I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 19 dicembre 2024
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 19 dicembre 2024.
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GERARDO ANTONAZZO
Appena nominato vescovo, negli anni scorsi puntò il dito contro il turbo capitalismo ed i suoi effetti sulla vita dei lavoratori; denunciò un’economia che puntava solo a fare soldi, tanti soldi e tanto in fretta, dimenticando che dietro a quel denaro ci sono famiglie, con le loro bollette da pagare ed i loro figli da sfamare e far studiare. Gerardo Antonazzo, vescovo di Cassino – Sora – Aquino – Pontecorvo ricordò il valore sociale dell’impresa. Lo ha fatto anche nelle ore scorse: intervenendo sulla crisi che attraversa il gruppo Stellantis
Le sue parole offrono un punto di vista che unisce analisi economica, sensibilità sociale e visione etica. Espresse con preoccupazione ma anche con uno spirito di proposta, toccano nodi centrali della crisi industriale e occupazionale che affligge il nostro Paese.
La crisi di Stellantis e le sue implicazioni locali
La fotografia delineata dal vescovo è impietosa: in Europa, Stellantis – il colosso nato dalla fusione tra FCA e PSA – affronta una fase di grave difficoltà, con livelli occupazionali dimezzati rispetto al periodo pre-pandemico e una produzione in Italia che rischia di non superare i 500.000 veicoli nel 2023. Particolarmente allarmante è il destino dello stabilimento di Piedimonte San Germano, che rappresenta un pilastro economico per il territorio, ma che risente del difficile passaggio dai motori termici a quelli elettrici nonostante la solidità di marchi storici come Alfa Romeo e Maserati. Secondo Antonazzo, questi brand storici rischiano addirittura di uscire dal mercato, a causa di scelte industriali che appaiono miopi e poco lungimiranti.
Le critiche si concentrano sulla gestione solo finanziaria e non industriale dell’azienda, che negli ultimi quattro anni ha distribuito dividendi per 23 miliardi di euro, svuotando di risorse l’impresa. Questo comportamento – più orientato al ritorno immediato per gli azionisti che al rafforzamento della competitività sul mercato – è stato accompagnato da una contrazione della produzione, dei volumi di vendita e dell’occupazione. Una gestione che, implicitamente, sembra mettere in secondo piano le esigenze dei lavoratori e delle comunità locali rispetto a quelle del profitto.
Lavoro e dignità umana: il ruolo della Chiesa e delle istituzioni
Il vescovo Antonazzo richiama con forza un principio fondamentale: il lavoro è un bene comune e deve essere disponibile per tutti coloro che ne sono capaci. La piena occupazione è definita come un obiettivo imprescindibile per ogni ordinamento economico che voglia perseguire giustizia e bene comune.
In questo senso, il vescovo sottolinea il ruolo del “datore di lavoro indiretto”, ovvero delle istituzioni nazionali e internazionali che hanno il potere di orientare le politiche economiche e del lavoro. La sua è una chiamata alla responsabilità collettiva: non solo alle imprese, ma anche a chi governa e può influenzare le scelte industriali e sociali.
In particolare, il messaggio del vescovo punta a mettere al centro la persona e non il profitto. Si tratta di un’esortazione che trascende il piano religioso e si fa universale: ogni crisi economica non può essere affrontata solo con logiche di mercato, ma richiede creatività, responsabilità e capacità di fare sistema.
Un richiamo alla responsabilità collettiva
Le parole di Antonazzo non si limitano alla denuncia, ma si accompagnano a iniziative concrete. La Chiesa diocesana è vicina ai lavoratori e alle loro famiglie non solo moralmente, ma anche attraverso il coordinamento di azione pastorale nazionale che coinvolge gli Uffici di Pastorale Sociale e del Lavoro nelle aree interessate dalla crisi di Stellantis. Questa rete ha il compito di ascoltare, monitorare e proporre soluzioni condivise, dimostrando una capacità di intervento che va oltre la mera assistenza spirituale.
Il commento del vescovo di Cassino-Sora rappresenta un monito importante non solo per Stellantis, ma per l’intero sistema economico e politico italiano. La crisi dell’automotive, infatti, non è un problema isolato: riflette fragilità strutturali che coinvolgono settori strategici della nostra economia e che richiedono risposte urgenti e coraggiose.
L’invito a privilegiare la centralità della persona rispetto al profitto è più che mai attuale. In un momento storico in cui il lavoro è minacciato da trasformazioni tecnologiche, crisi economiche e strategie aziendali spesso orientate al breve termine, il rilancio del territorio deve partire dalla valorizzazione del capitale umano. Solo attraverso un approccio sistemico, che coinvolga imprese, istituzioni, società civile e Chiesa, sarà possibile affrontare questa crisi con speranza e determinazione.
Questione etica
Le parole di Antonazzo sono un invito alla riflessione e all’azione. La crisi dell’automotive, che colpisce profondamente il nostro territorio, non è solo una questione economica, ma anche etica e sociale. Il lavoro è un diritto fondamentale e, come tale, va tutelato con ogni mezzo. La sfida è complessa, ma il vescovo mette in chiaro che può essere vinta solo se tutte le forze in campo – pubbliche, private e religiose – sapranno collaborare per il bene comune.
Ci si salva insieme.
MARIA CHIARA GADDA
Di una cosa si doveva parlare davvero e proprio di quella durante gli speaking di Giorgia Meloni e Governo con il Parlamento non si è parlato, o comunque se ne è parlato troppo poco. Sembra essere sfuggito (quasi) a tutti infatti che tra una settimana o poco più l’Italia e Roma in particolare apriranno (letteralmente) le Porte del Giubileo 2025.
Che non è solo un immenso avvenimento di fede ed un potenziale, gigantesco volano di economia di scala, ma anche una grana grossa. Immensa, a contare che i flussi dei pellegrini in previsione di arrivo significheranno tante cose. Cose come non solo indotto economico, presenze nelle strutture ricettive e sedie aggiunte a tavola nei ristoranti.
No, quella marea di persone significherà migliaia, decine di migliaia di “cittadini temporanei”: di persone cioè che avranno bisogno di tutti i servizi riservati agli italiani, ma in scala decuplicata. Servizi come quelli sanitari, ad esempio. Molto, moltissimi dei pellegrini sono canonicamente di età avanzata, quindi ed al netto di scongiuri potenziali utenti dei Pronto Soccorso in caso di incidenti.
Aspettando “un miracolo”
Ecco, la deputata di Italia Viva Maria Chiara Gadda questo ha voluto sottolineare: che a questo problema non ci ha pensato nessuno. E che nel non pensarci si è fatto malissimo. “E’ evidente che l’unica cosa fatta dal governo per farsi trovare preparato nella gestione sanitaria dell’enorme mole di pellegrini in arrivo a Roma per il Giubileo è aspettare un miracolo”. La vice-presidente del gruppo di Italia Viva alla Camera ha calato questi concetti nel corso del question time con il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani.
“Il ministro Ciriani non ha risposto alle nostre domande su eventuali assunzioni temporanee di personale sanitarie né sulla necessità di avere delle strutture fisiche temporanee”.
E ancora, con la “furbizia buona” di chi sa che sta toccando una corda vibratile assai già di suo per questioni legate alla Legge di Bilancio: “Il sistema sanitario sta già ora andando a rotoli. I pronto soccorso, con l’aumento del 25% dei tempi medi di attesa e il personale in burnout, è il nervo scoperto del sistema sanitario”.
Le ricette, per esempio…
Facile desumere quindi che “con questi presupposti, come pensa il governo di poter dare delle risposte quando a Roma ci saranno tra 35 e 50 milioni di persone in più?”. Poi gli esempi pratici, non necessariamente legati a scenari drastici. “I pellegrini avranno, per esempio, bisogno del rinnovo di una ricetta”.
“Dove dovrà andare uno straniero che non ha qui il medico di base? Quando si parla di eventi come il Giubileo servono misure straordinarie. Ma nella risposta del governo non c’è traccia”. La chiosa è stata amara, ma difficilmente confutabile.
“Nella notte, con la legge di Bilancio, sono state anche tagliate le gambe al Terzo settore e quindi azzerato il suo ruolo di supplenza sanitaria come già oggi avviene in molte realtà”. Sì, giubiliamo…
Dito nella piaga. Piaga vera.
GIULIA PASTORELLA
Nella sua battaglia personale finora ci ha messo un coraggio che a tratti ha rasentato la temerarietà. Questo perché, per quanto i numeri si ostinino a dargli torto, Carlo Calenda è un osso duro. E soprattutto, in quanto fondatore di Azione, ne è l’uomo totem alla massima elevazione di potenza.
Non come un decotto Beppe Grillo a cui Giuseppe Conte ha riservato il suo ceffone-bis. Calenda infatti è leader vivo, non aventiniano rispetto alla sua creatura. E soprattutto, con la crisi dell’automotive che ormai da mesi morde il tessuto economico e produttivo italiano, ha recuperato con le sue skill molto del credito perduto. Giusto ieri ha bocciato su tutta la linea il ministro Adolfo Urso sul summit al Mimit per Stellantis.
Insomma, Giulia Pastorella andrebbe premiata solo per il fatto che ci sta provando, in punto di democrazia, a lanciare la sua Opa su Azione e sulla sua segreteria. La mission che Pastorella si è data è quella, quasi “impossible” per il suo ex Mentore, di sconfiggere “la frammentazione del Terzo polo che ha isolato le anime liberaldemocratiche, rendendo numericamente inoffensivi i partiti come Azione e Italia Viva”.
Chiarezza nel posizionamento
Lo ha spiegato Open, che poi ha rimarcato come l’obiettivo di Pastorella sia quello di riunire l’area liberal-democratica. E di scalare il Congresso di Azione. Questo invece lo ha spiegato lei stessa: “Nel momento in cui c’è un congresso di Azione, previsto a inizio 2025 la domanda che mi sono posta è: ‘Come posso contribuire?’”.
“La mia volontà è quella di portare un’idea di posizionamento chiara”. Pastorella si fa quindi portatrice di “un’idea di organizzazione partitica chiara e di fare altrettanta chiarezza su alcuni temi. Voglio rendere Azione riconoscibile. Perché, ultimamente, un po’ a causa della malafede di alcuni commentatori e un po’ per delle incertezze interne, risulta essere un partito poco limpido nel posizionamento, poco identificabile”.
Perciò ci sta provando lei, a dare limpidezza al contesto, ed è meritorio a prescindere dal fatto che di quella rinnovata limpidezza ci sia o meno bisogno. Il dato è che la democrazia presuppone la dialettica, non la accetta come una sorella scomoda.
La dialettica che fa sempre bene
E Pastorella in questo momento ne è totem. “Siamo molto forti e netti su tutti i temi legati all’industria, al lavoro, al nucleare, all’energia, ma siamo stati ambigui su temi legati ai diritti civili, al fine vita”. E a chiosa: “Temi molto divisivi che non possono e non devono diventare il fulcro della nostra proposta politica, se no diventeremmo +Euorpa, ma su cui abbiamo tenuto posizioni troppo ambigue per una forza che si definisce comunque progressista”.
Il messaggio è chiaro: Calenda ha parlato solo di economia ma quale sia la rotta etica di Azione secondo Pastrorella nessuno ancora lo sa o lo sanno in troppo pochi. E lei vuole metterci rimedio.
Coraggiosa.
FLOP
ALESSANDRO GIULI
“Così non si va avanti. Ma come pensano che si possa mandare avanti un ministero così?“. Lui, Alessandro Giuli, lo sta dicendo da tempo e non ha tutti i torti, ma il dato è un altro. E’ quello per cui il “lascito” di Raffaele Fitto in ordine ai fondi Pnrr destinati alla Cultura e ad alcune specifiche iniziative è stato bassino, anzi, bassissimo.
Di certo insufficiente a permettere al neo titolare del dicastero più burrascoso e tarantolato del governo Meloni di tenere le briglie di un ruolo. Ruolo fondamentale non solo (per fortuna) perché con la magniloquenza di Giuli si potrà dimenticare la vicenda Sangiuliano-Boccia, ma per altro.
Semplicemente perché l’Italia sulla cultura non può permettersi svarioni, alla faccia di tutti i Green Deal, di tutte le Confindustrie e di tutte le mappe d’impresa del mondo. Sulla cultura noi non possiamo scherzare, e Giuli, che punta ad essere l’Alessandro Il Grande del settore, alle porte d questo Natale 2024 arranca.
Sulla cultura niente svarioni
Assai. “Figlio mio aspira ad un altro regno perché quello che ti lascio è troppo piccolo per te”. Recita memando così l’intro solenne di Alexander the Great degli Iron Maiden, ma quest’Alessandro qua pare destinato a tenersele, le cose piccine. Tanto per dirne una, basta tener conto di 60 sindaci che chiedono da tempo lo sblocco dei fondi previsti dal progetto “Bellezz@ – Recuperiamo i luoghi dimenticati”.
Da quanto si apprende “il programma che nel 2016 aveva destinato 150 milioni di euro per il recupero di luoghi culturali ‘minori’ e dimenticati. In particolare, la delibera CIPE aveva stanziato fondi per 271 interventi di recupero, selezionati alla fine del 2018, ma che, a causa di burocrazia e continui rinvii, non sono mai arrivati sul territorio”. Come al solito, tante parole ma nessuno ha mai visto uno sgheo.
E Roberta Tedeschi, sindaca di Povegliano Veronese, portavoce del coordinamento dei sindaci coinvolti, aveva già detto la sua. “Le Amministrazioni locali hanno investito risorse e tempo, e molti progetti sono pronti per partire. Ma a causa dei ritardi e del definanziamento, rischiamo di perdere il patrimonio storico e culturale che è l’anima dei nostri territori”.
La lettera a premier e ministro
Perciò era partita una lettera a Giorgia Meloni, allo stesso Giuli ed al neo presidente dell’ANCI Gaetano Manfredi, nonché a Camera e Senato. Lo scopo è chiedere “lo sblocco immediato dei fondi e una revisione al rialzo dei finanziamenti, ormai insufficienti a causa del passare del tempo e dei rincari”.
Solo che la quota Pnrr su cui Giuli può fare affidamento è così risicata che per lui è difficile anche solo ascoltare quelle istanze, figuriamoci risolverle.
Alexander the small.