Top e Flop, i protagonisti del giorno: 17 giugno 2021

Top e Flop. I fatti ed i protagonisti della giornata appena conclusa. Per capire cosa è accaduto e cosa ci attende nelle prossime ore

TOP

MASSIMILIANO VALERIANI

Massimiliano Valeriani. Foto Carlo Lannutti © Imagoeconomica

 “Anche il ministro Cingolani ha recentemente affermato che non c’è bisogno di nuovi termovalorizzatori, mentre è fondamentale raggiungere l’obiettivo previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, racchiuso nella formula 65-10-25, vale a dire 65% di raccolta differenziata, 10% di smaltimento in discarica e 25% di umido da recuperare come fertilizzante compost”. Lo ha detto Massimiliano Valeriani, assessore regionale del Lazio ai rifiuti.

In questi giorni sul tema sta martellando. Ha spiegato: “Un obiettivo condiviso dalla Regione e contenuto nella Piano Rifiuti 2019-2025, con il quale nel Lazio vorremmo conseguire risultati ancora migliori. Poi ha concluso l’intervento così: “Prospettare, dunque, il mantenimento o tanto meno la costruzione di modelli impiantistici antitetici a quello dell’economia circolare, come gli inceneritori, sarebbe un errore politico ed economico. Pertanto è vecchio chi non cambia mai e non vuole capire che bisogna costruire un nuovo modello di sviluppo: dobbiamo guardare al futuro e non restare inchiodati al passato”.

Valeriani sta impostando il ciclo dei rifiuti del prossimo futuro. Oltre il Covid. Nel quale bisognerà davvero cambiare tutto. Ha indicato la via: è quella dell’economia circolare che recupera e trasforma in nuova materia prima tutto il possibile.

Ritorno al futuro.

ALESSIO D’AMATO

Alessio D’Amato (Foto: Livio Anticoli / Imagoeconomica)

Che l’assessore regionale alla sanità non avesse problemi a dire la sua era già chiaro. Ma in questo particolare momento della pandemia e della campagna di vaccinazione non è semplice dire la propria. Lui lo ha fatto. Con il ministro Roberto Speranza e con il commissario straordinario Francesco Paolo Figluiolo. Dicendo: “Il tema è che vi è una quota di cittadini, ad oggi stimata intorno al 10%, nella fascia d’età 50/59 anni che rifiuta il mix eterologo. Il punto è avere indicazioni chiare su come trattare questa quota, che merita la medesima attenzione di tutti gli altri e che non può rimanere nel limbo. Si tratta di decidere cosa fare con questi cittadini che rifiutano il mix eterologo”.

L’argomento è quello della seconda dose di vaccino per gli under 60 che hanno ricevuto Astrazeneca in prima battuta. D’Amato ha affermato: “Lasciarli con un’unica somministrazione di vaccino, senza completare il percorso e senza di conseguenza rilasciare il certificato vaccinale? Oppure rimettere la valutazione al medico in scienza e coscienza? Noi crediamo che la strada sia quest’ultima ed è per questo che abbiamo sottoposto all’attenzione del Ministero della Salute un’ipotesi di consenso informato, per permettere il completamento della vaccinazione, soprattutto in un momento in cui circolano varianti che potrebbero inficiare il percorso che ci porterà verso l’immunità”.

Perché alla fine l’obiettivo rimane quello del raggiungimento dell’immunità di gregge nel Lazio, traguardo che si ottiene con il 70% della popolazione che ha ottenuto almeno una dose. Quell’obiettivo Alessio D’Amato intende raggiungerlo l’8 agosto. E per questo mantiene la lucidità. Il concetto è questo: ma se una persona volontariamente intende effettuare il richiamo con Astrazeneca che si fa? Ragionamento ineccepibile.

Super concentrato.

LUCA FANTINI

Non solo l’anima e la cassetta degli attrezzi: il segretario provinciale ha portato virtualmente anche il ramoscello d’ulivo ed una radeca durante la Direzione Provinciale del Pd riunita nelle ore scorse a Frosinone. (Leggi qui).

Ha fatto il punto politico e tracciato la rotta sulla quale indirizzare il Partito nei prossimi mesi. Ha rivendicato i risultati raggiunti ed invitato a mettere da parte l’autolesionismo che accompagna da tempo questo Pd. Ricordando che se per una volta i sondaggi danno il Partito al primo posto qualcosa vorrà dire.

Ma al di là della seduta di terapia collettiva, Luca Fantini ha dimostrato la stoffa del Segretario, soprattutto in due punti. Il primo è stato con il segnale inviato al presidente della Provincia Antonio Pompeo ed alla sua componente Base Riformista: lo avevano accusato di non coinvolgerli e non considerarli; l’unica realtà citata nella relazione del Segretario è stata la Provincia, nessuna citazione né per il più grande consorzio industriale italiano realizzato da Francesco De Angelis, né per la rivoluzione dei rifiuti avviata da Lucio Migliorelli, né per le iniziative culturali di dimensione nazionale avviate da Sara Battisti, né per la riabilitazione pubblica di Mauro Buschini fatta da Nicola Zingaretti.

Il secondo punto è stato quello sulle elezioni comunali. Lì sta tutta l’anima e tutta la cassetta degli attrezzi di Fantini. Ad Alatri ha ribadito l’appoggio totale, incondizionato, unitario ad un candidato sindaco Pd anche se non della sua stessa area. A Sora ha prima ricostruito l’unità interna di un circolo spaccato in mille sensibilità, poi respinto scelte che avrebbero minato l’identità del Pd, infine ha guidato il Partito verso una scelta di chiarezza che prevede la presenza del simbolo e di un candidato chiaramente riconducibile al Pd.

Non solo ulivo ma anche radeca. Quando ha rivendicato la necessità di “una stagione di confronto franco e inclusivo che parte dalle giuste premesse in quanto rifiuta sterili egoismi e logiche puramente di corrente e restituisce piena centralità a quanti hanno voglia di discutere, di mettersi al servizio e di contribuire alla vita dei circoli”.

Grandi leader crescono

FLOP

GRILLO-DI MAIO-CONTE

Beppe Grillo, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. (Foto: Raffaele Verderese / Imagoeconomica)

Il premier Mario Draghi è reduce dal G7 nel quale si è ribadita la centralità dell’Alleanza atlantica e quindi della Nato. Con una pregiudiziale forte e chiara: la Cina. Nel senso che da Biden a scendere tutti hanno sottolineato le ambiguità del colosso asiatico in tutti i settori: dalla politica all’economia, dal lavoro alla sanità. Per non parlare dei silenzi sul Covid. (Leggi qui Il G7 del Marchese e del Grillo).

Bene, in questo contesto Beppe Grillo, fondatore e garante dei Cinque Stelle, attacca la Nato e difende la Cina. E’ il caso di ricordare che il Movimento Cinque Stelle è il Partito di maggioranza relativa dell’alleanza che sostiene il Governo di unità nazionale guidato proprio da Draghi. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, in evidente imbarazzo, ha cercato di rassicurare, spiegando che quella di Grillo è una posizione personale.

Come personale? Non era stato lo stesso ministro Di Maio a “battezzare” un giorno sì e l’altro pure la “via della seta” nei due governi presieduti da Giuseppe Conte? Sì. E Giuseppe Conte, neo capo politico dei Cinque Stelle, da premier era andato perfino oltre Luigi Di Maio. Interlocuzione privilegiata con la Cina e la Russia. Gli Usa potevano attendere.

Giuseppe Conte ha fatto quello che gli riesce meglio: dribblare. Anche sé stesso. Rimane il fatto che i Cinque Stelle restano il partito di maggioranza relativa che sostiene il Governo Draghi.

Lui è peggio di me. Moltiplicato per tre.

SILVIO BERLUSCONI

Berlusconi
Silvio Berlusconi (Foto: Imagoeconomica / Livio Anticoli)

La sua idea del Partito unico del centrodestra ha ricevuto un no secco da parte della Lega del Capitano Matteo Salvini e un gelido silenzio di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. È il segnale della marginalità di Forza Italia nell’alleanza.

Berlusconi aveva puntato tutto sul vento del proporzionale. Nel senso di riforma elettorale. Poi invece questo tipo di orizzonte si è chiuso e la sensazione forte è che possa restare l’attuale legge, che è un mix di maggioritario e di proporzionale.

Ma il punto vero è quello della leadership del centrodestra. Giorgia Meloni è lanciatissima e non si fermerà. Matteo Salvini cercherà di contrastare questo obiettivo. Però nei giorni scorsi aveva avanzato la proposta di una federazione dei gruppi parlamentari di Lega e Forza Italia. Ma il fatto è che Berlusconi è stato stoppato dalla rivolta interna capeggiata da Mara Carfagna e Mariastella Gelmini.

Salvini ha capito che il Cavaliere non ha il pieno controllo del Partito e si è raffreddato. Alla fine emerge sempre il limite della straordinaria attività politica di Silvio Berlusconi: non aver saputo creare una classe dirigente capace di andare oltre la sua presenza.

Dopo di me il diluvio.