Top e Flop, i protagonisti del giorno: 24 marzo 2021

Top e Flop. I protagonisti della giornata appena conclusa. Per capire meglio cosa ci attende nelle prossime ore

TOP

NICOLA ZINGARETTI

Ospite a DiMartedì, nel salotto di Giovanni Floris, il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti ha spiegato le ragioni che lo hanno indotto a dimettersi da Segretario del Partito Democratico. Dicendo  che quando ne ha assunto la guida, nel 2019, il Partito era moribondo, sconfitto, lacerato e alla deriva. Il progetto Piazza Grande guardava ad un centrosinistra largo con il Pd come perno. E quel modello ha funzionato, al punto che il Pd ha ricominciato a vincere alle Regionali e alle Comunali.

Come dimostra l’election day dello scorso settembre, quando il pronostico era di uno 0-7. Alla fine invece fu 4-3. Senza l’alleanza con i Cinque Stelle. Tutto centrosinistra insomma.

Nicola Zingaretti

Poi però qualcosa si è rotto, con la caduta del Governo Conte e con il successivo arrivo di Mario Draghi. A quel punto, ha detto Zingaretti, “ho capito che non c’erano più le condizioni per andare avanti.” Di conseguenza c’è stata la decisione di affidare il testimone ad un altro perché riprendesse il cammino. Cosa che Enrico Letta sta facendo, guardando ad un campo largo di centrosinistra. “Siamo una comunità”, ha sottolineato Zingaretti. Aggiungendo che non ha alcuna intenzione di lasciare il Pd.

Ma l’ex segretario non ha nascosto neppure la delusione per il fatto che nel momento clou in tanti non hanno avuto l’umiltà di mettersi in discussione.

Sulla Regione Lazio, un’ulteriore conferma dell’impegno assunto con gli elettori. “Fino al 2023 sono presidente della Regione Lazio” ha dettop Zingaretti rispondendo ad una domanda su una sua possibile candidatura a sindaco di Roma. “Voglio continuare” alla guida della Regione “spero che il Partito metta a disposizione altre risorse“. Spero? Allora è in corsa.

La rabbia e l’orgoglio.

PIERCAMILLO DAVIGO

Con riferimento esplicito all’ultimo condono approvato dal Governo, la mente strategica e giuridica di Mani Pulite, ha avuto la coerenza di affermare che quando si vara un condono si lancia sempre un messaggio devastante. E cioè che chi rispetta le regole è un fesso, perché poi arrivano i furbi che usufruiscono delle sanatorie.

Piercamillo Davigo (Imagoeconomica)

In questo momento di luna di miele (che però sta per finire) tra il Governo Draghi e gli italiani, non è facile per nessuno dire che l’inizio non è stato proprio come ci si aspettava.

Ma Piercamillo Davigo è uno che non ha peli sulla lingua e che da decenni ripete con convinzione le stesse cose. In effetti il varo del condono da parte del Governo Draghi (quello dei “migliori”) non è stato il massimo. Tanto più che si è aperta una voragine tra Pd e Leu da una parte e Lega e Forza Italia dall’altro.

Piercamillo Davigo ha avuto il coraggio di urlare che il re è nudo.

Spietato.

FLOP

 ANDREA MARCUCCI

Ha preso malissimo la proposta del Segretario del Partito Enrico Letta di due donne capigruppo alla Camera e al Senato. Andrea Marcucci, esponente di spicco di Base Riformista (la componente degli ex renziani), ha avuto un colloquio di trenta minuti con Enrico Letta, proseguendo poi il confronto nel corso di una passeggiata.

Andrea Marcucci (Foto: Livio Anticoli / Imagoeconomica)

Marcucci ha affermato di non essere d’accordo con una proposta generica. Aggiungendo che anche i Segretari del Pd sono sempre uomini. Il fatto è che sulla questione dell’alternanza di genere il Pd si è incartato di brutto. Sin da prima che Zingaretti si dimettesse. L’allora segretario fu “fatto a pezzi” per aver scelto tre ministri uomini.

Il punto però è che Andrea Marcucci ha poi aggiunto che la richiesta di Letta è molto forte. Vuol dire che probabilmente passerà. E allora andare allo scontro per poi perderlo trasmette un messaggio di debolezza che non aiuta mai.

Delle due l’una: o Andrea Marcucci fa la battaglia fino in fondo oppure era meglio tacere. In questo modo si fa soltanto ammuina.

Gianburrasca.

LUIGI DI MAIO

Ha ragione Pier Luigi Bersani quando dice che per chi faceva parte della maggioranza che ha sostenuto il Conte bis, è complicato condividere una coalizione con chi invece non c’entrava nulla prima (Lega e Forza Italia). E che dunque Movimento Cinque Stelle, Pd e Leu si sentono in qualche modo feriti.

Luigi Di Maio è rimasto ministro degli Esteri, ma all’interno del Movimento dovrà essere quello che dovrà bere più di tutti l’amaro calice. Lasciando spazio e carta bianca a Giuseppe Conte, quello che lui stesso si è “inventato” per il ruolo di premier.

LUIGI DI MAIO. FOTO: PAOLO CERRONI / IMAGOECONOMICA

Ma il fatto è che non sta scritto da nessuna parte che “Parigi val bene una messa” sempre. A volte si fanno pure le battaglie politiche per provare a difendere l’identità e la storia. Questo, Luigi Di Maio non lo sta facendo, perché ha preferito restare al Governo come ministro degli Esteri.

Fra due anni però si tornerà al voto e per essere ricandidato Luigi Di Maio avrà bisogno che venga superato il limite dei due mandati. Cosa che probabilmente Giuseppe Conte farà. Ma lo farà alla guida di un Movimento che non c’entra più nulla con quello originario. E del quale continuerà a far parte Luigi Di Maio. Però vale il detto che chi in un contesto è stato generale, poi non può ricoprire nemmeno il ruolo di colonnello.

Di Maio però resterà, perfino suo malgrado.

A dispetto dei santi e dei fanti.