I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 16 settembre 2025
*
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 16 settembre 2025
*
TOP
GIAN FRANCO SCHIETROMA

Chi ben comincia è a metà dell’opera. Resta da capire quale sia la rappresentazione. In politica, in genere è l’esatto contrario di quello che appare. Cose sta accadendo in queste ore a Frosinone: dove il Partito Socialista di Gian Franco Schietroma, ha battuto il primo colpo vero della lunga campagna per le Comunali del 2027.
Ha affisso manifesti, convocato la stampa, calato sul tavolo la sua proposta: andrà alle elezioni Comunali del 2027 con una coalizione chiamata “La Frosinone di domani” composta dalla lista Socialista e da due Civiche.
È una mossa che vale doppio. Perché mentre il PD apparentemente continua a rimuginare tra correnti, ripicche e veti incrociati, la realtà è ben diversa. Come dimostra il messaggio visivo fornito nelle settimane scorse dal Presidente Pd del Lazio Francesco De Angelis e dall’ex sindaco Pd Domenico Marzi (nei fatti quello che tiene in vita l’attuale amministrazione nata di centrodestra). Le distanze del passato sono state colmate, i due hanno un fitto dialogo, al punto da presentarsi insieme al compleanno dell’imprenditore Luca Sellari arrivando sulla stessa auto. (Leggi qui: La sera dei miracoli: il compleanno di Luca Sellari che unisce destra e sinistra).
Mossa doppia

È chiaro che De Angelis e Marzi stiano costruendo l’alleanza Progressista per il 2027. È altrettanto chiaro che con questa mossa Gian Franco Schietroma stia dicendo ‘ci siamo nche noi e siamo fondamentali perché abbiamo la forza per allestire tre liste‘.
Schietroma lo dice chiaro: “Abbiamo una proposta alternativa, forte e credibile. Se volete aggregarvi, fatelo. Ma che sia chiaro: questa è la nostra linea”. Il non detto è: potremmo anche rivalutare ma non considerateci riempitura perché abbiamo le forze per andare da soli e mandarvi all’aria i piani.
La realtà dei fatti la spiega anche l’elezione comunale di Ceccano che ha rivisto, dopo decenni, Pd e Psi schierarsi insieme. E vincere. Schietroma vuole mettere in chiaro che nella partita De Angelis – Marzi ci deve stare anche il garofano Rosso. Ed in prima, primissima fila.
Chi ben comincia è a metà dell’opera.
RICCARDO DEL BROCCO

Il clima politico di Ceccano è incandescente: dieci anni di amministrazione del centrodestra si sono conclusi in maniera traumatica, le elezioni hanno scavato un solco. Ogni elemento diventa pretesto per lo scontro: come avvenuto la scorsa settimana dopo il violento temporale che si è abbattuto sulla città. In questo contesto arriva un gesto che sorprende: distende, disarma, fa respirare. E non è roba da poco. A compierlo è Riccardo Del Brocco, ex assessore noto per la lingua tagliente ma che stavolta sceglie di fare un passo diverso. Un passo umano.
Nei giorni scorsi, su Facebook – quel colosseo digitale dove volano più insulti che idee – Del Brocco era finito nel mirino di un utente particolarmente furioso. Non una critica politica, non una battuta: un attacco personale, pesante, diffamatorio. Il solito veleno da social, che tutti fingiamo di non leggere mentre lo scrolliamo indignati.
Del Brocco, per nulla intenzionato a lasciar correre, aveva annunciato querela. E nessuno si sarebbe scandalizzato: anzi, in molti si aspettavano la consueta guerra di post, meme e contro-meme. Invece, qualcosa ha rotto il copione.
Il confronto civile

Il confronto tra i due è avvenuto. E ha funzionato. L’utente ha scritto un post di scuse pubbliche. Del Brocco ha accettato, senza trionfalismi, anzi, con una frase che in bocca a chiunque altro suonerebbe retorica. Ma da lui, che raramente si concede al sentimentalismo, suona vera: “Anche a Ceccano si possono scrivere pagine di serenità e fratellanza.”
Non è solo buonismo d’occasione. È un segnale. È l’idea – rivoluzionaria, di questi tempi – che si possa discutere senza odiarsi, che si possa sbagliare e poi rimediare, che dietro ogni avatar ci sia una persona e non un bersaglio.
Del Brocco ha aggiunto: “Che l’episodio di Domenico, che abbraccio con affetto, sia da esempio a tanti… affinché il clima di odio che si respira in città finisca presto, soprattutto sui social, dove la cattiveria scorre a fiumi senza mai pensare che dietro ognuno di noi ci sono storie e famiglie, dispiaceri e fragilità.”
Un messaggio chiaro, che va oltre la polemica contingente. Un invito, quasi una sfida, lanciata a tutta Ceccano – cittadini, politici, leoni da tastiera – per provare a cambiare registro. Perché il dissenso è il sale della democrazia, ma l’odio ne è il veleno.
Ruvido ma umano.
FLOP
SILVIA FREGOLENT

Difendere la mozzarella di bufala significa, prima di tutto, difendere la qualità. E la qualità non si diluisce, non si congela, non si annacqua. La senatrice Silvia Fregolent (Italia Viva) nelle ore scorse ha scatenato il caos nel mondo agricolo del Lazio al punto che sono dovuti intervenire l’assessore regionale all’Agricoltura Giancarlo Righini ed il ministro Francesco Lollobrigida per assicurare che né la Regione né il Ministero stanno pensando di autorizzare la produzione di mozzarelle con latte congelato. Chi ha messo in giro quella voce? (Leggi qui: Non è Lola, ma vive meglio: la bufala del Lazio difende la sua mozzarella).
La risposta è arrivata ieri in serata. Con una nota della senatrice renziana. Che difende invece il latte congelato e parla di “condanna” per un intero comparto proprio a causa della mancata apertura al latte congelato. Una posizione che somiglia a quei sofismi i quali, nel tentativo di apparire pragmatici, finiscono per scivolare nel paradosso.
Perché se è vero che i consumi seguono ritmi stagionali e la produzione ha i suoi picchi naturali, la risposta non può essere abbassare l’asticella. Non è congelando il latte che si rafforza il Made in Italy. È rafforzando la filiera, investendo in tecnologie di conservazione rispettose, nel sostegno alle imprese e in politiche di internazionalizzazione. È così che si regge la concorrenza tedesca, non con un passo indietro che profuma di resa.
La barricata di Righini

Lollobrigida e la Regione Lazio hanno scelto la strada più difficile ma più onesta: difendere il prodotto nella sua integrità, valorizzare il latte fresco e sostenere le aziende con bandi e incentivi. In Ciociaria e nel Pontino lo sanno bene: gli allevatori non hanno bisogno di trucchi industriali ma di mercati aperti, di tutela normativa e di garanzie sulla tracciabilità. Le cifre parlano chiaro: oltre 15mila bufale nella sola Valle dell’Amaseno, 40mila chili di latte al giorno trasformati in mozzarella Dop, un patrimonio che sta crescendo grazie a giovani imprenditori under 40. Non un settore in declino ma un laboratorio di futuro.
Agitare lo spettro della concorrenza estera per giustificare il latte congelato è un boomerang. Perché nulla farebbe più felici i competitor stranieri che vedere il marchio Italia confondersi con produzioni di serie B. È questo, semmai, il vero favore che rischia di aprire autostrade alla Germania e ad altri Paesi. Il Made in Lazio vive perché è sinonimo di autenticità: se togliamo questa colonna, crolla tutto.
Meglio della Lola.
ANTONIO TAJANI

Se la storia è maestra di vita, c’è chi in Italia si ostina a farle dire cose che non ha mai detto. L’ultima lezione di forzatura arriva dal vicepremier Antonio Tajani, che con un paragone azzardato — e francamente sconcertante — ha evocato il fantasma dell’omicidio Calabresi per descrivere il clima politico italiano di oggi. Il messaggio è chiaro: chi critica fomenta odio e l’odio uccide. Ma nel tentativo di colpire l’opposizione, Tajani ha colpito ben più in basso: la memoria storica di questo Paese.
Il commissario Calabresi fu assassinato nel 1972 da militanti della sinistra extraparlamentare, al culmine di un clima che non ha nulla a che vedere con l’Italia del 2025. Paragonare quel contesto alla scena politica odierna è un’operazione che non solo non regge ma insulta l’intelligenza collettiva. È retorica d’allarme usata per inibire il dissenso, spacciando ogni voce contraria per preludio alla violenza.
Parola del figlio

A smentire questa narrazione non sono solo i fatti, bensì le parole stesse del figlio di Calabresi, Mario, oggi stimato giornalista. È lui a dire, con lucidità e sobrietà, che il paragone è infondato. Che l’Italia di oggi non è quella degli Anni di Piombo. Che la violenza, allora, era quotidiana, organizzata, ideologicamente strutturata. E che lo stragismo non aveva un solo colore, e che chi oggi governa dovrebbe essere il primo a maneggiare la storia con cura.
Ma Tajani, come altri nella sua maggioranza, ha un altro obiettivo: non perdere terreno a destra. E allora, mentre Roberto Vannacci lancia l’ennesima accusa (“la violenza viene sempre da sinistra”), Tajani si ritaglia lo spazio del moderato allarmato. Ma l’effetto è lo stesso: criminalizzare il dissenso, soprattutto in vista di una campagna elettorale che si preannuncia durissima.
Il gioco è pericoloso. Perché trasforma la storia in uno strumento da talk show, e le vittime in pedine da spostare sul tabellone politico. In nome di una pace sociale presunta, si alimenta un discorso pubblico incendiario, in cui ogni critica è odio, ogni opposizione è devianza, ogni dissenso è pericoloso.
Chi ha vissuto davvero gli anni ’70 sa che non ci siamo nemmeno vicini. E chi finge il contrario o non ha capito, o — peggio — ha capito benissimo.
Lezione di forzatura.



