
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 12 giugno 2025
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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 12 giugno 2025.
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ARTURO CAVALIERE

C’è qualcosa di profondamente simbolico nell’elezione di Arturo Cavaliere alla guida di Federsanità Anci Lazio. Non solo perché arriva in un momento delicato, in cui la Sanità regionale è chiamata a reinventarsi, tra fondi da spendere, riforme da tradurre in realtà e ospedali da riportare al centro delle comunità. Ma perché Cavaliere rappresenta una figura che ha saputo, in questi anni, parlare con tutti: il paziente, il medico, il sindaco.
Il Direttore Generale della Asl di Frosinone è uno di quei manager pubblici che ha fatto della concretezza il suo biglietto da visita. Non urla, ma incide. Non promette miracoli, ma costruisce soluzioni. E oggi, da neoeletto presidente di Federsanità, porta in dote proprio questa attitudine: una guida sobria ma autorevole, capace di fare sintesi tra i bisogni delle amministrazioni comunali e le esigenze – sempre più complesse – del sistema sanitario.
All’unanimità

L’assemblea congressuale regionale lo ha eletto all’unanimità. Segno che la fiducia è ampia e trasversale. E anche il nuovo direttivo racconta di un equilibrio prezioso tra politica, territorio e management: il sindaco di Rieti Daniele Sinibaldi, il DG del San Giovanni Maria Paola Corradi, il DG di Ares 118 Narciso Mostarda, l’amministratore Fabio Attilia e Anna Gentili da Rocca Priora. Una cabina di regia compatta, che potrebbe finalmente trasformare le buone intenzioni in reti efficienti e durature.
Cavaliere, da par suo, ha già tracciato la rotta: integrazione socio-sanitaria, centralità del territorio, riforma vera e non di facciata del servizio sanitario. Temi caldi, spesso incastrati tra i lacci della burocrazia e i rattoppi di bilancio. Ma proprio per questo serve una federazione come Federsanità: per unire gli interlocutori, abbattere i silenzi istituzionali e riportare al centro la qualità dei servizi, quelli veri, che toccano ogni giorno la vita delle persone.
Piccolo orgoglio

Arturo Cavaliere non è destinato a restare a lungo alla guida della Asl di Frosinone: entro la fine dell’anno farà le valigie, lo attende un incarico di primo piano nell’organizzazione della sanità regionale a Roma. Ma non di meno, per Frosinone è un piccolo orgoglio territoriale. Per il Lazio è, soprattutto, un’opportunità. In un’epoca di transizioni (digitale, demografica, sanitaria), servono meno slogan e più mediatori capaci. Arturo Cavaliere lo è.
Ora gli tocca il passo più difficile: trasformare l’unanimità del voto in unità d’intenti. Ma da uno che ha saputo gestire pandemie, piani di rientro e rivoluzioni organizzative senza mai alzare la voce, possiamo attenderci che anche questa sfida, tra sanità e comunità, abbia una regia solida.
Cavaliere alla carica
RICCARDO MASTRANGELI

Di solito, quando un sindaco è accerchiato, tende a blandire, a cedere un centimetro qui, un incarico là. Riccardo Mastrangeli no. Lui invece rilancia. E lo fa con due NO pesanti come pietre scagliate contro i mugugni della sua stessa maggioranza.
Il primo NO è politico, e lo dedica con eleganza glaciale a Forza Italia. Quei pochi superstiti azzurri che da mesi bussano alla porta della maggioranza con un biglietto da visita logoro: “Se vuoi che rientriamo devi azzerare la Giunta”. La risposta del sindaco? «Non se ne parla». E lo fa sapere non a margine, ma nel cuore pulsante della strategia consiliare: davanti ai numeri risicati, alle assenze strategiche e ai muscoli tesi.
Mastrangeli tiene il punto e manda un messaggio chiaro: non si riscrive l’organigramma per far rientrare chi ha scelto di uscire. E se l’opposizione sussurra, è il gruppo Marzi (quello dell’ex sindaco di centrosinistra) a garantire la tenuta numerica di un sindaco che, nel frattempo, è diventato un equilibrista con nervi d’acciaio. (Leggi qui: Mastrangeli tira dritto, con quali conseguenze?).
Il coraggio della coerenza

Il secondo NO è urbano, quasi filosofico: Mastrangeli ha detto no alle auto davanti alla stazione. La piazza nuova allo Scalo – cuore della riqualificazione urbana – è stata inaugurata con tanto di taglio del nastro, ma senza il Partito più numeroso della maggioranza: Fratelli d’Italia. Nemmeno loro volevano le macchine, il parcheggio davanti la stazione, il caos scandito con il clacson: ma chiedevano almeno una corsia per i pendolari.
Il sindaco invece non concede licenze: vuole i pedoni, le famiglie, le panchine. “Una città moderna – ha detto – non è un distributore automatico di passaggi, ma un luogo da vivere”. E allora niente auto davanti alla chiesa della Sacra Famiglia, niente inversioni di rotta su piazzale Kambo. La piazza resta ai cittadini, non ai paraurti. (Leggi qui: Frosinone, la piazza ritrovata e la coalizione smarrita).

Così Mastrangeli, nella stessa settimana in cui si ritrova la maggioranza più sottile di un foglio di carta velina, risponde senza tremare. Forse non vincerà il premio per il dialogo, ma per la coerenza ha già messo le mani sul trofeo. Del resto, mentre gli altri si contano e si dividono, lui si candida. “Io mi ricandido di sicuro”, ha detto. Fratelli d’Italia, se vuole fare le primarie, si accomodi pure. Il campo, per Mastrangeli, è già segnato. E lui ha deciso da quale parte giocare.
Due NO, quindi. Ma suonano come un SÌ. Sì a una visione. Sì a un programma. E v Sì a un’idea di città che, piaccia o no, non si guida guardando nello specchietto retrovisore.
Il sindaco che resiste (e rilancia).
UMBERTO TOSSINI

È la notizia di queste ultime ore e fa ben sperare per una evoluzione del mondo del lavoro che passi per quel mantra famoso ma finora solo proclamato. Quello cioè in cui non si debba più solo “vivere per lavorare”. Ed alla base di questa rivoluzione c’è lui. Umberto Tossini. Che è il Direttore delle Risorse Umane di Lamborghini.
La Bologna Business School ne dà un cameo molto significativo: Tossini ricopre il ruolo di Chief People & Culture Officer di Automobili Lamborghini Spa. E “forte di una solida formazione di base nelle aree core di gestione delle risorse umane, è riuscito a guidare il processo di trasformazione culturale della storica casa automobilistica, contribuendo efficacemente al suo completo turnaround”.
Settimana di 4 giorni

E nel concreto, che significa? Che la casa automobilistica di Sant’Agata Bolognese sta puntando con decisione e strategia sulla settimana lavorativa di quattro giorni.
Parrebbe, tra l’altro, con risultati davvero lusinghieri in ordine a parametri fondamentali come maggior produttività, minori assenze per malattia, meno infortuni ed “un aumento della soddisfazione dei lavoratori”, come ha spiegato Il Sole 24 Ore ieri.
A dire il vero il format è ormai dato due anni, ma si attendevano risultati tali da poter effettuare una diagnosi empirica su quella svolta. E pare proprio di sì, che Lamborghini cioè sia in condizioni di tracciare un bilancio estremamente positivo. In buona sostanza il 70% degli addetti della produzione, più o meno 1000 lavoratori, sono stati coinvolti nel progetto.
Da Revuelto ad Urus

Leggo spiega che “il sistema è organizzato su turni alterni: nei reparti di montaggio di Revuelto e Temerario si lavora quattro giorni una settimana e cinque la successiva”.
In altro settore, dove cioè si produce il super-suv Urus, quello stesso format di base include “due settimane brevi seguite da una lunga. I giorni di lavoro in meno sono in parte ‘pagati’ dagli stessi lavoratori, che rinunciano ad una quota di riposi“. E ci sarebbe di più, secondo quanto spiegato dallo stesso Tossini.
Una sorta di upgrade di innovazione concreta con il quale Lamborghini si prepara a ridefinire il suo modello di apprendimento aziendale. Come? Lo spiega lo stesso Tossini invocando un protocollo di formazione ancor più efficace dell’attuale: “Le competenze acquisite reggono tra i due e i cinque anni”. Anche in tema di smart working si cerca di adattare le esigenze lavorative a quelle del lavoratore. Con un range di 12 giorni al mese ovviamente ove consentito. E con la chiosa di Tossini che andrebbe messa nella teca delle memorabilia: “Sono le persone stesse ad individuare il miglior equilibrio”.
Perché non ha detto “operai” o “lavoratori”, ma “persone”.
La policy “Miura”.
FLOP
CARLO CALENDA

Dire le cose giuste non è sempre sintomo di saggezza. A volere dire le cose più giuste ed equilibrate del mondo si prendono i toni di un preciso mood. Quello con cui ad esempio da sempre Carlo Calenda sembra voler apparire a tutti i costi come quello che prende la parola alla fine di una baruffa tra tifosi e gli astanti a fine pistolotto gli fanno un mezzo applauso.
Ma è l’applauso quiescente e di circostanza che di solito si fa a quelli che al posto del sangue hanno l’antigelo.
Com’è andata davvero
Mettiamola meglio: c’è qualcuno davvero disposto in questi giorni a credere che i referendum siano solo questioni tecniche di democrazia diretta e non (anche) occasioni politiche per provare ad indebolire un avversario? Ecco, in occasione dei referendum sui cinque quesiti proposti da Pd-Avs e M5s è andata esattamente così.

Un referendum contro uno zoccolo duro di norme volute da un certo Pd, poi proposto ed ottenuto da un altro Pd. Il tutto con Giorgia Meloni che, tutto sommato, con la battaglia ideologica impalcata dai tre Partiti non c’entrava molto ma che quando ha visto che le si offriva un assist così netto l’ha buttata anch’essa un po’ in cimento ideologico.
Tanto alla fine la premier lo sapeva che il quorum sarebbe mancato. Ed al di là delle iperboli di questo qua, di Pd, era e resta tutto giusto, nel senso che una certa politica sanguigna e di “anima”, come ha titolato l’Unità di Piero Sansonetti ieri, c’è, ci resta e magari serve pure.
Come la pensa il leader di Azione

Calenda no: lui deve sempre e solo fare il tecnico algido in fretta, quello che nelle zuffe guarda i contendenti a terra accapigliati e si soffia sulle unghie curate portando lo sguardo in alto. Quello che ieri ha scritto-postato sui social cose come questa. “Care Schlein e Meloni questo non è un modo serio di affrontare i risultati di un referendum”.
A corredo del pensiero del leader di Azione ci sono due foto. Una della premier che “irride” la Schlein ed una della Schelin che, irrisa, posta l’analisi di Meloni in occasione di un referendum in cui le stessa santificava comunque la volontà popolare. Perculate e ripicca, più che altro, ma tutto sommato sale di un Paese che dai tempi di Gulefi e Ghibellini si polarizza, a torto o a ragione ma lo fa.
E ancora, vasi di sermoncino. “Non è una competizione personale tra voi due ma una consultazione democratica su dei temi specifici e rilevanti”. “Credo che l’unica risposta adeguata sia incontrarsi sul tema del lavoro e cercare di produrre qualcosa di concreto. Se andrete avanti così perderemo tutti e prima o poi tutti verremo travolti dallo scontento popolare”. Certo che non era una competizione personale, ma lo è diventata, e certe botte di concretismo a volte sono più stucchevoli delle zuffe da cui vorrebbero prendere sussiegose distanze.
Giusto ma troppo Gagà.