Top e Flop, i protagonisti di martedì 14 ottobre 2025

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 14 ottobre 2025.

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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 14 ottobre 2025.

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TOP

SAVORITI e CELLETTI

Ci sono momenti in cui, più che la sostanza, conta il rumore. E quello provocato da Corrado Savoriti (Unindustria Frosinone) e Vittorio Celletti (Unindustria Cassino) non è affatto un urlo scomposto: è un segnale politico lucido, puntuale, voluto. Un segnale che dice al Lazio, al Governo, e alla Regione: “Il tempo dell’attesa è finito. Anzi, è scaduto da un pezzo. E poco conta che già ieri sera, a stretto giro, il ministro Tommaso Foti abbia risposto che la Zes se la possono continuare a scordare mentre per le Zls devono aspettare che l’iter si concluda. Più importante adesso è altro. (Leggi qui: Foti apre la doccia gelata: “Mai detto di voler mettere il Lazio nelle Zes”).

Sì, la proposta di ZLS c’è già da un anno. Sì, i dossier sono sul tavolo. Ma nel frattempo le regioni attorno – Campania, Abruzzo, Molise, Umbria, Marche – sono già partite con la ZES unica, e le imprese del Basso Lazio restano al palo. È come essere al casello con il motore acceso, mentre tutti gli altri già sfrecciano in autostrada.

La necessità di dare un segnale

Il punto non è solo normativo, né solo economico. È psicologico. Gli imprenditori del territorio vogliono sapere se hanno ancora un futuro competitivo qui, gli investitori vogliono sapere se devono guardare oltre confine. Ecco perché il pressing di Savoriti e Celletti – insieme a quello del presidente regionale Biazzo – è più che legittimo: è necessario.

Non stanno solo chiedendo sgravi o semplificazioni. Stanno dicendo alla politica: fateci capire da che parte state. Perché chi oggi investe, lo fa con la bussola della fiscalità, della burocrazia, dei tempi di risposta. E qui, finora, la risposta all’atto pratico è stata il silenzio.

Il rumore fatto da Unindustria serve proprio a rompere quel silenzio. Domani sarà troppo tardi.

L’urgenza di fafe rumore.

ALDO MATTIA

Aldo Mattia e Francesco lollobrigida (Foto Alessandro Amoruso © Imagoeconomica)

In politica, come nel buon vino, il tempo e la mano esperta fanno la differenza. Lo sanno bene a Fratelli d’Italia, dove – per la provincia più delicata della Toscana, Firenze – hanno scelto un commissario che non promette fuochi d’artificio ma risultati misurabili, concreti, stabili. Aldo Mattia, deputato di Frosinone, è stato chiamato per questo: garantire normalità e costruire un risultato duraturo. E i numeri parlano per lui.

Nel cuore rosso della Toscana, dove Fratelli d’Italia storicamente faticava a mettere radici, il Partito ha sfondato quota 26%, con due consiglieri eletti nella sola provincia di Firenze. Mai successo prima. Una crescita armonica, distribuita nei collegi: 23,39% nel Mugello-Valdisieve, 24,68% nell’Empolese, 24,33% nella Piana Fiorentina. Il merito? Non solo di un vento favorevole ma anche della capacità di Aldo Mattia di trasformare un Partito spesso nervoso in una macchina elettorale ben oliata.

Oliare e ricucire
Eugenio Giani

Mattia non ha fatto rumore, non ha cercato i riflettori. Ha ascoltato, tessuto relazioni, ricucito dove serviva. È la scuola della Coldiretti, quella del confronto anche duro ma sempre costruttivo. E con quello stile è riuscito a radicare FdI in una delle province più ostiche d’Italia. Non si è fermato nemmeno un minuto a festeggiare: mentre i colleghi contano le preferenze, lui alle 12 è già a Roma, in sala Tatarella, per parlare di PAC e agricoltura. Perché il lavoro, per Mattia, non si misura in selfie.

Chi lo ha voluto a Firenze lo sapeva bene: quando la politica non deve spegnere incendi ma costruire futuro, serve qualcuno capace di garantire equilibrio e autorevolezza. E in tempi di slogan urlati, l’equilibrio è diventato un’arte rara. Proprio come Aldo Mattia.

L’affidabile.

FLOP

ROBERTO VANNACCI

Roberto Vannacci (Foto: Giuliano Del Gatto © Imagoeconomica)

Dato empirico: Toscana Rossa ha fatto più della Lega. Ed Eugenio Giani non si è limitato a sventolare bandiere sui palchi ed a farsi riprendere mentre faceva il cestista di vecchia perizia. No, Giani ha vinto le regionali in Toscana ed è stato confermato governatore di una Regione “rossa” dal 1970 con stacco percentile maiuscolo. E un po’ in tutto questo “generale” Roberto Vannacci qualcosa c’entra e come.

Ragioniamo un attimo. Il fresco vicesegretario della Lega si giocava le sue migliori skill in una regione che di fatto era considerata come sua. Soprattutto perché il massimo del suo appeal, che rimanda alla mistica militareggiante di corpi speciali e “paraca”, Vannacci lo esprimeva soprattutto in Toscana.

Carta bianca, carta straccia
Matteo Salvini (Foto: Paola Onofri © Imagoeconomica)

E poi per un motivo due che, ove possibile, avrebbe dovuto tirare più del primo. Per la regionali in Toscana Matteo Salvini aveva dato a Vannacci carta bianca nella scelta e nel “pushing” sui candidati. Tanta di quella carta bianca da arrivare a suscitare gli strali palesi di molti esponenti di una Lega più “legittimista” e meno legata al lessico massimalista dell’ex greca.

Eppure in Toscana, molto più della vittoria (scontata) di Giani, molto più d una prevedibile (ed incrementato) astensionismo, ha pesato la assoluta incapacità di Vannacci di diventare magnete di consensi mirati. Insomma, stavolta non è tanto che ha sbagliato Salvini, che sui lessici polarizzanti ci ha sempre contato, quanto piuttosto un “uomo forte” che forse tanto forte non era.

Vannacci aveva insistito con il segretario del Carroccio per dare carta bianca e pieno sostegno ai candidati leghisti Angelo Ciavarrella (ufficiale dell’Esercito e consigliere comunale di Pisa) e Maria Grazia Bellomini (medico chirurgo generale e consigliere comunale di Pisa) ma, numeri alla mano, gli è andata malissimo.

Guarda la Bunnu, generà…

Eppure solo quattro giorni scarsi fa aveva detto, in convincimento forse superiore alla necessità di lanciare slogan, che “la sinistra è finita”.

Sia chiaro, Vannacci non era l’uomo che avrebbe dovuto battere il centrodestra in Toscana ma dietro insistenza di Salvini sarebbe dovuto essere l’uomo che avrebbe dovuto contenere la sconfitta al punto tale da poter incentivare le analisi cervellotiche di Meloni & co. su una scoppola tutto sommato contenuta.

Non è andata così ed il profeta degli slogan ultra-sovranisti ha fallito. Fallito tantissimo, a contare che il suo format massimalista a destra è stato sconfitto da quello opposto di Antonella Bundu, che sul versante della sinistra più radicale ha preso molti più voti ideologici di quanti non ne ha saputo capitalizzare l’ideologo del Carroccio con la greca.

Greca a fargli da orpello in una regione dove i baschi rossi e sabbia hanno catalizzato da sempre welfare e idee dei cittadini.

Degradato.

ATTILIO PARISI

Attilio Parisi

Metti un Nobel per la Fisica a capo della Commissione antidoping del Ministero della Salute. No, non è una barzelletta. È accaduto davvero. Giorgio Parisi – premio Nobel, luminare stimato in tutto il mondo per i suoi studi sulla meccanica statistica – è stato nominato presidente della sezione “vigilanza e controllo sul doping” del Comitato tecnico sanitario. Solo che nessuno gliel’ha detto. Letteralmente: lui non lo sapeva.

A voler essere indulgenti, si potrebbe parlare di un errore tragicomico, come quando confondi il cardiochirurgo con il cardiofrequenzimetro. Ma qui siamo oltre. Il ministero della Salute, dopo il pasticcio della commissione vaccini, infila un’altra perla: ha confuso Giorgio Parisi con Attilio Parisi, noto medico dello sport, rettore del Foro Italico, uno che di doping e attività sportiva capisce davvero qualcosa. Insomma, uno scambio di Parisi.

La faccenda, se non fosse seria, farebbe ridere. Ma è seria eccome. Non solo per la gaffe istituzionale che ha lasciato basiti anche i componenti della commissione, ma perché fotografa con imbarazzante chiarezza un problema più ampio: la leggerezza con cui, talvolta, vengono trattate le nomine tecniche.

Un attimo di confusione

Perché quando la politica scambia il curriculum vitae con la rubrica dei nomi noti, accadono queste cose. Si sovrappongono titoli, si sbagliano identità, si mortifica il merito. E si finisce per chiedere a un Nobel in fisica di occuparsi di testosterone e nandrolone.

Nel frattempo, Attilio Parisi – quello giusto – riceve una telefonata di scuse. Ma le scuse non bastano. Servirebbe un ministero che seleziona con criterio, che assegna incarichi con attenzione, e che non si affida solo al “nome che fa curriculum”.

La realtà è che, oggi, la credibilità delle istituzioni si misura anche così: sulla capacità di non sbagliare persona.

L’arte della nomina (sbagliata).