
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 5 giugno 2025
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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 5 giugno 2025.
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ENRICO COPPOTELLI

Enrico Coppotelli non si limita a rappresentare il lavoro. Lo progetta. E lo difende, mettendo in campo idee e azioni capaci di incidere davvero sui territori. La sua proposta di una stazione Tav a Ferentino non è un semplice contributo al dibattito infrastrutturale: è una visione concreta per il rilancio del Lazio meridionale.
Il segretario generale della CISL Lazio, insieme alle strutture territoriali di Frosinone e Latina, ha fatto una scelta chiara: puntare su un’opera strategica, credibile, e ad alto impatto. La futura stazione dell’alta velocità, lungo la linea Roma-Napoli, potrebbe essere il vero snodo di sviluppo per un’area oggi marginalizzata rispetto ai grandi flussi economici e logistici del Centro Italia.
Numeri e non slogan

Coppotelli non parla per slogan. Parla con i dati, con la geografia, con la pianificazione. La zona individuata è già servita da importanti poli industriali, è collegata con le arterie autostradali e ha un potenziale di crescita reale. La stazione Tav non sarebbe solo un punto di transito, ma un generatore di investimenti, riqualificazione urbana, attrattività imprenditoriale.
Ma la vera forza di questa iniziativa è il metodo. La CISL costruisce consenso attorno alle proposte: coinvolge istituzioni, stakeholder, comunità locali. Lo farà anche il 30 giugno, con un evento pubblico pensato per confrontarsi, spiegare, convincere. Con la presenza già annunciata del presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, si apre un canale politico e operativo che può dare gambe all’idea.
Il ruolo del sindacato

In un momento in cui tanti parlano di aree interne, di coesione, di ripresa post-crisi, Coppotelli fa quello che un sindacato moderno dovrebbe fare: alzare il livello della sfida, indicare soluzioni strutturali e mettersi al centro del cambiamento. Per il lavoro, ma anche per la qualità della vita. Perché sviluppo vuol dire anche connessioni, opportunità, futuro.
Ecco perché la proposta Tav a Ferentino non è solo un’idea. È una piattaforma. E dietro, c’è una regia sindacale che ha visione, capacità di mobilitazione e credibilità politica. Lo Stato, le imprese e i territori farebbero bene ad ascoltare.
Di lotta, di Governo e di svolta.
MASSIMO RUSPANDINI

Nel silenzio generale, quando tutti sembrano anestetizzati dalla routine e incapaci di cogliere i segni del cambiamento, c’è stato un solo rappresentante delle istituzioni a battere un colpo. Massimo Ruspandini, deputato di Fratelli d’Italia, ha acceso un faro su un fatto che altrove avrebbe guadagnato titoli e riflettori: l’ingresso della famiglia Alessandri – quella di Technogym – nel capitale sociale di Acqua Filette, eccellenza ciociara con fonti a Guarcino e orizzonti sempre più globali.
Un’operazione industriale di valenza nazionale, portata avanti sotto traccia, con stile e sostanza. Eppure, quasi nessuno ne ha parlato. Come se fosse normale che un colosso del wellness mondiale scelga di investire nel cuore del Lazio interno. Come se fosse scontato che un’azienda nata ai piedi dei monti Ernici finisca sulle tavole del Quirinale, nei ministeri, nei palazzi del governo e nei migliori ristoranti d’Italia.
Oltre le congratulazioni

Ruspandini non si limita a congratularsi. Interpreta, dà senso a quello che sta accadendo. Ricorda a tutti – cittadini, istituzioni, stampa – che in questa terra ci sono imprese che fanno impallidire la concorrenza, e imprenditori che costruiscono valore senza clamore. Pietro Ricci e suo figlio Stefano, con tenacia e visione, hanno trasformato una sorgente d’acqua pura in un brand di lusso. Hanno creato occupazione, reddito, immagine. Hanno attirato investimenti senza piegarsi alla logica del lamento, ma scegliendo la via più dura: quella della qualità.
Ed è qui che l’intervento del deputato acquista un significato più profondo. Perché non si tratta solo di celebrare un caso di successo. Si tratta di scardinare una mentalità. Di denunciare il torpore collettivo che spesso avvolge la provincia di Frosinone, dove le eccellenze passano sotto silenzio e la rassegnazione è più forte dell’ambizione.
Il messaggio

Ruspandini lancia anche un messaggio ai giovani: guardate Ricci, imitate chi costruisce invece di invidiare. È un appello alla responsabilità, al coraggio, al fare. Ed è una critica implicita – ma netta – a chi, anche nelle istituzioni locali, si mostra distratto o peggio, indifferente.
In un’epoca in cui la politica spesso rincorre il consenso facile, fa rumore vedere un parlamentare che difende il merito e chiama le cose col loro nome. E se oggi questa vicenda ha avuto una voce, lo si deve a lui.
Il punto non è solo che la Ciociaria può attrarre grandi investitori. Il punto è che può farlo partendo dal territorio, dal lavoro serio, dalla qualità. E che tutto questo non va solo applaudito: va riconosciuto, raccontato e difeso. Prima che sia troppo tardi.
L’unico con gli occhi aperti.
FLOP
FRANCESCO ROCCA

Trentuno per cento. Questo è il gradimento che i cittadini del Lazio attribuiscono al presidente della Regione Francesco Rocca, secondo l’ultima rilevazione Swg. È il penultimo nella classifica nazionale. Solo Renato Schifani fa peggio. E non basta il +2% rispetto all’anno scorso per parlare di ripresa: la realtà è che Rocca non lascia il segno. E nel Lazio questo vuoto si sente.
Mentre altri governatori, da Zaia a Fedriga, passando per Occhiuto o la neoeletta Proietti, mostrano forza, visione e capacità di conquistare la fiducia dei propri territori, Rocca sembra attraversare la Regione come un corpo estraneo. Amministrare il Lazio significa guidare una delle aree più complesse e strategiche d’Italia. Significa bilanciare capitale e provincia, sanità e sviluppo, trasporti e ambiente. Ma il dato Swg è una fotografia impietosa: la gente non lo vede. E dove lo vede, non ne apprezza l’impatto.
Non è questione di comunicazione

Non è questione di comunicazione, ma di sostanza. I cittadini non chiedono spettacolo, chiedono soluzioni. Il Lazio, invece, è ancora fermo sulle grandi infrastrutture, ingolfato nelle promesse e povero di risultati concreti. E quando ci sono novità importanti – basti pensare alla partita della Sanità, al tema delle aree interne, o agli investimenti industriali – la percezione è che la Regione arrivi sempre dopo gli altri. O peggio: che stia a guardare.
Nel frattempo, il centrodestra nazionale si divide su questioni come il terzo mandato, ma ignora che il fondo della classifica è composto da tre dei suoi presidenti più recenti che sono tra i meno apprezzati del Paese. Come se i numeri non contassero. Come se il Lazio non meritasse un governo all’altezza della sua centralità.
L’indifferenza è pericolosa quanto il dissenso. E oggi Rocca è penalizzato proprio da questo: non suscita entusiasmo, non accende dibattiti, non mobilita energie. È un presidente che, a un anno e mezzo dall’elezione, non è riuscito a trasformare la sua vittoria elettorale in un’identità di governo riconoscibile.
Chi governa, se vuole durare, deve fare due cose: farsi ascoltare e farsi sentire. Francesco Rocca, finora, non ha fatto né l’una né l’altra. Il 31% lo dice chiaramente. E da qui in avanti, o cambia passo, o sarà troppo tardi.
Il governatore trasparente.
QUELLI CHE VOGLIONO IL PALLONE IN PIAZZA

C’è qualcosa di profondamente sbagliato in chi grida allo scandalo per l’ordinanza con cui il sindaco di Frosinone, Riccardo Mastrangeli, ha deciso di vietare il gioco con il pallone nella nuova piazza dello Scalo che sarà inaugurata sabato prossimo. Qualcosa che ha a che fare con la memoria corta e con l’incapacità, sempre più diffusa, di distinguere tra spazio pubblico e spazio anarchico.
L’ordinanza, chiara e legittima, nasce da un principio semplice e sacrosanto: il Comune è oggettivamente responsabile di ciò che accade nelle sue piazze. È responsabile di non averlo impedito, se una pallonata finisce su un anziano che cammina, su un bambino in braccio alla madre, o su una vetrata che va in frantumi. È responsabile di ogni atto che può trasformare un luogo di bellezza, incontro e serenità in una zona di rischio e di conflitto.
Non è un attacco al diritto di svago

Non è un attacco al diritto al gioco. È l’affermazione di un principio basilare di convivenza: la libertà di ciascuno finisce dove inizia quella dell’altro. E la libertà di tirare calci a un pallone finisce esattamente dove comincia il diritto, per esempio, di una nonna di passeggiare in sicurezza con il proprio nipotino.
A Frosinone, lo sport non è né ostacolato né penalizzato. In tutto il mondo i Comuni assicurano aree dedicate per giocare a calcio, a basket, a pallavolo, a tennis e persino a cricket. Il problema, piuttosto, è che qualcuno continua a pretendere di trasformare ogni spazio pubblico in un terreno personale, dimenticando che le piazze non sono campi da gioco ma luoghi da custodire. E se oggi non si pongono dei limiti, domani sarà troppo tardi per reclamare rispetto.
Proteggere non è escludere

Difendere la piazza non significa escludere i bambini, ma proteggerli. Proteggerli dalla superficialità degli adulti che non insegnano loro la differenza tra un campo sportivo e un luogo civico. Proteggerli da incidenti evitabili e dal degrado che nasce sempre dall’assenza di regole.
Il sindaco Mastrangeli ha fatto bene. E chi contesta l’ordinanza farebbe meglio a riflettere su una verità tanto semplice quanto dimenticata: lo spazio pubblico è di tutti, ma proprio per questo non può essere lasciato all’arbitrio di pochi.
La libertà di una pallonata finisce dove inizia la passeggiata della nonna.