Top e Flop, i protagonisti di giovedì 16 ottobre

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 16 ottobre 2025.

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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 16 ottobre 2025.

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TOP

SANDRO CHIARLITTI

Sandro Chiarlitti

Il sindacato ha il compito di vigilare e di tutelare. Con uno sguardo che sia il più lungo ed approfondito possibile. Perché ci sono eventi che, pur nella loro apparente marginalità, rivelano molto più di quel che sembrano. È il caso della decisione di Novo Nordisk di trasferire la produzione del farmaco Wegovy dallo stabilimento di Anagni e spostarla in Spagna, presso gli impianti del gruppo Rovi. Una scelta che ha avuto come unico contraccolpo visibile per ora: la messa in discussione di un maxi investimento da 2,5 miliardi di dollari sul territorio di Anagni. (Leggi qui: Stop ad Anagni, via a Madrid: Novo Nordisk sposta la produzione in Spagna).

Una vicenda quella di Anagni che, a ben vedere, porta alla luce con nitidezza i tratti distintivi del turbocapitalismo contemporaneo: imprese multinazionali che si muovono in funzione esclusiva dell’efficienza e della massimizzazione del profitto, senza dover rendere conto a nessun territorio, a nessuna comunità, a nessuna istituzione nazionale.

Il re è nudo
Lo stabilimento ex Catalent di Anagni

La questione è semplice. Novo Nordisk ha preferito un fornitore esterno (Rovi), in un altro Paese (la Spagna), per ragioni che nessuno ha chiarito pubblicamente ma che con ogni probabilità hanno a che fare con costi, velocità e incentivi. E lo ha fatto senza avvertire alcun obbligo di spiegazione. Come se il nostro Paese fosse intercambiabile, sacrificabile, periferico.

È esattamente quello che era stato prospettato un paio di anni fa durante una riunione dei quadri di Unindustria. Parlando del Polo Chimico Farmacrutico, uno degli industriali ebbe a dire che Anagni era un colosso con le caviglie d’argilla. Perché è un sito di eccellenza ma non crea medicine: semplicemente le mette nelle fiale, nelle siringhe, nei blister e le spedisce. E questo lo può fare chiunque. La forza di Anagni finora è stata solo il prezzo. Escludere il territorio dalle Zes (le Zone ad Economia Speciale) con i loro sconti e le loro agevolazioni ha affossato tutto. Meglio la Spagna.

È un segnale: il sistema Paese non è più percepito come affidabile, o interessante, o centrale. È semplicemente una variabile fra le tante.

Il ruolo del sindacato

È stato il sindacato a scoprire la strana coincidenza dello stop alla produzione nello stabilimento di Anagni e l’accordo per la produzione in Spagna. Svolgendo il suo ruolo: di vigilanza e tutela. Come evidenzia il Segretario interprovinciale della Filctem Cgil Sandro Chiarlitti: “Il turbocapitalismo non ha padroni visibili né centri di comando stabili. Agisce ovunque, si muove veloce, ignora le regole del gioco democratico. Ma ha un punto debole: il silenzio complice di chi dovrebbe sorvegliarlo

Chiarlitti, la Cgil e la Cisl non sono rimasti in silenzio ed hanno chiesto spiegazioni. Gli altri sono rimasti muti. In altri tempi, una simile decisione avrebbe aperto un dibattito parlamentare, fatto muovere ministri, attivato ambasciate. Oggi si tira a campare.

La lezione (amara) di Anagni.

DAVIDE PAPA

Davide Papa

Le auto nuove spaventano, le elettriche non convincono e le cinesi incuriosiscono ma non rassicurano: il consumatore vuole certezze, non scommesse. E fa una scelta logica, vuole una macchina “come nuova” ma a un prezzo da usato. È la logica che in pochi anni ha creato un nuovo mercato, rastrellando tutto l’usato possibile e ricondizionandolo per poi rimetterlo sul mercato.

Il mercato è spiazzato dall’elettrico, frenato dall’incertezza e intasato da modelli cinesi su cui il pubblico ha ancora più dubbi che chilometri. A muoversi con agilità è chi aveva capito tutto con anni di anticipo. Il “Mercatino dell’Usato” ideato negli anni addietro dal gruppo Eco Liri, è la prova che un’intuizione fatta bene — e fatta per tempo — può diventare un’ancora di salvezza per un intero settore. È da quel modello che ora ha preso corpo un’intera filiera.

Il ritorno del mercatino
Il piazzale Ecoliri

All’epoca era una risposta tattica: aiutare Fiat a smaltire le auto dirigenziali e le chilometri zero. Oggi è una manovra strategica che detta i ritmi del mercato.

L’edizione 2025 — in corso dal 18 al 20 ottobre nello stabilimento Stellantis di Cassino — ne è la conferma: oltre 800 auto, tutte a chilometri zero o quasi, tutte a “prezzo vero” cioè senza trucchi di finanziamento né sconti a tempo. Una piazza che diventa palcoscenico, vetrina e punto d’incontro per un pubblico che ha voglia di cambiare auto ma non di cadere in trappole.

Davide Papa, presidente del gruppo Eco Liri, non si limita a mettere la firma: è presente in piazzale, dirige, controlla, spiega. E rilancia. L’evento non è solo vendita: è sistema. È indotto che si muove — trasporti, allestitori, consulenti, squadre logistiche — e territorio che lavora.

Oltre la transizione
Davide Papa

Oggi, nel 2025, dove tutto è transizione e tutto è provvisorio, il Mercatino dell’Usato è diventato una certezza stabile, un modello industriale nato dal basso, che parla il linguaggio semplice del consumatore: vedere, toccare, capire. Un ritorno alla concretezza, in un mercato che di concreto ha sempre meno.

Il fatto che Eco Liri sia tornata a puntarci con decisione è più che un segnale: è una lezione. Le mode vanno, l’usato resta. E se è fatto bene, vince.

L’intuizione che ha battuto la crisi (e la Cina).

FLOP

ALESSANDRA TODDE

Alessandra Todde (Foto: Paolo Cerroni / Imagoeconomica)

L’immagine più schietta, anche se metaforica, della Consulta che ha salvato Alessandra Todde è quella di un Giuseppe Conte che va a piedi a Lourdes. E che ci va non solo perché per il momento la sua prima (e per ora unica) vittoria alle regionali italiane è stata preservata. Ma anche perché, dopo le scoppole sempre elettorali recenti, adesso almeno può dire di non avere ancora perduto la bandierina provvisoriamente appuntata sulla carta della Sardegna.

Merito della Todde, alla cui istanza di decadenza da Presidente della Regione Sardegna si è opposta in maniera non definitiva la Corte Costituzionale.

Giudizio provvisorio
Palazzo della Consulta, sede della Corte Costituzionale

Lo ha fatto con due pronunciamenti netti. La Consulta ha statuito che il Collegio Regionale di Garanzia Elettorale (cioè l’organo istituito presso la Corte d’Appello per valutare le spese elettorali dei candidati) ha esorbitato dai propri poteri pronunciandosi sulla decadenza della presidente della Regione Sardegna, Alessandra Todde, in ipotesi non previste dalla legge come cause di ineleggibilità.

Non spettava al Collegio di garanzia affermare nella motivazione dell’Ordinanza, che «si impone la decadenza dalla carica del candidato eletto».

Il futuro di Alessandra Todde come presidente della Sardegna si deciderà il 21 novembre prossimo. Quel giorno i giudici della Corte d’Appello di Cagliari dovranno esprimersi sulla sentenza del tribunale civile di Cagliari che la ha già dichiarata decaduta. Se verrà considerato inammissibile il ricorso della Todde si procederà con lo scioglimento dell’Assemblea e quindi il ritorno alle urne. Ma lo farà la Corte d’Appello. E non la Commissione.

Chi ride e chi sghignazza
Giuseppe Conte (Foto: Alessandro Amoruso © Imagoeconomica)

E se Todde ride, Conte urla di gioia. Con parole misurate ma che tradiscono comunque il suo immenso sollievo. Queste: “La Corte costituzionale si è appena pronunciata: Alessandra Todde non ha compiuto nessun atto a rischio di decadenza. La Corte costituzionale chiarisce che né il Collegio regionale di garanzia elettorale né il Tribunale civile di Cagliari avevano il potere di spingersi a fare questa valutazione”. Vero. Ma il rischio di decadenza resta tutto in piedi.

Conte però lo dice con un’enfasi tale che molti hanno creduto si trattasse di una sentenza definitiva. No. Si va solo ai supplementari. Ma “Giuseppi” sta messo così male in questo periodo, che per lui anche dieci minuti in più, sono un trionfo.

La Macarena di Conte.

ARTURO CAVALIERE

Arturo Cavaliere

Si può gestire un’Asl guardando le stelle? Apparentemente sì. Basta prendere esempio da Arturo Cavaliere, attuale Direttore Generale della Asl, che stampa comunicati e prospetti da “visionario” mentre il terreno sanitario del Cassinate è in ginocchio. Lo stesso copione che portò alla rimozione della commissaria Sabrina Pulvirenti sembra ripetersi: si rincorre la strategia altisonante, si snobbano le emergenze quotidiane. (Leggi qui: Quattro morti dopo le dimissioni: l’ospedale di Cassino è il grande malato).

Perché il problema non è il sogno di grandi progetti o inaugurazioni mediatiche: è che il quotidiano, la domanda di salute che arriva dai corridoi del pronto soccorso, dai reparti che scoppiano, dalle persone che aspettano visite, viene ignorata. Si dimentica che un ospedale non vive di grandi ambizioni ma di pazienti curati, medici che non siano ridotti al lumicino, turni che non esplodano ogni mattina.

Se il suo compito era affrontare ciò che la commissaria trascurava in maniera avveduta, poteva restarsene a Roma: non serve un manager che promette il futuro quando il presente è in frantumi. Fare le operazioni di piccolo cabotaggio che Pulvirenti non aveva voluto fare è una mission che non rende giustizia al nome del Dg. 

Bastava poco

La sanità locale chiede risposte semplici: litri d’ossigeno dove si soffoca, posti letto riportati a sufficienza, medici e infermieri non spremuti all’osso, turni ragionati e non violati. Chiede che le dimissioni di un paziente – dopo un intervento “di routine” – non diventino un rischio vitale: i recenti casi a Cassino parlano da soli. L’ospedale che “resiste” è diventato il grande malato. (Leggi qui: Quattro morti, zero risposte).

Cambiare manager non serve se non cambi modello. Non serve la retorica del “nuovo corso” se le sale d’attesa continuano a ululare, se l’Asl è costretta a rincorrere i numeri delle prestazioni piuttosto che curare la persona. Cavaliere parla di grandi macchinari, di reparti ambiziosi, di concorrenza agli ospedali romani: peccato che, intanto, il pronto soccorso di Cassino funziona come una linea di assemblaggio, con medici stremati e infermieri esausti. 

E non meno deludente è la compagnia di giro dei Consiglieri Regionali che dovrebbero occuparsi del territorio. Pensavano che bastasse un selfie ed un nome nuovo per dire che la situazione era cambiata: invece qui si continua a morire.

Meno selfie, più cure.