Top e Flop, i protagonisti di giovedì 5 dicembre 2024

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 5 dicembre 2024

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 5 dicembre 2024.

TOP

LUCA DI STEFANO

Tesi, antitesi… e di solito qui l’Italia media si ferma. Manca quasi sempre la sintesi, che non è mai somma ma crasi, cioè unione. In politica potremmo definirla capacità di visione ampia. Una visione che ha suonato una sveglia forte per la Provincia di Frosinone. Un trillo che però ha trovato Luca Di Stefano già in piedi, vestito, con il secondo caffè in mano e pronto a dire cose come questa.

“Non vogliamo demagogia o campanilismo sul tema, ragion per cui tutti gli interventi delle ultime settimane, a prescindere dalla provenienza sul territorio provinciale, non devono far disperdere energie preziose e far perdere il focus”. Quale focus?

Quello con il quale nello stesso giorno in cui in Regione è riunita la Commissione per la stazione Tav lui, che presiede Palazzo Iacobucci, ha riunito il Comitato per lo sviluppo. Ed ha fatto sintesi con un tempismo che la dice tutta sulla capacità di Di Stefano di intercettare la polpa dei problemi. Polpa che per forza di cose deve prescindere dalla palude sterile del campanilismo di quanti la stazione Tav la invocano come totem territoriale di pregio. (leggi qui: La Commissione sulla stazione Tav: il progetto c’era, la location non ancora).

Buoni consigli ed ottimo approccio
Foto © AG IchnusaPapers

Il format è ben altro, cioè questo: “Siamo ben consci che, come Provincia di Frosinone, abbiamo un ruolo centrale, volto a garantire (la sintesi e) l’equilibrio. Sembra quasi che Di Stefano abbia ascoltato bene i consigli sul tema elargiti da Antonio Pompeo, o magari che, pur restando i primi preziosi e graditi, non ne avesse bisogno. (Leggi qui: Top e Flop, i protagonisti di mercoledì 4 dicembre 2024).

Ma c’è altro, con lo scopo di perseguire l’obiettivo su tematiche di rilevanza nazionale come quella dell’Alta Velocità sul nostro territorio”. E c’è un modo, una chiave con cui affrontare il tema, modo che Di Stefano ha disegnato a chiare lettere nella sua relazione. “Evitando che le legittime differenze di vedute possano sfociare in dannose contrapposizioni che determinerebbero inutili divisioni”.

“A meta solo se uniti”
Frecciarossa
Foto © Stefano Bertolotti

Più chiaro di così non poteva essere: la stazione Tav è preda ambita di un intero territorio, di una precisa realtà istituzionale, non delle sue schegge impazzite a caccia della vanagloria da giardino. “Su un punto bisogna essere chiari: se riusciremo a portare a casa un risultato lo faremo restando uniti. Divisi abbiamo la sola certezza che nulla porteremo a casa”.

Uniti, già. E nel corso del summit sono stati proprio gli industriali a chiarire di essere pronti a fare la loro parte, anche mettendo mano al portafogli. È un segnale di presenza e di concretezza, non di superficiale discussione.

Ma è un segnale che forse non sarebbe arrivato se solo Di Stefano avesse perso una mezza oncia di ecumenicità nell’affrontare l’argomento.

Chi c’era e quanto pesava
Andrea Amata (Foto: Erica Del Vecchio © Teleuniverso)

A fare da corollario alle parole del Presidente anche quelle del consigliere Andrea Amata, con delega al PNRR e attività di supporto proprio del Comitato e del consigliere delegato al coordinamento dei lavori d’aula Gianluca Quadrini. E ad ascoltarle, quelle parole, c’era il Gotha produttivo e dello sviluppo provinciale. Con Unindustria, Camera di Commercio FR-LT, Federlazio, Consorzio Industriale del Lazio, Ance, Università degli Studi di Cassino, Confimprese, Legacoop, Confapi, Cisl, Uil, Ugl, Confartigianato e Saf.

Ecco perché la relazione introduttiva di Di Stefano ha funzionato: perché ha intercettato tutti ed ha imposto ad ognuno di saltare lo steccato di quello che Guicciardini definiva “el suo particulare”.

Perché ci sono battaglie che si vincono solo se c’è una sola bandiera a benedirle. Ed un solo condottiero a disegnare il piano per vincerle.

Mastice forte.

ELLY SCHLEIN

Elly Schlein (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Quando le persone acquistano fiducia in se stese e nei sistemi complessi che rappresentano è sempre un bene. Lo è perché di solito avere ottimismo non è solo faccenda chimerica, ma che il più delle volte trova puntello in dati oggettivi, empirici e concreti. Certo, ogni previsione può essere sovvertita ma il fatto che ci sono momenti in cui ti senti bene e ti senti pronto ad andare (ancora più) avanti quello no, non te lo toglie nessuno.

Nel caso di Elly Schlein hanno fatto (molta) fede le recenti vittorie elettorali alle regionali in Emilia Romagna ed il Umbria, questo è un dato. Ma c’è di più e di meglio, almeno da un punto di vista dell’indole attuale della segretaria del Dem.

A cui va riconosciuto senza tema di partigianeria il dono di essere una giovane donna fresca, positiva, che non si lamenta e non accampa scuse quando le prende (sigh!) e che quando le dà trasforma quei momenti in energia positiva, senza strafare. Ma neanche senza che quello shining passi troppo sottotono, a considerare che nella dialettica politica soffiare sul collo dell’avversario è fondamentale.

Il bilancio del 2024
Giorgia Meloni da Vespa con la calcolatrice ()Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Piace perciò il fatto che questa Schlein decembrina sia tutta all’insegna di una nuova arrembanza. Che trae il suo segreto dall’essere nulla più che quella di prima e di sempre con l’upgrade dei fatti d’urna più recenti. Perciò un bilancio con annessa sferzata di vigore agonistico ci sta benissimo.

“Il 2024 è stato un lungo anno elettorale e noi siamo soddisfatti perché si sta vedendo che un’alternativa alla destra c’è”. Il dato è oggettivo ed ancor più oggettivo è quello per cui l’alternativa è tutta sostanziata da ruolo e forze del Partito Democratico. “Nelle Regioni in cui si è votato siamo partiti 6 a 1 per loro e ora siamo 4 a 3. Meloni, stiamo arrivando”.

Lo slogan “minaccioso” pure ci sta alla grande. Schlein aveva esordito con quel sornione “non ci hanno visti arrivare” quando aveva briscolato Stefano Bonaccini alle Primarie e adesso non ha paura di annunciarsi. Si chiama maturità.

“Adesso ci vedono arrivare e come”
Stefano Bonaccini (Foto: Marco Merlini © Imagoeconomica)

E ancora: “Da quando sono segretaria il Partito democratico è cresciuto in tutte le competizioni elettorali sia dove abbiamo vinto sia dove abbiamo perso, ma non ha nessuna presunzione di autosufficienza. Un po’ di mood pavone non ha mai fatto male a nessuno, purché lo si coltivi secondo mesotes greco-classica e purché abbia basi oggettive, e qui le basi ci sono.

Ed infine: “E’ il motivo per il quale siamo quelli più testardamente unitari e continueremo su questa strada perché non abbiamo nessuna volontà di fare da soli”. E qui si compie il piccolo capolavoro della numero uno del Nazareno: che ha capito il segreto di Augusto, almeno di quello del Principato.

Essere una “prima inter pares”. E tenere bene a mente che poi alla fine il Principato sfociò nell’Impero. Tenerlo a mente per scongiurarlo, magari.

L’ottimismo è il sale della vita.

FLOP

LAURA BOLDRINI

Laura Boldrini (Foto: Livio Anticoli © Imagoeconomica)

Ondivaga, a volte meravigliosamente, altre in maniera decisamente più caotica. Il guaio, forse il solo “guaio” di Laura Boldrini è che il suo battage di sinistra in purezza è talmente forte che spesso lei si dimentica di due cose fondamentali. La prima: il timing, cioè la capacità di settare quel che dice agganciandolo in tutto e per tutto a quel che accade. La seconda: il fatto che lei e per sua scelta sia una deputata del Partito Democratico.

Cioè di una formazione politica che argomenta secondo un mood ibrido sinistra-centro. E che soprattutto nel farlo deve tener conto di alcune sottigliezze proprio perché è il partito con maggiore esperienza istituzionale di rango massimo.

I “Most wanted” della CPI
Benjamin Netanyahu

Mettiamola meglio: se a proclamare che “Bibi” Netanyahu, Gallant e Deif debbano essere dei “most wanted” sui cui Palazzo Chigi ha il dovere di attivarsi fosse stato un Nicola Fratoianni, per dire, la cosa avrebbe avuto meno peso. Perché Fratoianni quello fa “di mestiere”: piazza una bandierina ideologica sopra ogni montarozzo che il vissuto politico gli offre e non bada alle praterie da cui il medesimo svetta.

Ma la Boldrini no: lei è parlamentare di un partito che ha governato l’Italia per decenni, è una ex Presidente della Camera e certe sfumature le dovrebbe sapere a memoria. Ecco perché certe sua parole poi sembrano eccessive e poco documentate.

L’Italia dia seguito al mandato di arresto internazionale per Netanyahu, Gallant e Deif. La Corte penale internazionale ha emesso il mandato d’arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant”. Primo errore partigiano: nel rpeambolo Boldrini cita anche il leader di Hamas, ma nel secondo enuncia sarcastica i due soli governanti israeliani.

L’invito stringente a Tajani, inutile
Antonio Tajani (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

E lo fa invitando l’Italia, cioè il Governo, a “dare seguito”. Attenzione; la carta di Roma fa obbligo ai Paesi firmatari di eseguire ove le circostanze lo richiedessero i giudicati della CPI, che non può agire in autonomia. Tuttavia solo se qualcuno degli indagati fosse presente sul territorio sovrano della Nazione. Boldrini invece, nella foga di mettere Antonio Tajani in imbarazzo, sembra quasi esortare il Governo a farsi “cacciatore di taglie attivo”.

Poi l’ex numero uno di Montecitorio mette in secondo periodo quel che mancava al primo. “Un provvedimento atteso da mesi e che il procuratore Karim Khan aveva chiesto anche per i capi di Hamas tra cui Sinwar, Haniyeh. Ma i leader di Hamas sono stati uccisi quindi non avremo giustizia per i crimini da loro commessi. Il mandato di cattura vale anche per l’attuale capo militare di Hamas, Deif, di cui però non si sa se sia morto oppure no”. La chiosa vorrebbe essere venefica e tutta settata sul titolare della Farnesina.

“Ora il ministro Tajani ci dica cosa intende fare per adempiere all’obbligo che ha l’Italia di attuare le sentenze della Corte penale internazionale. Perché non è una scelta: è un dovere”. Solo che il “ministro Tajani” ha già detto e da tempo, sia pur con qualche ritrosia iniziale ma di lessico, che le determinazioni accusatoria della Corte penale internazionale “vanno rispettate”.

Cioè ha dato ragione a Boldrini prima che Boldrini esigesse ragione. Forse troppo elettrizzata da quella che per lei era un’occasione politica irrinunciabile.

Svarione grosso.