
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 25 marzo 2025
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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 25 marzo 2025.
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FRANCESCO ROCCA

In autonomia. Ha scelto il nuovo manager della Asl di Frosinone senza ascoltare altre voci che non fossero la sua. Aveva ottimi professionisti tra i quali pescare la carta per sostituire il commissario Sabrina Pulvirenti, logorata da una missione che l’ha portata a concentrarsi più sugli aspetti sanitari che su quelli politici, finendo per inimicarsi buona parte di chi però quelle scelte ha la necessità di declinarle sui territori. Soprattutto i sindaci.
In quel lotto di professionisti ha fatto la sua scelta il Governatore Francesco Rocca. Non deve essere stato semplice. Poco più di un mese fa Arturo Cavaliere era stato nominato alla guida della Asl Roma6: c’è rimasto appena il tempo di tagliare 38 lavoratori interinali e partecipare a tre convegni sanitari. Insolito, anomalo, difficilmente comprensibile. Nemmeno ha voluto firmare l’accordo sindacale per le indennità del personale: sta nelle stanze della Direzione Generale di Borgo Garibaldi ad Albano da lungo tempo.
Quasi uno all’anno

D’impeto e d’imperio: Cavaliere ieri si è dimesso dalla Asl Roma6 ed ha accettato di corsa la Direzione Generale di Frosinone. Che ormai sembra più la stazione ferroviaria e non un luogo di pianificazione strategica delle politiche sanitarie sul territorio. Infatti, con lui sono 19 i dirigenti che si sono avvicendati alla guida in appena vent’anni. E solo uno è stato della provincia di Frosinone, Carlo Mirabella poi stroncato da un malore dopo una giornata logorante; il suo successore Mauro Vicano venne silurato dal commissario Vincenzo Suppa che perse tutti i gradi di giudizio al Tribunale del Lavoro e se ne andò poco prima che i carabinieri incaricati dal giudice Massimo Lisi andassero a far ottemperare il provvedimento di reintegra.
A seguire c’è stata Isabella Mastrobuono che viene accusata poi dalla Regione Lazio di non avere centrato gli obiettivi. Falso. Come dimostreranno le successive sentenze al Tar ed al Consiglio di Stato. Al suo posto Nicola Zingaretti nomina un sindacalista di sicura esperienza, Gigi Macchitella che resta in carica quattro anni. A seguire arrivano manager come Stefano Lorusso che dopo un anno si accasa al Ministero della Salute, poi è la volta di Pierpaola D’Alessandro che oggi è braccio destro della gestione del Comune di Roma sul piano burocratico. Quindi arriva Angelo Aliquò che però è stimatissimo da Francesco Rocca che lo chiama allo Spallanzani. Infine tocca a Sabrina Pulvirenti, testa bassa e tanti problemi da risolvere per quelli che chiama “i miei pazienti”.
Adesso inizia la stagione di Arturo Cavaliere: auguri. ne avrà bisogno.
Un cornetto rosso porta bene.
MAURIZIO GASPARRI

Chiunque ponesse una maggiore attenzione alle condotte del Governo in carica sarebbe tranquillamente in grado di discernere una linea comune. Sotterranea ma comune. Il che, di questi tempi e con Matteo Salvini scheggia impazzita, non è poco. E non deve essere necessariamente quella dell’errore, dello svarione politico o della indigeribilità di certe scelte.
No, a voler mettere i Raggi X si capirebbe subito che nel Governo Meloni vige una sorta di “principio di sussidiaretà”. Una linea sottesa per cui elementi dell’esecutivo e membri notabili delle Camere si fanno sponda a vicenda su questioni che, per dialettica democratica, in quel momento diventano urticanti.
Furbo, molto furbo

Prendiamo Maurizio Gasparri ad esempio, che in barba alle molte “perculate” da cabaret è uno furbo di tre cotte. E che ha capito come il Guardasigilli Carlo Nordio si trovi in una situazione molto difficoltosa con la riforma della Giustizia. Perciò Gasparri che ha fatto? Non solo si era già fatto promotore di alcune interrogazioni-chiave sulla condotta di alcuni magistrati, ma ha fatto anche in modo che i media ne conoscessero l’esito. E, con esso, la risposta del ministro che ha agevolato il pistolotto finale di Gasparri stesso sul tema.
“Voglio ringraziare pubblicamente il ministro della Giustizia Nordio per le risposte a una serie di mie interrogazioni riguardanti la condotta di alcuni magistrati”. Toghe tra cui spuntano i nomi – che Gasparri fa – di “Cascini, Santalucia, Albano ed altri. Si tratta di interrogazioni del 30 maggio 2023, del 22 ottobre 2024 e dell’11 novembre 2024″.
Insomma, il presidente dei senatori di Forza Italia scrive ad un uomo di Giorgia Meloni e le fa capire che gli azzurri sono con lui, forse molto più di quanto non lo siano i “Fratelli”.
Il sollecito tra le righe

Va considerato il dato politico e strategico, non certo quello etico e giurisprudenziale, su cui ci sono e restano in piedi riserve di rango. Prosegue Gasparri: “Nelle risposte alle mie domande, che attengono al dovere dei magistrati di tenere comportamenti imparziali e di evitare atteggiamenti pubblici che possano apparire di parte e quindi tali da creare pregiudizio alla funzione della magistratura”. Ed il ministro Nordio” gli risponde.
E “tra l’altro, afferma che ‘si coglie con favore l’occasione offerta dall’atto di sindacato ispettivo per rappresentare che è fermo intendimento del governo rimettere mano alla vicenda degli illeciti disciplinari previsti dalla legge”. Questo “anche in attuazione dell’articolo 4 del disegno di legge di riforma costituzionale, già approvato in prima lettura alla Camera e attualmente in corso di esame in commissione al Senato’“.
Uno spottone bello e buono insomma, con cui Nordio sta facendo capire alla sua premier che forse è arrivato il momento di concentrarsi anche sulla politica interna e sulle riforme che ha accantonato.
Quel che Maurizio voleva emergesse

Esattamente quello che Gasparri voleva che emergesse. Così: “In pratica il governo, attuando la riforma costituzionale, vuole intervenire sulla materia degli illeciti disciplinari e delle relative sanzioni che riguardano la magistratura”.
Che è un po’ come dire che sarebbe ora che il Governo lo facesse davvero oltre che dare focus solo alla triade Trump-Meloni-von der Leyen.
Parlare a nuora…
FLOP
ENZO PERCIBALLI

La mozione di sfiducia presentata contro il sindaco di Boville Ernica, Enzo Perciballi, rappresenta un momento di crisi politica ed amministrativa di notevole rilevanza. La richiesta di sfiducia firmata da ben sette consiglieri comunali (tra cui due esponenti di peso della stessa maggioranza come Stefania ed Angela Venditti) evidenzia una frattura interna che non può essere liquidata come una semplice divergenza di vedute. Quando una mozione di sfiducia raccoglie così tanti consensi è il segnale che qualcosa si è rotto non solo sul piano politico ma anche su quello della gestione amministrativa.
Il contesto politico e le crepe interne
La rottura con Stefania e Angela Venditti è il nodo politico più significativo di questa vicenda. Solo un anno fa, entrambe avevano sostenuto il rendiconto del 2023, evitando così il commissariamento del Comune. Angela Venditti era poi entrata in giunta come assessore ai servizi sociali, mentre Stefania Venditti aveva ricevuto la delega ai Lavori Pubblici. Il loro passaggio dalla collaborazione alla sfiducia è il segnale evidente di una crisi maturata all’interno della maggioranza: nelle forme e nella sostanza amministrativa
Le motivazioni espresse nella mozione sono chiare: l’azione amministrativa di Perciballi è stata caratterizzata da uno stile autoritario, privo di dialogo e di confronto con la squadra di governo. La denuncia di una gestione rigida e verticistica, con scelte amministrative considerate poco condivise è un’accusa pesante che colpisce al cuore il ruolo di mediazione e di rappresentanza che un sindaco dovrebbe esercitare.
Scelte amministrative discutibili e mancanza di collegialità

Tra gli episodi contestati, spiccano decisioni amministrative considerate gravi e prese in modo unilaterale. La demolizione dell’Ufficio Anagrafe tramite ordinanza sindacale e il trasferimento dell’Ufficio Tributi in una sede logisticamente inadeguata sono scelte che hanno suscitato malumori e critiche non solo all’interno della maggioranza, ma anche tra i cittadini. Questi episodi sembrano confermare il quadro di una gestione accentratrice, poco attenta al confronto e al consenso interno.
Ma al di là dei singoli episodi sui quali il sindaco può avere legittimamente una sua visione delle cose è altro il motivo della disputa. Ed è la mancanza di collegialità e di condivisione: un punto critico dal punto di vista politico.
In un contesto amministrativo locale, il successo di un’amministrazione si basa sulla capacità di creare un fronte coeso tra sindaco, giunta e consiglio comunale. Quando questo equilibrio si rompe, le conseguenze sono inevitabili: la sfiducia diventa quasi una conseguenza naturale di una gestione che non ha saputo mantenere la coesione interna.
Un segnale politico da non sottovalutare
Se la sfiducia dovesse essere approvata, si aprirebbe una fase di grande incertezza politica e amministrativa per Boville Ernica. Il rischio di un commissariamento sarebbe concreto, con tutte le conseguenze che ne derivano per la gestione ordinaria e straordinaria del Comune. In caso contrario, anche qualora Perciballi riuscisse a mantenere la carica, il vulnus politico rimarrebbe evidente: governare senza una maggioranza coesa e con una frattura interna così profonda renderebbe difficile ogni azione amministrativa futura.
Lacerazione interna.
ANDREA DELMASTRO DELLE VEDOVE

Dal mese di gennaio sono già 22 i detenuti morti suicidi nella carceri italiane e, malgrado questo trend dell’orrore, non arrivano news da Andrea Delmastro Delle Vedove, Sottosegretario alla Giustizia con delega di specie. Delega che finora pare abbia spinto il discusso membro dell’Esecutivo in carica “solo” ad esprimere piacere per l’anossia dei detenuti messi a scatola nei cellulari della Polizia Penitenziaria.
Membro del governo che pare decisamente fuori focus, ed impegnato su fronte paritetico a difendere la sua indifendibile posizione giudiziaria di condannato in primo grado. Il dato è crudo e trova tragica sponda nell’ultimo suicidio in ordine di timing, roba per cui ancora in queste re nel carcere genovese di Marassi la forze dell’ordine stanno chiudendo i verbali.
L’ennesimo suicidio in cella

Da quanto di apprende infatti un detenuto di 70 si è ucciso oggi “impiccandosi nella sua cella”. L’uomo, perché di una persona si trattava – era stato “condannato per reati contro il patrimonio e avrebbe finito di scontare la sua pena nel 2033”. Ed il segretario generale della Uilpa Polizia Penitenziaria Gennarino De Fazio non ci era andato certo leggero.
Così: “Sale a ventidue l’assurda conta dei detenuti che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno nei penitenziari italiani, cui bisogna aggiungere un operatore”.
Poi lo screening, stanco, sullo stato dell’arte dell’istituto ligure, che è un po’ il paradigma della situazione nazionale. E, con esso, delle morti contate ma mai risolte. “Il carcere del capoluogo ligure si connota per grave sovrappopolamento detentivo e penuria di personale, ammontano a 670 i detenuti presenti a fronte di 534 posti disponibili, mentre sono 330 le unità di Polizia penitenziaria in servizio quando ne servirebbero almeno 551”.
E cosa manca? La solita solfa che non sembra interessare fattivamente Delmastro. “Deficienze strutturali, organizzative, gestionali e negli equipaggiamenti”.
Meglio Cacciari e Ventotene

Lui si limita, ovviamente in iperbole ma senza mai essere incisivo su quello che attiene il suo mandato istituzionale, a discettare in chiave social sul caso Ventotene. E lo fa approfittando della “sponda traversa” di Massimo Cacciari ed esibendosi in capriole concettuali tra l’altro non sue, ma che fanno comodo alla sua pubblicistica un tanto al chilo. “La sinistra e Ventotene? Ha ragione Cacciari: siamo alle comiche. Mentre il PD e i suoi alleati si indignano per l’ovvio, il filosofo smonta la loro polemica contro Giorgia Meloni”.
Sì, ha ragione Cacciari: saremmo alle comiche se di mezzo non ci fossero tragedie.
Agire, please.