Top e Flop, i protagonisti di martedì 25 febbraio 2025

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 25 febbraio 2025

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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 25 febbraio 2025.

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TOP

GIANCARLO RIGHINI

L’assessore Giancarlo Righini tra il sindaco Daniele Natalia e l’assessore Simona Baldassarre

Per nulla scontato, per nulla facile. L’assessore regionale al Bilancio ed all’Agricoltura Giancarlo Righini l’altro giorno intervenendo ad Anagni ha detto due cose dalla portata dirmpente. La prima: è pronto ad essere varato un piano per il Giubileo in chiave turistica tarato sulle Province del Lazio con l’esclusione di Roma Capitale «perché non ne ha bisogno». La seconda: mettendo a tacere i tanti che ancora oggi nel suo Partito negano i cambiamenti climatici ha detto che «o si agisce subito e con decisione oppure fra trent’anni non esisterà più l’agricoltura del Lazio».

Pane al pane, acqua all’acqua

Si sarebbe potuto accontentare della solita passerella accompagnata dai selfie e dai titoli di giornale, limitandosi a presentare l’iniziativa “Le vie del Giubileo: un cammino di fede e spiritualità tra luoghi, sapori e tradizioni”. Ha scelto invece di andare oltre ed incamminarsi su un percorso accidentato che molti preferiscono evitare proprio per la sua asperità. Per tanti è meglio negare e dire che non è l’Uomo ad incidere sul clima: un eccellente pretesto per starsene seduti a fare nulla e scaricare ogni colpa sul destino ciclico della Terra.

I lavori di manutenzione sui canali dell’irrigazione a Sora

Ad Anagni invece l’assessore al Bilancio ed Agricoltura ha tirato fuori un tema concreto: o si interviene tecnologicamente sulla tutela delle acque o tra poco non ci sarà più nulla di naturale da mettere in tavola. Specificando che il problema non sta solo nel fatto che le fonti si stiano prosciugando: sta cambiando la composizione dell’acqua, sta variando la sua salinità in maniera concreta e non in Amazzonia ma nei corsi del Lazio. E con altrettanta chiarezza ha bacchetatto quei sindaci, nonostante siano sul suo stesso fronte politico, che invece di spiegare tutto questo agli agricoltori sta cavalcando la loro protesta contro i canoni idrici da pagare alle Bonifiche. Cioè chi sta in prima linea per assicurare la presenza dell’acqua nei campi.

Esigenze differenti
Il Colosseo di Roma (Foto © DiLiff)

Un ragionamento dirompente tanto quanto il fatto che finalmente la Regione Lazio abbia capito che Roma è una cosa e le province sono altro. Perché hanno caratteristiche ed esigenze diverse. Che ci sia una certa differenza tra le cose da fare nella Capitale e quelle che occorrono a Viticuso dovrebbe essere un’ovvietà: ma per anni non lo è stata.

Ora se ne prende atto e si vara un provvedimento che viene pensato e tarato solo sulle province escludendo solo Roma. Raramente si era visto prima.

Punto di svolta

Le parole dell’assessore Righini ad Anagni segnano una svolta, sia per il turismo giubilare che per la questione ambientale. Il riconoscimento della specificità delle province rispetto a Roma è un passo atteso da tempo, che finalmente distingue le diverse esigenze territoriali. Ma è la presa di posizione sul cambiamento climatico a fare più rumore: in un panorama politico in cui negazionismo e immobilismo spesso dominano, affermare che senza interventi drastici l’agricoltura del Lazio rischia di scomparire è una dichiarazione forte e necessaria.

Righini non si è limitato a un discorso di circostanza, ha messo il dito nella piaga parlando di acque che si prosciugano e mutano nella loro composizione, portando il problema dentro i confini regionali, lontano dalle solite narrazioni esotiche. E ha avuto il coraggio di denunciare anche le ambiguità di una parte del suo stesso schieramento, che da un lato soffia sul fuoco delle proteste e dall’altro ignora il nodo centrale della crisi idrica.

Un intervento di peso, che rompe schemi consolidati e segna una nuova consapevolezza politica: il Lazio non è solo Roma, e il futuro dell’agricoltura passa da scelte pragmatiche, non da slogan.

Non convenzionale.

ALESSIO D’AMATO

Il Consigliere regionale Alessio D’Amato

Alessio D’Amato si sta intestando battaglie multiple, lo sta facendo a livello regionale come è giusto in ordine al suo ruolo e lo sta facendo senza clamore, ma con efficacia. L’ex assessore regionale alla Sanità dell’epoca Covid ha messo in piedi non solo un meccanismo politico di opposizione al team Rocca che segue il format, ma è andato oltre. D’Amato ha deciso di tornare in un certo senso – questo solo come mood di approccio, sia chiaro – alle sue origini politiche primeve.

Che sono e per temperamento restano quelle di un uomo di sinistra in tutto e per tutto. Ecco perché è così facile trovare D’Amato al fianco di agricoltori, operai… e studenti. Come è accaduto nel corso dell’ultimo week end, ad esempio, quando il consigliere regionale in quota Azione si è schierato accanto agli studenti “che manifestano per fermare il dimensionamento scolastico di Rocca”.

Di cosa parliamo? E’ uno dei temi chiave del periodo e la versione di D’Amato sembrerebbe non lasciare adito ad equivoci. Perciò lo stesso aveva accolto “l’appello della Rete degli Studenti Medi del Lazio” per stare “al loro fianco nella manifestazione sotto la sede della Regione. Il dimensionamento scolastico voluto dalla Giunta Rocca va fermato.

Torti, ragioni e dialettica

Francesco Rocca con Alessio D’Amato (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Secondo quanto sostenuto da D’Amato “la scuola non può diventare un pallottoliere su cui fare cassa, né il bersaglio di scelte miopi per far tornare i conti. L’istruzione è un bene essenziale e non possono essere studenti e famiglie a pagare il prezzo dei tagli”.

Al di là dei torti e delle eventuali ragioni politiche il sugo è un altro: ed è quello di una dialettica buona che, all’interno della Pisana, sta caratterizzando la vita amministrativa della Regione più cruciale del Paese. E questo grazie a personaggi che, dall’una e dall’altra parte, sanno come “incrociare le lame” senza cadere nei trappoloni del populismo un tanto al chilo.

Sposare una causa studentesca poi è roba più difficile ancora, perché in ballo non ci sono solo argomenti tecnici, ma istanze e palpiti sinceri perché legati a giovane età ed arrembanza di chi li prova. “Chi governa ha il dovere di garantire una scuola pubblica accessibile e di qualità, non di smantellarla”.

La “brutta aria” che tira
Studenti Erasmus © ProImageContent / Can Stock Photo

“C’è una brutta aria, investire nella formazione dovrebbe essere una priorità, invece si continua a depotenziare un settore importantissimo per il futuro e per il presente di tutte e tutti”.

Ed assieme a Flavia De Gregorio e Antonio De Santis, consiglieri di Azione in Assemblea Capitolina, D’Amato ha chiosato questa sua ultima battaglia. Così, sarcastico ma efficace: “Forse la cultura e il sapere fanno paura a qualcuno”.

Fight Club.

FLOP

CARLO CALENDA

Carlo Calenda (Foto: Paolo Cerroni © Imagoeconomica)

Come The Boss Bruce Springsteen nella sua immortale “Born to run”. Che fa: “Le autostrade sono piene di eroi distrutti alla guida della loro ultima possibilità. Sono tutti in fuga, stanotte. Ma non è rimasto più nessun posto dove nascondersi”. Già, non ci sono più posti dove nascondersi e probabilmente, anche al netto dell’evento di qualche giorno fa, neanche Carlo Calenda può nascondersi più. Non può farlo perché, al di là della sua indubbie capacità di analisi politica e vaticinio prospettico sulle rotte che la stessa prende in Italia, anche Calenda, riconfermato qualche giorno fa alla guida di Azione in sede congressuale, è fermo al palo.

Bruce-Carlo: ma non basta

Lo è con un partito, Azione, che doveva essere il catalizzatore forte di una crasi centrista che non è mai arrivata. Certo, non per colpa del solo Calenda ed obiettivamente anche al di là del concetto semplicistico di “colpa”. Ma il dato crudo resta: oggi chiunque invochi un blocco centrista prog e liberal al contempo che possa mettere la mordacchia al sovranismo discinto imperante dà solo l’impressione di essere ammalato di gargarismi inutili. DI ottimo lessico e di argomenti dficcanti, ma senza appeal sull’elettorato.

Matteo Renzi (Foto: Paola Onofri © Imagoeconomica)

Nel corso degli ultimi due anni e mezzo Calenda le ha provate tutte: si è inserito nelle equazioni elettorali, ma criticato lo stato dell’arte ed indicato una Via Nuova. Ha detto cose che sono per la più parte condivisibili ma non ha creato il grip affinché quella condivisione diventasse abbastanza forte da farsi rotta.

Ripartire dallo Scout Center

E nell’annunciare il recente evento allo Scout Center di Roma aveva dato al tutto un piglio da runner. Così. Siamo nati per correre. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno abbiamo creduto in questa comunità e nel nostro progetto”. Da un punto di vista prospettico Calenda non ne sbaglia una, ma non ha numeri sufficienti, non ha (ancora) capacità di fare massa critica con altri leader egotici.

E soprattutto non ha… capito che così lui, Matteo Renzi e qualche altra formazione centrista e europea sono responsabili dell’appalto decennale che l’Italia di pancia ha dato agli urlatori. Il leader di Azione sprona i suoi ad essere “consapevoli che ricostruire in Italia una forte area liberale, socialista e popolare è un dovere nei confronti di tutti i cittadini”.

Il sogno sognato ancora
(Foto: Saverio De Giglio © Imagoeconomica)

E ancora: “L’Italia ha bisogno di un partito che abbia il coraggio di dire le cose come stanno, di affrontare i problemi per risolverli. Senza rifugiarsi in scorciatoie facili di fronte a problemi complessi, di non prendere la strada più corta per paura della fatica che l’impegno e il rispetto nei confronti dei cittadini richiedono. Un partito che sappia rianimare la fiducia e la speranza”.

Quella che Calenda evoca ed in perfetta buona fede è “una visione, di un’idea di Paese, di costruire un sogno”. Ma dai sogni poi o ci si sveglia per trovare una realtà più amara oppure ci si sveglia perché li si è realizzati e non c’è più bisogno di sognare. Perciò Calenda scelga.

Vedi alla voce “Renzi”.

DANIELE NATALIA

Matteo Campoli

È uno dei migliori sindaci della nuova leva nel Partito Democratico. Capace di rimboccarsi le maniche e sturare le fogne se necessario, con l’inevitabile effetto trascinamento su tutta la sua squadra. Matteo Campoli sa coinvolgere, motivare, analizzare, realizzare. Proprio per questo è incomprensibile il suo intervento sull’alleanza che ha messo insieme i sindaci di Anagni, Alatri, Ferentino e Veroli per puntare a diventare Capitale della Cultura 2028. (Leggi qui: Capitale della Cultura 2028, anzi…. Capitali ciociare: il patto delle quattro).

La rivolta dei piccoli centri

Sul piano del merito, Matteo Campoli ha ragione da vendere. Riconosce che quella delle quattro Città Fortificate sia «un’iniziativa senza dubbio ambiziosa». Ma lamenta il fatto che lui, il suo Comune e tutti quelli del circondario non siano stati coinvolti «nonostante il loro patrimonio storico e culturale di altissimo valore».

I sindaci delle Città Fortificate firmano il protocollo per la Capitale della Cultura 2028

«Non posso fare a meno di esprimere il mio disappunto per il fatto che non ci sia stata alcuna consultazione preventiva. Siamo stati chiamati a cose fatte, senza che fosse spesa una sola parola per Fumone e per il suo inestimabile valore storico». La sua non è una levata di scudi fatta solo per amore di campanile. La sostanza c’è. Soprattutto quando ricorda che «proprio nel nostro castello fu imprigionato e morì Papa Celestino V, figura centrale della storia della Chiesa e strettamente legata al Giubileo, evento di rilevanza mondiale che si terrà proprio in questo periodo».

Matteo Campoli ne prende atto ed accusa che ancora una volta si è pensato solo alle quattro città principali, dimenticando i piccoli borghi, che sommati insieme contano una popolazione complessiva superiore a quella dei grandi centri.

Tempo al tempo

In realtà le cose stanno in una maniera differente. O almeno così dovrebbe essere se sono vere le parole di Daniele Natalia, sindaco di Anagni. Che in questa storia e nella conseguente reazione del suo collega di Fumone ha delle enormi responsabilità.

Il sindaco di Roccasecca Giuseppe Sacco

Domenica, all’agenzia Ansa il sindaco Natalia ha spiegato che ora parte un lungo iter di coinvolgimento dei Comuni del circondario e degli Enti, seguendo uno schema collaudato dal Comune di Roccasecca quando ha centrato la finale a dieci per diventare Capitale Italiana della Cultura superata poi all’ultimo da Agrigento.

Se Daniele Natalia lo avesse detto prima, se avesse fatto una serie di telefonate ai suoi colleghi dicendogli banalmente “abbiamo avuto un’idea, tenetevi pronti che domani la lanciamo e poi ci riuniamo per definire tutti insieme il perimetro ed i dettagli” avrebbe incassato consenso unanime, gettato le fondamenta per una squadra ampia, seminato quel coinvolgimento nel quale Matteo Campoli si è dimostrato abile.

Distrazioni di fine mandato
Mario Abbruzzese

Succede, quando si è all’ultima parte del proprio ultimo mandato e si comprende di non avere prospettive reali per andare oltre. La candidatura alle Regionali ventilata da Forza Italia sarebbe poco più di una medaglietta dal momento che l’attuale legge elettorale esclude ogni possibilità di elezione. Per chi non la conoscesse è sufficiente ripassare il dato della scorsa tornata: Pasquale Ciacciarelli con 14mila voti è rimasto fuori dal Consiglio regionale mentre Angelo Orlando Tripodi a Latina è entrato con 8.100 voti, ben 6mila in meno. E tanto per avere una conferma: Mario Abbruzzese, quando divenne Presidente del Consiglio Regionale raccolse 30mila voti ma entrò solo grazie ai resti.

Preso atto, ora resta da concentrarsi sul presente. Evitando magari di innescare reazioni come quella dei Comuni del circondario. Altrimenti gli si fornisce un’altra buona ragione per dubitare della sostanza.

Comprensibilmente distratto.