, persone perbene che non si lasciano influenzare. Il sì ha vinto col 60%, quindi zero polemiche. Allo stesso tempo però dico che le decisioni si devono rispettare quando si possono accettare. Anche in questo caso io le accetto ma non riesco a digerirle. La mia coscienza politica non ce la fa”.

Ha proseguito: “Questa scelta politica di sedersi con determinati personaggi, in particolare con Partiti come Forza Italia, con un governo nato essenzialmente per sistematizzare il M5S e buttare giù un presidente perbene come Conte… questa cosa non riesco proprio a superarla. D’ora in poi non posso far altro che parlare a nome mio e farmi da parte. Se poi un domani la mia strada dovesse incrociarsi di nuovo con quella del M5S, vedremo: dipenderà esclusivamente da idee politiche, atteggiamenti e prese di posizione”.

Fuga dalla sconfitta.

GIUSEPPE CONTE

Al Corriere della Sera ha detto che a suo parere il rischio più grande per il Governo di Mario Draghi è l’estensione della maggioranza che lo sostiene. Giuseppe Conte fatica a metabolizzare il ritorno da premier ad avvocato.

Quelli di Mario Draghi è un Governo di unità nazionale, è perfino normale che in tanti lo sostengano. Oppure era meglio affidarsi a costruttori, responsabili e volenterosi?

Giuseppe Conte

Poi ha affermato che le priorità sono un nuovo Decreto ristori, il Recovery plan e la campagna vaccinale. La pandemia va avanti da un anno, mentre la campagna vaccinale è iniziata a fine dicembre. Non ieri. Quanto al Recovery plan, se Matteo Renzi non avesse posto il problema (a novembre), non sarebbe stato neppure all’ordine del giorno.

Giuseppe Conte continua ad avere ambizioni politiche: federatore del Polo progressista oppure capo del Movimento Cinque Stelle. Ma prima dovrà analizzare lucidamente una sconfitta politica che non è solo sua. Però lui era il capo del Governo e quindi ne deve rispondere più di tutti. La verità è che il suo esecutivo era paralizzato dai veti incrociati. Fermo, immobile. E sulla pandemia, la campagna di vaccinazione ha fatto subito segnare il passo sull’arrivo delle dosi che erano stato pattuite.

Infine, il Recovery plan: il Conte bis non ha mostrato capacità di spesa. Continuare a negare l’evidenza arrampicandosi sugli specchi non porta da nessuna parte.

Basta scuse.