
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 15 maggio 2025
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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 15 maggio 2025
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RICCARDO MAGI

L’onorevole Riccardo Magi, Segretario di +Europa, si è presentato nell’Aula di Montecitorio vestito da fantasma. Un lenzuolo bianco in testa, un buco per gli occhi, un urlo contro il silenzio sui referendum. Una scena che, più che scuotere le coscienze, ha fatto sollevare qualche sopracciglio e parecchie perplessità. La protesta — dichiaratamente ispirata allo stile di Marco Pannella — voleva colpire al cuore l’indifferenza verso il voto dell’8 e 9 giugno. Ha invece colpito allo stomaco la sacralità delle istituzioni.
Montecitorio non è un teatro di provincia e la democrazia non ha bisogno di maschere per essere difesa. Ha bisogno di rigore, lucidità, argomentazioni forti. L’Aula parlamentare è il luogo dove si rappresenta il popolo, non dove si fa cabaret con lenzuola riciclate. Il rispetto per le istituzioni non può essere sacrificato sull’altare del titolo in prima pagina.
Il tema c’è

Che il tema del silenzio sui referendum sia serio è fuori discussione. Ma non tutto ciò che indigna merita la forma del travestimento. La politica spettacolo, soprattutto quando sconfina nel folklore, rischia di svuotare di senso anche le battaglie più giuste. Quella sulla cittadinanza, per esempio, che avrebbe meritato parole forti e spazio vero, e non l’alibi perfetto per chi voleva delegittimarla con sarcasmo — vedi la risposta della premier Meloni, che ha colto al volo l’assist per fare ironia sull’opposizione “mascherata”.
Non è possibile un confronto con quanto fece il senatore Romano Misserville che si presentò a Palazzo Madama indossando una maschera antigas per denunciare l’inquinamento del fiume Sacco, rischiando di far prendere un colpo apoplettico al presidente Giovanni Spadolini. E nemmeno il paragone con Pannella poi regge. Forse solo fino a un certo punto. Romano Misserville e Marco Pannella avevano un intuito scenico fuori dal comune, ma soprattutto agivano in un’epoca in cui non esistevano altri strumenti per bucare il muro mediatico. Oggi, chi siede in Parlamento ha a disposizione microfoni, media, social, occasioni per farsi sentire con la forza delle idee, non con effetti speciali.
Contenuto e forma

La verità è che lo scarto tra contenuto e forma è stato troppo ampio. Magi ha voluto “aprire un varco nel silenzio” ed ha finito per costruire una scena che distrae più che informare. La sua voce, più che rilanciare il dibattito, ha rimbombato nel vuoto creato da una trovata fuori luogo. E se l’obiettivo era quello di far parlare dei referendum, oggi si parla soprattutto del suo costume.
Il Parlamento non è un set, la politica non è un travestimento, la democrazia non è uno sketch. Chi siede in Aula ha il dovere di rappresentare le proprie idee con serietà, senza trasformare la sacralità del dibattito istituzionale in uno show da social. Di fantasmi, il Paese è pieno. Ma a Montecitorio, sinceramente, non se ne sentiva il bisogno.
Eppure quel titolo, Magi, lo ha ottenuto. Su tutti i giornali. Il suo colpo di teatro è andato a segno. E di questo bisogna dargli atto.
Il corposo fantasma del buonsenso.
ENRICO COPPOTELLI

Il Sindacato è spesso percepito come un organismo solido ma lento: quasi immobile nel suo rituale di rivendicazioni e sigle. Il Segretario Generale Cisl del Lazio Enrico Coppotelli ha dimostrato ieri, al Congresso Regionale della sua sigla, che invece il Sindacato può anche essere una macchina del tempo. Capace di onorare le radici senza farsi bloccare dalla nostalgia, ma soprattutto di affondare lo sguardo nel domani, dove il lavoro cambia, corre, evolve.
Non era uno scherzo, e neppure un vezzo da congresso spettacolare. La voce che ha aperto i lavori è stata quella – ricostruita grazie all’intelligenza artificiale – di Giulio Pastore, fondatore della CISL e scomparso nel 1969. Un’operazione potente, simbolica e tecnologicamente raffinata. Non un effetto speciale, ma un segnale chiaro: la CISL del Lazio non ha paura di sperimentare, né di innovare la propria memoria. Il passato non si celebra invecchiandolo, ma lo si rende utile, attuale, trasformandolo in visione.
E di visione, Coppotelli ne ha messa parecchia sul tavolo.
Una relazione che è un programma

La relazione del Segretario Regionale non è stata un elenco di buone intenzioni, ma una road map concreta. Parte da numeri e dati, ma arriva al cuore della questione: la persona va rimessa al centro. Con salari più equi, sicurezza sul lavoro, partecipazione attiva e vera rappresentanza. Non con bandiere, ma con tablet. Non con slogan, ma con soluzioni.
In sala si è parlato di nuove forme di partecipazione in azienda, formazione permanente, sostegno alle start-up, uso dell’IA, sanità pubblica, competitività del territorio, equità sociale, e persino di nucleare e biotecnologie. Non una CISL che rincorre, ma una CISL che anticipa.
Coppotelli ha dimostrato che la CISL può essere un laboratorio di idee e di azione, dove sindacalismo significa avere strumenti moderni, voce nei tavoli istituzionali e visione culturale. Non è da tutti usare il Congresso per parlare anche di transizione energetica, desertificazione bancaria, mismatch tra domanda e offerta di lavoro, fino alle frontiere dell’intelligenza artificiale e all’etica degli algoritmi.
Il sindacato come spazio vivo

E se qualcuno avesse pensato che fosse tutto troppo “teorico”, il gesto di regalare visori per la realtà aumentata ai giovani delegati ha ricordato a tutti che il futuro non si annuncia: si costruisce, si tocca, si indossa.
Il Congresso regionale di ieri non è stato solo una tappa obbligata della vita sindacale. È stato l’atto di identità di una leadership solida, concreta, moderna. Quella di un Segretario che non ama le scorciatoie populiste ma sa parlare alle nuove generazioni. E che sa unire il peso delle lotte del passato alla leggerezza intelligente di chi capisce che cambiare è un dovere.
Se la Cisl Lazio oggi appare un sindacato proiettato in avanti, il merito è di chi ha acceso il motore senza dimenticare chi ha costruito la strada. E magari, come ha fatto con la voce di Pastore, è riuscito perfino a farli viaggiare insieme.
Il modo diverso di Coppotelli di fare sindacato.
FLOP
I PENDOLARI CIOCIARI

A furia di rincorrere la Tav, Frosinone rischia di perdere anche la metropolitana. La notizia ormai è ufficiale: né stazione dell’Alta Velocità a Frosinone, né treni diretti come metropolitane di superficie per Roma. A ribadirlo, ieri sera, sono bastate due voci autorevoli e una domanda rimasta sospesa: chi paga, e perché dovrebbe farlo?
Durante il Question Time in consiglio comunale, il sindaco Riccardo Mastrangeli ha gettato acqua gelida su chi ancora sperava in collegamenti rapidi verso la Capitale. Ha parlato di realismo e di pessimismo giustificato. La Regione sta facendo uno studio sulle abitudini dei pendolari ma l’impressione è che il tavolo istituzionale serva più a prendere tempo che a prendere decisioni. E nel frattempo, chi doveva esserci – come l’Ente Provincia – non si è nemmeno presentato.
Il colpo di realismo

Il colpo di grazia però è arrivato da Francesco Rocca. Il presidente della Regione Lazio, intervenendo al Congresso Regionale della CISL, ha messo il punto. Anzi, la pietra tombale: “Portare la Tav dentro Frosinone significa non farla”. Una frase che è un buffetto sulla guancia ma con la mano chiusa a pugno. L’opera, ha detto Rocca, si farà a Ferentino, tra Morolo e Supino, in linea con il progetto originario. Una scelta funzionale, non simbolica: lì c’è già l’Alta Velocità, lì ci sono le infrastrutture, lì si può fare. Resta da capire – ed è questo il ‘non detto’ – chi paga e perché dovrebbe farlo.
Tradotto: non si può costruire una stazione solo per il gusto di vedere scritto “Frosinone” sul tabellone Trenitalia. Il campanile, stavolta, lo si può anche lasciare nel presepe. E lo stesso vale per Ferentino – Morolo – Supino: per fare una fermata ed allungare i tempi di viaggio serve una solidissima ragione economica.
Senza Tav, senza Metro

Il paradosso è che oggi due treni Frecciarossa già arrivano a Frosinone, ma con una deviazione che allunga i tempi e penalizza il sistema. Eppure, i numeri sembrano incoraggianti: i viaggiatori ci sono, l’uso cresce, ma nessuno risponde alla domanda base: vale la pena farli arrivare lì, se poi si rallenta tutto il resto della linea?
In conclusione, Frosinone resta senza Tav, senza metropolitana, con due Frecciarossa di passaggio e una riunione alla volta che sposta la questione un po’ più in là. Come quei treni che, per il momento, continueranno a passare. Ma senza fermarsi.
Cronaca di un binario (morto).
MATTEO RENZI

Ultimamente è diventato talmente grifagno da non accorgersi di andare in deroga perfino dai suoi princìpi basiliari, quelli sui cui ha costruito le poche parti “non mobili” della sua immagine politica. Matteo Renzi infatti è sempre stato un iper-garantista. Lo è stato al punto da diventare quasi “simpatico” ad un nemico delle aule di Tribunale come Silvio Berlusconi.
Al punto da generare, prima della caduta dello stesso, il “Patto del Nazareno”. E soprattutto in virtù del fatto che Renzi e chi Renzi ama hanno passato un bel po’ di guai giudiziari, il che renderebbe garantista anche un sanculotto.
La sortita che non serviva
Il dato è che dal leader di Italia Viva non ci si aspetterebbero sortite tecniche che poggino sull’azione della magistratura, bensì sortite politiche che esulino, sempre e comunque, da ciò che eventualmente la magistratura statuisce. E invece stavolta il senatore di Rignano è caduto nel trappolone dei suoi stessi spettri. E con rara ineleganza, a contare il contesto. Come e perché?

Vediamo: “Il Tribunale di Lecce ha emesso sentenza di assoluzione: è questo l’epilogo della complessa e travagliata vicenda giudiziaria legata alla realizzazione del gasdotto Tap”. Insomma, i giudici leccesi hanno disposto una prescrizione ed assoluzioni residue per una vicenda che sta a cuore a Renzi, ma su cui lo stesso avrebbe dovuto usare meno un giudicato di primo grado come sponda. E proprio per i motivi sovraesporti.
Chi ha emesso sentenza e su cosa
La sentenza è stata emessa dalla giudice della seconda sezione penale del tribunale di Lecce Chiara Panico e ha riguardato 19 imputati, per otto dei quali il pubblico ministero Alessandro Prontera aveva invocato la condanna a tre anni di reclusione. Renzi però stavolta non ha avuto esitazioni nel salire in arcione ad un universo che per altri versi ha sempre messo alla berlina. E stavolta ha intonato il suo personale, ed un filino ipocrita “Gloria”.
“Quando abbiamo detto sì al TAP, ci hanno insultato. Hanno detto che avrebbe deturpato il paesaggio. I 5 Stelle facevano le catene umane in Salento. La Lega soffiava sul fuoco della protesta. Emiliano era sulle barricate”. Tutto secondo quella che l’ex premier ha definito “una saldatura di propaganda demagogica trasversale. Oggi la giustizia dice che era tutto regolare. E soprattutto, oggi il TAP è realtà”.
“È una delle infrastrutture più importanti per la sicurezza energetica del Paese. Avevamo ragione. E chi ci attaccava, oggi governa grazie a quella scelta. Il tempo è galantuomo. I populisti chiederanno mai scusa?”.
E lei, senatore, chiederebbe scusa per aver usato come mulo da soma politica un universo che non le è mai piaciuto? Oppure le piace la corrente alternata?
Polemica strumentale.